“Ballate della grande recessione”, l’ultimo album di Marco Sonaglia, è un ritratto impietoso dell’esistente

Ballate della grande recessione: un titolo emblematico, che allude al nostro tempo, denso di contraddizioni, conflitti, ingiustizie, ma anche al nostro passato più o meno recente, a situazioni e figure di uomini e donne che per varie ragioni sono scomparsi troppo presto. Dalla scrittura musicale del cantautore marchigiano Marco Sonaglia e dai versi del poeta siciliano Salvo Lo Galbo è nato un concept album, composto da otto ballate dedicate ad altrettanti luoghi e personaggi che hanno lasciato il segno nella nostra storia e nella nostra memoria, racchiuse da una cornice costituita da altri due brani: il primo descrive l’incubo delle condizioni dei profughi in tempo di pandemia, mentre l’ultimo va a chiudere il percorso sonoro e lirico con la promessa di una battaglia da vincere, quella della classe operaia, nonostante le sconfitte sul campo da essa riportate nei decenni.

L’album, terzo progetto solista del musicista e docente fabrianese, è uscito lo scorso anno, in aprile, ed è disponibile sia su tutte le piattaforme digitali che in formato CD su etichetta Vrec / Audioglobe distribuzione. Il sodalizio tra Sonaglia e Lo Galbo è nato nel 2019, dalla scoperta della comune passione per la musica d’autore e di una sostanziale affinità di vedute. La struttura della ballata come forma compositiva, resa immortale dal poeta francese François Villon, diventa per i due artisti la dimensione ideale per narrare vicende drammatiche e dolorose, ma anche per invocare un futuro migliore. Sonaglia -voce, chitarre e armonica – è stato affiancato da Julius Cupo al violoncello e da Paolo Bragaglia, che si è occupato della produzione artistica, delle tastiere e della strumentazione elettronica.

Il disco si apre con Primavera a Lesbo, brano che descrive le difficili, pressoché disumane condizioni dei profughi (“avanzi umani per il cibo che avanza”) rifugiatisi sull’isola greca in fuga dal terrorismo e dalla dittatura, per poi alludere alla pandemia (l’album è stato scritto durante il lockdown) con i suoi dettami opprimenti: “Morire sì, ma sani/Ordina l’ordinanza/Lavatevi le mani/Tenete la distanza”.

Il secondo brano, Ballata per Cuba, parte musicalmente con un attacco che ha echi di Coda di lupo di Fabrizio De André e descrive le speranze della rivoluzione di Cuba offuscate poi dalla successiva negazione delle libertà essenziali. Ballata per Stefano, dedicata alla triste vicenda di Stefano Cucchi morto a soli 31 anni il 31 ottobre del 2009, è poi un’efficace rock ballad in minore, tonalità che si addice alla tematica trattata. La scelta di ricercare sonorità oscure in alcuni tratti, quasi da girone infernale dantesco, con la chitarra elettrica in distorsione, sottolinea idealmente tutti i retroscena e i vergognosi tentativi di deviare le verità nascoste in uno degli episodi più contraddittori della nostra storia recente. È una delle tracce migliori dell’album, con un valido assolo centrale di chitarra, una buona interpretazione vocale e una chiusura finale sospesa di grande effetto. Si tratta dunque di un bel gesto sonoro in ricordo di Stefano, un riconoscimento alla sua famiglia e alla faticosa battaglia portata avanti con coraggio dalla sorella Ilaria

L’ascolto prosegue con Ballata per Claudio, un sentito e sincero tributo a Claudio Lolli, indiscusso punto di riferimento della canzone d’autore, scomparso nel 2018.  Un bell’arpeggio di chitarra acustica va a sostenere il valido cantato. Ben inserite le citazioni dei brani più celebri di Lolli, come Aspettando Godot, La giacca, Ho visto anche zingari felici, Il grande freddo, L’amore ai tempi del fascismo. Interessante è l’idea dell’ingresso leggero del moog, che contribuisce a creare una certa vena malinconica, come il brano fosse un compianto sul cantautore bolognese, definito dallo stesso Sonaglia come “simbolo indelebile di una stagione rivoluzionaria”.

Ballata della vecchia antropofaga, che potrebbe apparire musicalmente “scarna”, è in realtà sostenuta da una buona idea sonora (solo una chitarra elettrica con effetti di delay e distorsione) e da una originale interpretazione vocale per un testo denso di significato. La voracità e la ferocia del capitalismo che divora tutto è ben raccontata da Lo Galbo, che ha tratto la metafora dalla poesia L’Antropophage (1887) del comunardo parigino Eugéne Pottier, noto per essere l’autore de L’Internationale.

Il successivo Ballata a una ballerina è un pezzo acustico che rende omaggio alla memoria di Lola Horowitz, nome d’arte della danzatrice ebrea polacca Franceska Mann. La ragazza, deportata nel campo di concentramento di Auschwitz a soli 26 anni, poco prima di morire riuscì a disarmare ed uccidere l’ufficiale delle SS Josef Schillinger, suscitando una rivolta tra le altre donne prigioniere. Anche qui la vocalità e la melodia enfatizzano positivamente il toccante testo: “Ballata per chi sa che va a morire/Ballata per chi ancora sceglie come”.

È dedicata a Mimmo Lucano la Ballata dello Zero, difesa in versi dell’operato dell’uomo politico calabrese in favore dell’accoglienza agli immigrati rispetto alle accuse di Matteo Salvini, che sminuì il sindaco di Riace dandogli dello “zero”. La canzone auspica un futuro in cui tutti gli “zeri” di questo mondo, coloro che si spendono in nome del riconoscimento dei più essenziali diritti umani, possano fare “un cerchio solo, un girotondo il mondo”.

Ballata per Sacko vuole narrare la crudeltà, la sopraffazione, la miseria, lo sfruttamento della manodopera, la negazione dei diritti minimi e della dignità dei lavoratori impiegati nelle campagne del Sud Italia.  Il brano è ispirato a Sacko Soumaila, bracciante e sindacalista ucciso a colpi di pistola a Vibo Valentia il 2 giugno 2018, mentre rovistava tra le lamiere di un deposito abbandonato per costruire un giaciglio di fortuna ai suoi compagni. Sul piano musicale è interessante l’utilizzo della marimba che giunge sulla ritmica ossessiva della chitarra, richiamando echi d’Africa.

Ballata dell’articolo 18 è una sorta di talking blues, la resa in versi di un’intervista a un operaio emiliano riguardo i primi effetti provocati dallo smantellamento dell’Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori vissuti personalmente sul proprio posto di lavoro. La mia classe, infine, conclude il percorso con una riflessione spietata e insieme indomita sulla sconfitta del movimento operaio e sullo smarrimento dei suoi punti di riferimento legato alle responsabilità della classe politica, del sindacato, dei mass media e di alcuni intellettuali, auspicando però il riscatto finale: “la mia classe riavrà tutto/quando classe riavrà nome/quando l’altra classe come/classe avrà odiato e distrutto/e da niente sarà tutto”.

Si tratta di un album che richiede da chi si accosta ad esso un ascolto attento e consapevole e la volontà di riflettere su vicende e figure importanti, talvolta scomode, la cui amarezza non toglie, bensì rinforza la speranza nel “sol dell’avvenire”. La canzone non necessariamente deve, ma può dire la sua sulla complessità dell’esistente, e le ballate di Sonaglia e Lo Galbo lo fanno in modo esemplare. Un lavoro coraggioso, che mi riporta alla mente versi di qualche decennio fa: “Con il suono delle dita si combatte una battaglia/Che ci porta sulle strade della gente che sa amare”.