Una chiacchierata con il musicista in occasione dell’uscita del suo album “Why Not”
Un paio di settimane fa, lo stesso giorno in cui ho incontrato Michele Di Mauro, protagonista del mio precedente articolo, al concerto di Thom Chacon a Cantù, ho avuto occasione di rivedere Paolo Ercoli, amico e musicista che è una presenza quasi fissa in molti dei live a cui ho assistito in questi ultimi anni e dei quali più volte ho parlato in questo blog. In questi giorni Paolo ha raggiunto un importante traguardo: la pubblicazione del suo CD, dal titolo semplice e accattivante al tempo stesso, “Why Not”, distribuito dalla Appaloosa Records. Ho colto l’occasione per fare con lui una lunga chiacchierata, che riporto in questa intervista.

Ciao Paolo, benvenuto nel mio blog e grazie per avermi dedicato un po’ del tuo tempo.
Ciao, grazie a te e a tutti coloro che leggeranno questa intervista.
Ti chiedo, innanzitutto, di raccontarci da dove nasce la tua passione per gli strumenti che suoni, che appartengono alla tradizione statunitense, e di dirci chi sono i musicisti che ti hanno maggiormente influenzato o ai quali ti sei ispirato.
Da quando andavo alle scuole medie, ma credo già da prima, ascoltavo la musica che andava per la maggiore in quel periodo, quindi compravo i dischi di Led Zeppelin, Who, Black Sabbath, Genesis, Boston, AC/DC, ecc. Poi ho cominciato ad ascoltare gli Eagles, CSN, ma soprattutto James Taylor, che è stato colui che mi ha fatto venire la voglia di provare a suonare. Cosi mi sono fatto comprare una chitarra, la stessa e unica che ho adesso – non ne ho altre, in quanto la pandemia mi ha costretto a vendere quasi tutti gli strumenti che avevo, compresi vari amplificatori – ma, a parte questa triste “parentesi”, mi sono messo da solo ad imparare tutte le canzoni di James Taylor perché mi ero innamorato del suo modo di arpeggiare e volevo cercare di riprodurre quei suoni.
Da lì in poi mi sono appassionato sempre di più alla musica acustica americana, quindi country, bluegrass, folk, e allo stile di chitarristi acustici come John Renbourn, Stefan Grosman, Happy Traum, Duck Baker, Jorma Kaukonen e tutta una serie di altri personaggi che ho scoperto andando avanti nella mia ricerca sonora, finché all’età di 25 anni ho deciso di provare a suonare la chitarra dobro squareneck.

C’è stato un particolare evento o episodio che ti ha condotto a questa decisione?
La causa di questa scelta è stata l’ascolto di un album della Tony Rice Unit (Tony Rice è uno dei più grandi e bravi chitarristi acustici mai esistiti, scomparso purtroppo lo scorso dicembre) dal titolo “Manzanita”, dove suonava un certo Jerry Douglas. Io ho cominciato a “drizzare” le orecchie quando ho udito le sonorità di questo strumento che fino a quel momento non avevo ascoltato con molto interesse, anche perché non era ancora molto presente nella musica bluegrass. In effetti esso si è inserito gradualmente in questo ambito rispetto ad altri strumenti già affermati come banjo, chitarra, mandolino.
L’ascolto dell’album “Manzanita” è stato quindi per me una sorta di una folgorazione. Inoltre Jerry Douglas, con questo suo nuovo modo “moderno” di suonare, ha completamente cambiato l’approccio a questo strumento, trasformandolo in qualcosa di più dinamico ed accattivante, così da quel momento ho voluto provare a vedere se riuscivo a fare qualcosa anche io con questo “strana” chitarra, sconosciuta in Italia e tuttora suonata da pochissime persone in maniera professionale.
Possiamo quindi dire che Jerry Douglas è il musicista che ti ha influenzato in maniera decisiva…
Sì, è proprio grazie a Jerry Douglas che ho iniziato questo mio percorso, e la cosa eccezionale è che sono riuscito a conoscerlo personalmente dopo molti anni, a diventarne amico e, addirittura, ad ospitarlo nel mio CD uscito da pochi giorni, in cui suoniamo una canzone insieme; quindi diciamo che ho “chiuso il cerchio” e non avrei potuto avere soddisfazione maggiore nella vita. Jerry, tra l’altro, è un musicista famosissimo, ha suonato con personaggi molto conosciuti, come Paul Simon, James Taylor, Eric Clapton e tanti altri ancora, pertanto averlo come ospite nel mio CD è qualcosa di notevole. Inoltre sono l’unico artista italiano con cui ha collaborato finora, duettando col suo dobro. Una felicità immensa.

Nella tua carriera vanti moltissime prestigiose collaborazioni con artisti italiani e internazionali. Potresti citarne alcuni?
Si ho collaborato e suonato insieme a molti artisti stranieri… vediamo se me li ricordo tutti… potrei dimenticarne qualcuno, comunque la memoria mi dice: Bocephus King, Eric Andersen, Kevin Welch, Jono Manson, Richard Lindgren, Radoslav Lorkovic, Betty Soo, Annie Keating, Scarlet Rivera, Danni Nicholls, Heidi Holton, Luke Bulla, Tim Grimm, Matt Harlan, The Orphan Brigade, Doug Seegers, Jason Eady, Malcolm Holcombe, Jaime Michaels, Tony Garnier, Thom Chacon, Chris Buhalis, Steve Forbert…
Per quanto riguarda i musicisti italiani, anch’essi sono numerosi: mi sovvengono Max De Bernardi e Veronica Sbergia, Stefano Barotti, Freddie Del Curatolo, Jimmy Ragazzon, Andrea Parodi, Lorenzo Del Pero, Violante Placido, Dalton, Davide Facchini e Anita Camarella, Miko Cantù, Luca Rovini e tutta una serie di altri artisti di “sottobosco” e bravi cantautori, ma non riesco a nominarli tutti (sorry!)

Ci sono degli episodi significativi legati a qualcuno di questi musicisti?
Per quanti riguarda gli aneddoti, ogni tour con questi personaggi porta con sé una miriade di storie e curiosità, che loro stessi mi raccontano mentre viaggiamo da una città all’altra. A volte ci sono artisti dal carattere più facile o meno, personalità più marcate con cui si fa inizialmente fatica ad entrare in sintonia e bisogna comunque cercare di mantenere le giuste distanze senza infastidire, ma direi che la stragrande maggioranza di loro è sempre stata disponibile, simpatica e comprensiva. Si verificano anche momenti “avversi”, come l’episodio capitato nell’ultimo tour che ho fatto di recente con Thom Chacon e Tony Garnier, durante il quale il nostro furgone di grosse dimensioni si è ritrovato con una gomma a terra. Thom ed io ci siamo rimboccati le maniche, ci siamo sporcati le mani a più non posso per cercare di riparare questa ruota, insieme siamo riusciti a capire come fare e, fortunatamente, abbiamo sistemato il tutto poco prima dell’inizio del concerto. Ma, indubbiamente, sono sempre tante e strane le cose che capitano in tour, quindi questa è solo una di esse.

Il tuo album, “Why Not”, ha avuto una lunga genesi, infatti ti è costato circa due anni di lavoro, compresa la parentesi del lockdown. Perché hai scelto questo titolo?
Sono molto soddisfatto di questo titolo per due motivi. Il primo di essi è, a mio parere, simpatico e insolito, in quanto “Why Not” è una mia canzone che ho composto con il mandolino. Mi faceva sorridere il fatto che questo CD, il primo di un dobroista italiano, potesse avere il titolo di un brano eseguito invece con il mandolino. Quindi, alla domanda di rito: “Sei principalmente un dobroista e vuoi fare un CD sul dobro; perché dunque scrivi e suoni canzoni col mandolino?” la mia risposta è “Perché no?” Poi, in verità, ho inserito un paio di note di dobro in ogni caso… Ma principalmente la title track è suonata con il mandolino, e in essa duetto anche con uno dei miei miti di questo strumento, che è Joe K. Walsh.

Conoscendoti, credo che il titolo dell’album voglia anche rispecchiare la tua filosofia di vita…
È proprio così! Questa “domanda-risposta”, ma più che altro questo modo di vedere, concepire e vivere la vita, è la seconda ragione per cui mi piace questo titolo. Perché dovremmo porci dei limiti? Secondo me “Why not?” è un messaggio positivo, che suggerisce speranza e infonde consapevolezza in noi stessi. Spesso, di fronte a sfide o a situazioni nuove, ci si sente dire – o siamo noi stessi ad insinuare nella nostra mente dubbi e incertezze – “questo non si può fare, è meglio di no, forse è sbagliato, ecc.,”, ma secondo me la domanda da porsi invece è “perché no?” Perché non provare, se qualcosa ci piace, se può farci stare bene? Non ci sono limiti né confini alla nostra immaginazione e alla nostra voglia di fare e osare. Dovremmo proporre ciò che piace a noi cercando di farlo piacere anche agli altri, perché se lo facciamo vuol dire che stiamo mettendo in gioco parte di noi per proporre qualcosa di nostro, o almeno ci stiamo provando. Quindi, riassumendo, ho scritto una canzone per mandolino e ne ho utilizzato il titolo per il CD di dobro. Perché no?
Da musicista abituato a suonare dal vivo e ad essere in tour, come hai vissuto la reclusione forzata di quei mesi? Con frustrazione, come molte persone “comuni”, o approfittando per sviluppare i tuoi progetti, come hanno fatto numerosi artisti?
Per quanto riguarda lo “stop” causato dal lockdown, l’ho vissuto pesantemente, all’inizio, in quanto esso ha avuto inizio proprio una settimana prima dell’arrivo dei cantautori americani con cui sarei dovuto andare in tour per due mesi. Ciò ha significato per me – e per ogni musicista – mancanza di lavoro, e quindi anche di guadagno, che nel nostro settore è comunque già molto basso anche quando suoniamo, figurarsi se non possiamo farlo per un anno e mezzo. Ho cercato di “sopravvivere” facendo qualche livestream su Facebook, in modo da rimanere comunque in “allenamento” ed in contatto con le persone, e chiedendo il supporto economico da parte di tutti coloro che partecipavano. Poi, appunto, ho preso spunto da questa forzata “segregazione” per ultimare il mio CD, che giaceva da tempo “nel cassetto”.

Il miglioramento della situazione epidemiologica ti ha dato quindi la “spinta” per portare a termine il progetto…
Sì, avevo “in cantiere” molte canzoni ed aspettavo molte registrazioni dall’estero, in particolare da musicisti americani che a loro volta avevano le proprie difficoltà, quindi la produzione è stata veramente lunga. Negli ultimi mesi sono riuscito ad accelerare il tutto ed ora ho finalmente in mano il mio prodotto. Posso sentire tutte queste canzoni cosi come le ho concepite, ed è veramente una bella soddisfazione aver orchestrato una quantità così grande di musicisti, organizzando tutto da solo, decidendo ad esempio chi doveva suonare, come, cosa e dove, ed “amalgamando” poi il tutto, aggiungendo a volte anche ulteriori strumenti, voci, ecc. Un lavoro davvero impegnativo, del cui risultato finale sono molto orgoglioso.
Nell’era delle piattaforme digitali realizzare un album su un supporto “materiale” come il CD e il vinile è diventato più difficile che in passato e molti artisti, come nel tuo caso, ricorrono al crowdfunding per pubblicare i propri lavori. Questa scelta ha comportato delle soddisfazioni, in termini di vicinanza con i tuoi fans?
Inizialmente non volevo ricorrere al crowdfunding, ma a causa dello “stop” forzato durante questi mesi non ho avuto la possibilità di guadagnare, bensì solo di spendere, per lo studio di registrazione, per i musicisti e via discorrendo. Pertanto ho dovuto chiedere l’aiuto del pubblico e riguardo a questa possibilità non avevo, inizialmente, grosse aspettative. In realtà è andata bene, anche se quello che ho chiesto non è neanche la metà rispetto a quello che ho speso in questi anni, in quanto il lavoro è stato lungo e i collaboratori coinvolti erano tantissimi, quindi i costi sono stati elevati. Anche se il crowdfunding è ancora aperto, la cifra raccolta fino ad ora mi permette di “respirare” un po’. L’aspetto positivo è l’aver percepito la vicinanza di tutte le persone che mi conoscono e che mi seguono, che è stata superiore alle mie previsioni, per cui questa è stata un’ulteriore fonte di sorpresa e di soddisfazione… quindi grazie a tutti, veramente.

La copertina del tuo disco è essenziale, nel senso che ritrae te e il tuo strumento, ma ha anche un illustre precedente: l’artwork dell’album “Brothers in Arms” dei Dire Straits (1984) rappresentava la chitarra dobro, immortalandola e rendendola iconica anche presso un pubblico che aveva meno familiarità con queste sonorità. Che differenza c’è tra la chitarra usata da Mark Knopfler e la tua? La tua ha la cassa armonica in legno, quella di “Brothers in Arms” è interamente in metallo: questo cosa comporta? (lo chiedo per i lettori che non hanno dimestichezza con questi dettagli tecnici)
Ho voluto che la copertina del mio disco fosse “senza di me” in quanto il mio scopo è che il focus ricada sullo strumento e non su chi lo suona. Vedere il dobro in primo piano fa capire tutto, e soprattutto che tipo di strumento ho utilizzato, cioè lo “squareneck”. La chitarra dobro può infatti essere “roundneck” o “squareneck”. La normale chitarra ha il manico arrotondato dietro, dove poggia la mano con cui si fanno gli accordi, quindi la chitarra dobro “roundneck” (round=rotondo e neck= manico, tastiera) è quella che si suona nella stessa posizione di quella normale, e generalmente è tutta in metallo, per riprodurre quel suono più vintage dei primi bluesman che, non avendo possibilità di comprarsi una vera chitarra, se la costruivano utilizzando vari oggetti di metallo che trovavano in giro e che riuscivano a piegare dando ad essi la forma della chitarra. Questo è il motivo, non perché quindi lo strumento in metallo suonasse meglio, ma solo perché non avevano altro e si “arrangiavano” cosi. Ad ogni modo la chitarra dobro “roundneck” è quella della copertina dell’album dei Dire Straits. La chitarra dobro “squareneck” (square =quadrato e neck =manico) è invece quella che suono io: il manico è squadrato, non arrotondato come nella normale chitarra, e si può suonare solo mettendola in orizzontale sulle ginocchia; inoltre ha il capotasto molto alto, infatti tra le corde e la tastiera ci si può far passare quasi un dito. Questa altezza fa sì che, se anche la si girasse per suonarla come una chitarra normale, non ci si riuscirebbe perché questa altezza tra le corde e la tastiera non permette di schiacciare le corde, quindi la si può suonare solo in orizzontale con una barra di metallo nella mano sinistra, che principalmente scivola sulle corde. Nel 90 % dei casi la dobro “squareneck” è fatta di legno, o di vari legni, mentre la “roundneck” è principalmente in metallo. Esiste anche una versione della “squareneck” in metallo, ma è poco usata rispetto alle normali in legno. Cosi come esistono delle “roundneck” in legno, comunque. Però è il modo di suonarle che è differente, ed inoltre hanno una diversa accordatura.

Così come le tue collaborazioni con altri artisti sono numerosissime, allo stesso modo molti di loro hanno suonato nel tuo disco, come si è detto in precedenza. Un nome fra tutti: Scarlet Rivera, la violinista di Bob Dylan. Come ti senti quando hai modo di suonare insieme a questi personaggi che hanno fatto la storia della musica contemporanea?
Si, anche questa è stata una sorpresa. Quando ho chiesto a tutte queste persone se fossero state disponibili a suonare qualcosa insieme a me, io mi aspettavo più che altro un “no”, oppure qualche scusa, del tipo “ora sono impegnato in questo e quello, e non so se avrò tempo…”. Invece tutti hanno detto di sì, quindi mi sono ritrovato con moltissimi aspetti a cui pensare e con il problema di trovare canzoni adatte per tutti. Anche quando ho chiesto a Jerry Douglas mi aspettavo un no, invece un’ora dopo avergli mandato la mail mi ha risposto con “certo Paolo, per te sicuramente”, quindi mi sono ritrovato a pensare: “e ora cosa suono con Jerry Douglas?” Che è un bel pensiero, ah ah! E così è andata con tutti gli altri: quando mi sono rivolto a qualsiasi persona con cui ho fatto tour in Italia, e che avevo aiutato in tutti i modi, loro mi hanno “ripagato” con la loro musica, mettendosi a mia disposizione, quindi è stata veramente una soddisfazione grandissima. Sono comunque tutti musicisti di livello internazionale e molti strumentisti sono i migliori nel loro campo, con tanti awards vinti nei rispettivi strumenti… insomma, è stata una gioia infinita avere cosi tanti artisti insieme per me, sicuramente tutto il meglio di Nashville e anche di più, perché ci sono musicisti da tutta l’America – Scarlet, per esempio, vive in California. Un cast veramente stellare.

Che programmi hai per questa estate e per l’immediato futuro?
Ho appena finito il tour con Thom Chacon e ho ancora tre o quattro date qui in Lombardia con altri amici musicisti, mentre in agosto non ho praticamente nulla, purtroppo. Sto lavorando per settembre, per cercare qualche data dove poter presentare il mio CD. Inoltre rilascerò altre interviste per promuoverlo e farò altra promozione. È sempre difficile trovare dei luoghi dove suonare, e inoltre spero davvero che subito dopo l’estate non ci sia un ennesimo “stop” come forse stanno già cercando di farci capire, il che sarebbe estremamente dannoso per il nostro settore. Diciamo che tengo le dita incrociate e cerco comunque contatti per il futuro, per poter riuscire a suonare il più possibile, restando sempre positivo per quanto riguardo il mio futuro con la musica… Why Not?
Ringrazio di cuore Paolo, musicista di talento e persona squisita, per questa piacevolissima chiacchierata e per la sua estrema disponibilità, augurandogli il meglio per la sua carriera e per il suo futuro.

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