L’esposizione si è tenuta nell’ambito della Milano Music Week
Si è conclusa da qualche giorno la settima edizione della Milano Music Week, kermesse scandita da innumerevoli appuntamenti che hanno reso il capoluogo lombardo una vera e propria capitale della musica con concerti, conferenze, workshop ed altri momenti di incontro rivolti sia al pubblico che ai professionisti del settore. Uno degli eventi più significativi è stato indubbiamente la mostra WHO ARE YOU, dedicata al sessantesimo anniversario della nascita della band britannica, curata da Luciano Bolzoni e tenutasi presso l’Ex Fornace Gola, in zona Navigli, dal 22 al 26 novembre. Solo cinque giorni, è vero, ma grandi sono le emozioni suscitate dall’allestimento e notevole è stata l’affluenza di pubblico, con oltre 400 persone all’inaugurazione, tanto da far auspicare che la mostra possa diventare a breve itinerante, con altri appuntamenti in giro per l’Italia e oltre confine per il 2024.
Bolzoni, curatore di mostre d’arte per professione, è un grandissimo appassionato degli Who, che considera, insieme ai Beatles e ai Rolling Stones, come uno dei tre membri di quella “trinità rock” che ha rivoluzionato il panorama musicale europeo e mondiale a partire dai primi anni Sessanta. L’idea di mettere in piedi un allestimento dedicato alla sua band preferita è nata durante una conversazione telefonica di qualche tempo fa con Eugenio Finardi, che per l’occasione gli cantò My Generation con tanto di imitazione vocale del basso di Entwistle. Luciano ha avuto modo di conoscere la band da ragazzino e di assistere per la prima volta ad un loro concerto nel 1979, all’Arena di Frejus (Keith Moon, scomparso l’anno prima, era allora stato sostituito da Kenney Jones) e, nei decenni successivi, a molti altri, fino al recente live al Forum di Assago (2016) e all’ultimo di quest’anno, a Firenze Rocks. Parallelamente ha iniziato la sua collezione di dischi e altri cimeli della formazione britannica, molti dei quali esposti in mostra.


Nel suggestivo spazio di Alzaia Naviglio Pavese 16 l’esposizione WHO ARE YOU era suddivisa in tre sezioni tematiche. La prima, intitolata Amazing Journey, era composta da 25 opere d’arte dedicate all’universo degli Who, reinterpretato attraverso lo sguardo attento di artisti contemporanei come Elena Assi, Francesco Biondo, Alessandro Busci, Matteo Ceschi, Monica Cristaldi, Sergio D’Antonio, Alberto De Lazzari, Cinzia Fantozzi, Sara Forte, Jeanfilip, Lady Be, Maria Cristina Limido, Vincenzo Lo Sasso, Giorgio Melzi, Massimo Monteleone, Davide Paglia, Andrea Pisano, Adriano Pompa, Silvia Rastelli e Lucrezia Ruggieri. La maggior parte dei manufatti è stata realizzata ad hoc, a partire dal quadro Helpless Dancer di Sara Forte che è riprodotto sulla locandina della mostra e che raffigura Pete Townshend in una delle sue movenze più celebri, cioè nell’atto di distruggere la propria chitarra, e che infrange una parete di cristallo, a voler simboleggiare la rottura degli schemi musicali da parte del gruppo: dopo di loro, infatti, niente fu più come prima.

La seconda parte dell’allestimento era situata al piano superiore della galleria e si componeva di una serie di scatti in b/n di Matteo Ceschi, dal titolo Quadrophenia 2023: New Adventures for New Jimmys. A cinquant’anni dalla realizzazione del mitico lungometraggio, il fotografo ha voluto ripercorrere i luoghi londinesi in cui il film era ambientato, individuandone aspetti e figure che rievocassero le atmosfere di mezzo secolo fa. Ad arricchire l’esposizione, il video The Real Me realizzato dallo stesso Ceschi con Federico Ramponi e la colonna sonora di Tiberio Longoni. L’intento era non tanto quello di fare semplicemente tappa nelle location a suo tempo immortalate da Ethan Russell, ma di indagare le nuove forme di disagio che affliggono oggi la metropoli britannica. Lo sguardo di Ceschi si è pertanto calato con circospezione nella quotidianità della vita cittadina, alla ricerca di “nuovi Jimmy” per raccontare l’Inghilterra post-Brexit senza pregiudizi né sconti, un po’ alla maniera di Ken Loach, ma utilizzando lo strumento della street photography.



Dedicata ai memorabilia – dischi, foto, poster, cimeli e gadget di vario genere – era infine la terza ed ultima sezione, Useless Corner, in cui l’occhio del visitatore era inevitabilmente attirato dalla riproduzione di una tradizionale cabina telefonica rossa e dalle sagome cartonate di Pete Townshend e Roger Daltrey a grandezza naturale per poi essere pronto ad avventurarsi in un itinerario iconografico e documentale che comprendeva tutta la discografia a 33 giri in vinile della formazione, i 45 giri di varie edizioni italiane appartenenti al collezionista Giuseppe Verrini e poi riviste, locandine , biglietti di concerti e vari oggetti d’affezione, appartenenti alla raccolta personale di Bolzoni e a quelle di altri aficionados.


Quanto alle 25 opere di Amazing Journey, esse sono altrettante incursioni nel mondo multiforme e visionario della band britannica. L’eterogeneità delle proposte rientra coerentemente in un concept che ricorda l’artwork di Face Dances (1981), che racchiudeva 16 ritratti dei membri della band realizzati da altrettanti pittori britannici sotto la supervisione artistica di Peter Blake, lo stesso che progettò la celeberrima cover di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band.
In occasione della mostra milanese, gli artisti si sono cimentati, con la massima libertà espressiva, con molteplici soggetti, dalle rielaborazioni di copertine celebri ai ritratti dei componenti del gruppo o hanno dato voce alle libere associazioni suscitate in loro dal contatto con la musica di Townshend&soci. Sorprendente – ma non troppo, data la giovane età di molti autori – è il fatto che alcuni di essi, pur non avendo mai ascoltato fino a poco tempo fa le canzoni degli Who, sono riusciti a coglierne aspetti ed elementi che, traporti nell’atto artistico, suscitano grandi emozioni nei visitatori.

Merita sicuramente una citazione, per impatto visivo ed originalità, Cercami tra le fragole di Elena Assi, un quadro che raffigura una figura femminile adagiata su un letto di fragole sullo sfondo di una città stilizzata: il riferimento (forse inconscio) è a Strawberry Fields Forever dei Beatles, mentre su un fabbricato alle spalle della donna campeggiano i loghi degli Who e dei Rolling Stones, a voler alludere alla già citata triade rivoluzionaria che cambiò per sempre la storia del rock.


People try to put us d-down di Francesco Biondo è invece una rilettura dell’iconico scatto di Art Kane che campeggia sulla cover di The Kids Are Alright, in cui i Quattro sonnecchiano avvolti in una coperta che ha i colori della Union Jack. Anche Monica Cristaldi ha scelto di rielaborare una copertina, quella di Who’s Next: l’elemento architettonico al centro della scena, sul quale Townshend, Daltrey, Moon ed Entwistle hanno appena lasciato traccia del loro passaggio, per così dire, diviene elemento costitutivo di una città invisibile. I Am the Sea di Jeanfilip fa invece riferimento al brano che apre Quadrophenia per riflettere sul rapporto tra uomo e natura, in un quadro di forma circolare che allude all’aprirsi e chiudersi dell’album con i suoni del mare.


Molti altri artisti hanno deciso di ritrarre singolarmente i componenti del quartetto, come Alberto De Lazzari, Sergio D’Antonio, Cinzia Fantozzi, o tutti insieme, come nel caso di Andrea Pisano, con un’opera che rimanda a Andy Warhol realizzata con interventi manuali su verniciatura digitale su alluminio, e di Silvia Rastelli: See Me, Feel Me di quest’ultima è l’unico quadro in comune tra questa mostra e quella tenutasi a Piacenza nei mesi di settembre-ottobre presso Biffi Arte e curata da Eleonora Bagarotti, giornalista, scrittrice e grandissima fan degli Who, che ha condiviso con essi (e in particolare con Townshend) numerosi momenti del loro percorso artistico e personale.


Materiali insoliti – il Tommy sordo muto cieco di Maria Cristina Limido è un tappeto costellato di occhi, il dittico Who n° 1 e n°2 di Vincenzo Lo Sasso è fatto di stampe dirette su alluminio – sono poi stati utilizzati da altri artisti, all’interno di un percorso visivo che fa appello anche ad altre sensazioni percettive.

Tra i ritratti spicca l’eco-mosaico di Lady Be, realizzato con oggetti di plastica su tavola di legno a comporre un intenso volto di Pete, dal titolo Behind Blue Eyes. La filosofia dietro l’opera è che i materiali di scarto dispersi nell’ambiente o destinati alla raccolta indifferenziata possano rinascere a nuova vita per guardare al futuro. Quello stesso futuro che Townshend in persona, in My Generation, non contemplava tra le possibilità dell’esistenza – I hope to die before I get old divenne allora il motto di molti, con vite vissute all’estremo ed abitudini anticonformiste e, a volte, autodistruttive, come nel caso dello stesso Keith Moon – ma che ora, visto il grande impatto che la musica degli Who continua ad avere, è più luminoso che mai. E quindi, anche dopo sessant’anni, è il caso di dire che The Kids Are (still) Alright.

Ricordiamo che a mostra è stata realizzata in collaborazione con l’associazione Art Marginem, mentre il catalogo è edito da Almach Art Editore e comprende diversi autorevoli contributi, come quelli dell’assessore alla cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi, di Eugenio Finardi, di note firme del giornalismo musicale come Guido Giazzi e Rosario Pantaleo, e di molti altri.
