I nuovi lavori discografici di Massimo Zamboni e del duo Martin-Battaglia esplorano, in modo differente, l’universo pasoliniano

Nessuno più di Pier Paolo Pasolini, tra gli intellettuali italiani del secolo scorso, ha avuto la capacità di esprimere considerazioni sulla realtà del suo tempo che sono risultate, a distanza di anni, profetiche. La sua grande sensibilità gli consentì infatti di cogliere la portata di fenomeni e problemi che hanno inciso profondamente sulla nostra società.
Nei suoi scritti condannò a più riprese il consumismo dilagante, l’edonismo di massa e il crescente potere della televisione come strumento autoritario di trasmissione di idee anticipando dunque, se vogliamo, l’onnipresenza della Rete come emblema del “capitalismo della sorveglianza” (l’espressione non è sua, ma avrebbe potuto esserlo: si tratta, in realtà, del titolo di un saggio di Shoshana Zuboff del 2019). In un famoso articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” nel 1974, Pasolini dichiarò poi di conoscere i nomi dei mandanti delle stragi della “strategia della tensione” che avevano insanguinato il nostro Paese e affermò che il “coraggio intellettuale della verità” fosse inconciliabile con la prassi politica. La sua figura dunque è sempre stata quella di un personaggio “scomodo”, capace tanto di stigmatizzare la corruzione quanto di rivolgere sguardi compassionevoli verso gli ultimi, e al tempo stesso quella di un autore alla cui finezza di analisi si sono richiamati, negli anni, esponenti di schieramenti contrapposti.
Nel cinquantenario della morte dello scrittore un artista come Massimo Zamboni, impegnato nella sua ricerca musicale e letteraria a ripercorrere la nostra storia recente e a denunciare le storture e le contraddizioni dell’attualità, non poteva mancare di rendergli omaggio. Ma anche un’interprete sensibile come Elsa Martin ha colto l’occasione per realizzare un lavoro di grande raffinatezza insieme al pianista Stefano Battaglia, che come lei ha indagato più volte l’universo poetico pasoliniano.

P.P.P. – Profezia è Predire il Presente” di Zamboni è una sequenza di tredici tracce, come altrettanti capitoli di un’opera letteraria, nata da un progetto di reading-concerto per il Gabinetto Viesseux di Firenze che alternava canzoni a letture da opere di Pasolini e di testi scritti dal musicista reggiano.
Nell’album brani già editi si affiancano a canti popolari, a un tributo a Giovanna Marini e a tre inediti, il tutto accompagnato da un libretto di 32 pagine che esplica la genesi e le ragioni del lavoro. Il sentimento che pervade “P.P.P” è una sorta di “dolore civico profondo”, per dirla con le parole di Zamboni stesso: il pathos civile espresso da Pasolini nel suo variegato percorso artistico, tra poesia, romanzo, giornalismo e cinematografia, ma anche quello che si coglie nella discografia del cantautore, da “Sorella sconfitta” a “La mia patria attuale” fino al più recente “Andare via”.

foto di Andrea Dani

Il disco si apre con il breve recitato di E jo çanti, tradizionale villotta friulana tratta dal “Canzoniere italiano” curato da Pasolini per Garzanti, la raccolta di testi poetici popolari con la quale Massimo, pochi giorni prima della morte dello scrittore, si accostò per la prima volta alla sua opera. A seguire, l’inedito La rabbia e l’hashish, in cui la sostanza stupefacente è sinonimo dell’ottundimento dei sensi che affligge la società contemporanea.
Dal proprio canzoniere Zamboni ha poi selezionato una serie di brani che hanno numerosi punti di contatto con la poetica pasoliniana, in nuove versioni rese più intese dagli arrangiamenti realizzati insieme a Cristiano Roversi ed Erik Montanari. In Ora ancora ci si interroga sull’eventualità di abbandonare un Paese che ci ha deluso e ferito o di restarvi, consapevoli del coraggio e della capacità di resistenza che saranno necessari. Vorremmo esserci menziona gli “Scritti corsari” ed esprime la necessità di essere attivi, presenti, di impegnarsi in prima persona. Sorella sconfitta, uno dei primi brani scritti dopo la chiusura con i CSI, riflette invece sul significato della sconfitta come elemento che accomuna gli esseri umani: un nuovo umanesimo deve necessariamente ripartire dal dolore e in questa condizione è importante agire “fermamente, collettivamente” sentendosi “compagni”, parola ancora necessaria così come è necessario far fronte alla minaccia delle “croci uncinate” e delle “sagome nere”.
Tra le riletture spicca Grandola vila morena di Josè Afonso, l’inno della “Rivoluzione dei garofani”, che venne trasmessa alla mezzanotte del 24 aprile 1974 da una radio di Lisbona come segnale convenuto per l’insurrezione. Il brano esprime la speranza nel futuro di democrazia e di giustizia sociale per tutta l’Europa che la caduta della dittatura portoghese aveva prefigurato e invita l’ascoltatore a riflettere sugli entusiasmi di quell’epoca, che appaiono lontani dal senso di solitudine e smarrimento dei nostri tempi. L’omaggio a Giovanna Marini prende poi vita nella fusione di Lamento per la morte di Pasolini e Beati noi.

Altri due inediti sono Cantico cristiano, che richiama idealmente “Il Vangelo secondo Matteo”, in cui il regista dà voce al punto di vista degli ultimi, e Tu muori, che affronta con freddezza quasi chirurgica il momento della sua uccisione. Pasolini, persona non grata (titolo del brano che chiude l’album) ha avuto solo il tempo di avvertirci che “siamo tutti in pericolo”: parole quanto mai profetiche e lapidarie, ripensando agli eventi e ai drammi che hanno sconvolto l’Italia e il mondo nei cinquant’anni trascorsi da quando lui le ha pronunciate, mentre le chitarre urlano al cielo, in chiusura del brano, un autentico lamento funebre per un intellettuale rimasto spesso inascoltato.
Ricordiamo che “P. P. P” non è disponibile sulle piattaforme digitali, bensì nel solo formato fisico reperibile nei punti vendita, sul sito egeamusic.com e su quello dell’associazione Rizosfera, dove con l’acquisto verrà fornito anche un link per l’ascolto in streaming.

Il decennale sodalizio artistico tra Elsa Martin e Stefano Battaglia ha invece prodotto “Lyra“, un album i cui testi sono basati su liriche in friulano dell’autore. Le dodici tracce che compongono il lavoro si configurano come un autentico dialogo tra poesia e musica attraverso i timbri della voce di Elsa e del pianoforte di Stefano, che creano un raffinato tessuto sonoro in cui ciascuna parola è “cucita” sulle note acquisendo un’inedita forza espressiva. L’intento dei due artisti è quello di dare vita a nuove forme musicali fondendo tradizione liederistica, musica popolare e suggestioni della contemporaneità. Improvvisazione e creazione estemporanea si intrecciano ai significati intrinseci ed estrinseci dei testi poetici, mettendo in luce la sensibilità interpretativa e la vocazione sperimentale di Marin e Battaglia.

Non è la prima volta che Elsa e Stefano, singolarmente o insieme, si accostano all’opera di Pasolini. Nel 2005 Battaglia aveva dedicato all’intellettuale il doppio CD “Re: Pasolini” ed alcune di quelle composizioni sono state ora riproposte in “Lyra” con l’aggiunta delle liriche. Anche Martin aveva esplorato l’universo pasoliniano nel disco “Linguamadre: Il Canzoniere di Pasolini” (2020) e con lo spettacolo teatrale “Rosadal”. Insieme, poi, i due artisti hanno realizzato “Sfueai” (2019), un album  che traspone in musica i componimenti di alcuni dei più importanti poeti friulani del Novecento.

foto di Ulderica Da Pozzo

Il titolo dell’album Lyra fa riferimento allo strumento musicale che simboleggia la poesia, ma anche all’omonima costellazione il cui astro più luminoso, Vega, è una delle stelle principali dell’emisfero boreale. E Pasolini, secondo Elsa Martin e Stefano Battaglia, è a sua volta un simbolo, quello della sopravvivenza della poesia nella moderna civiltà degradata che lui stesso aveva profetizzato, ma anche un fulgido corpo celeste in grado di fare luce, con la sua intelligenza e la sua capacità di analisi, nell’oscurantismo che affliggeva gran parte della società italiana del suo tempo. Al tempo stesso, esplorandone la produzione dialettale, relativamente poco nota al grande pubblico, i due artisti hanno voluto sublimare il Pasolini-icona elevandolo, come essi stessi hanno dichiarato, a puro suono e intelletto.

La lingua friulana è per Martin, nata a breve distanza da Casarsa – il paese di Susanna Colussi, madre di Pier Paolo, dove egli stesso visse per alcuni periodi – un mezzo espressivo naturale, dalla materia fonetica duttile e vibrante, ricco di onomatopee e di espressioni intraducibili. Il dialetto era per Pasolini lingua “materna” (cioè parlata dalla madre) ma non lingua “madre” (suo padre era originario di Bologna) e proprio per questa ragione la sua ricerca “a posteriori” delle proprie radici fu per lui una possibilità di reinventare e arricchire il linguaggio poetico. Accostandosi al friulano come profondo conoscitore, pur non essendo un parlante nativo, lo scrittore dimostrò infatti la capacità di coglierne le sfumature più sottili e persino di creare parole nuove.
I testi prescelti sono tratti per lo più da due raccolte: “Poesie a Casarsa” (1941-43), confluite poi ne “La meglio gioventù”, e “Poesie dimenticate” (1965). Tematiche ricorrenti sono l’innocenza dell’infanzia, il senso del peccato, la bellezza della natura e la fusione panica con essa, elementi di religiosità (il canto delle campane, la preghiera degli ultimi): tutti aspetti del mondo contadino, oltre che ricorrenti nella cultura popolare, che l’autore aveva voluto celebrare nella sua monumentale antologia “Canzoniere italiano”.
La composizione dei brani si è basata sull’adattamento delle liriche a melodie preesistenti, originariamente nate come strumentali. A tracce che rimandano a poesie note (Donzel, Pari nustri, A na fruta, Ciampanis) si alternano parti strumentali – i quattro brevi interludi di Lyra mentre Canzone di Laura Betti è un pezzo in cui pianoforte e vocalizzi rievocano, in un’atmosfera nostalgica e struggente, la figura dell’attrice-musa del regista, che alla scomparsa di quest’ultimo si dichiarò erede spirituale del suo lascito artistico.

foto di Ulderica Da Pozzo

Unica traccia in lingua italiana, In forma di rosa, che nasce da un frammento del componimento Poesia in forma di rosa (1964) e si sviluppa in una serie di improvvisazioni generate dalla risonanza dei versi pasoliniani sull’animo dei due artisti. È forse in questo brano, dalla lunghezza importante (14 minuti), che la valenza espressiva della vocalità di Martin, sostenuta dal sofisticato pianismo di Battaglia, tocca i suoi vertici.
Lyra” è un album in cui, a differenza di altre operazioni di “poesia in musica” in cui la parola poetica, rivestita a posteriori di un “abito” di note, resta inalterata rispetto al testo originale, i componimenti di Pier Paolo Pasolini sono il punto di partenza di una ricerca che trascende il significato dei versi stessi per raggiungerne l’essenza. E questa essenza, afferrabile solo tramite l’intuito, al di là della razionalità, diventa accessibile all’ascoltatore grazie all’intreccio delle preziose trame sonore e vocali di cui Elsa Martin e Stefano Battaglia sono gli abili artefici.

Questo articolo è la rielaborazione di due articoli già pubblicato sul sito L’Isola che non c’era:
https://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/p-p-p-profezia-e-predire-il-presente
https://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/album/lyra