“To The Mountain” di Kreg Viesselman: un album sulla ricerca dell’autenticità

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Una tela, una pagina, un muro di colore bianco evocano l’idea di una libertà totale, perché su di essi si possono tracciare segni, scritte o figure senza costrizioni né vincoli. La pagina vuota è anche sinonimo di rinnovamento, di possibilità di scelta, di un nuovo inizio. E Kreg Viesselmann, cantautore originario del Minnesota ma norvegese d’adozione, ha paragonato il senso di libertà che un trasferimento o un cambio di residenza possono dare proprio ad una sorta di foglio bianco sul quale scrivere della propria vita o, per usare le sue stesse parole, proiettare delle ombre cinesi, lasciandosi alle spalle il passato e andando incontro a nuove esperienze:

Placing oneself in a completely new location gives that person a blank canvas, a clean white wall on which to practice their shadow puppets anew. 

Il musicista statunitense, dopo aver ricevuto riscontri molto positivi con il suo primo album, The Pull (2006), ha scelto di ritirarsi dalle scene per quattro anni e di trasferirsi in Norvegia per realizzare un altro album, To Lose Your Light, anch’esso acclamato dalla critica. Il suo terzo LP, uscito nel 2015, è To the Mountain, per l’etichetta Appaloosa Records. In seguito Viesselmann ha partecipato all’edizione 2016 del Townes Van Zandt Festival a Figino Serenza e ha suonato spesso nel nostro Paese, al quale è molto legato.

E se l’idea della “pagina bianca” venisse riprodotta anche sulla copertina di un disco? Non un bianco totale, come nel cosiddetto White Album dei Beatles, bensì una sorta di tela sulla quale tracciare un enigmatico segno che rievochi il titolo del lavoro. Un artwork essenziale in cui su una superficie interamente candida si staglia una forma triangolare, realizzata con un tratto di pennello, simile ad un ideogramma giapponese, una montagna stilizzata: questa è l’immagine di copertina di To The Mountain. Realizzata dallo stesso Viesselmann, essa rievoca atmosfere rarefatte, quelle del lungo inverno nordico, delle distese di ghiaccio e di neve, e nel contempo lascia ampio spazio all’immaginazione.

Interpellato in proposito, l’artista ha spiegato che non si tratta di un ideogramma, anche perché nella lingua giapponese il simbolo della montagna non è triangolare. Tuttavia il simbolo assomiglia a quello che compare sul colletto del rakusu, il mantello dei monaci zen Rinzai, che è anche esso di forma triangolare. Il triangolo, inoltre, rievoca il cerchio dell’ensō, uno dei più celebri simboli zen, sinonimo di forza, illuminazione e dell’intero universo.

Lo Zen è citato anche nel booklet interno del CD: nella pagina centrale è riprodotta un’immagine in cui prevalgono il bianco e il grigio, con una striscia bluastra sul fondo, che rappresenta il dettaglio di un paesaggio, presumibilmente montuoso, anch’essa realizzata dallo stesso musicista. Al centro compare una poesia del maestro Soen Nakagawa. Il tema della lirica è quello della ricerca dell’illuminazione: il protagonista si reca sulla montagna per raggiungerla, ma tutto ciò che riesce a trovare, nello stile delle storielle zen, è solo l’eco che gli restituisce sia le risate che il pianto.

Questo concetto, vale a dire l’idea che la felicità non sia qualcosa di esterno, di non controllabile dall’uomo, bensì dipenda dal suo atteggiamento verso la realtà, è tipico di molte filosofie orientali, ma anche di una concezione che va dalle teorie new age sulla Legge dell’Attrazione al Transurfing di Vadim Zeland. Secondo questa visione il mondo è uno specchio (come l’eco di cui parla la poesia Zen) e ci restituisce il riflesso che emaniamo; di conseguenza, ciò che decidiamo di considerare positivo lo sarà sicuramente. Al riguardo, il cantautore dichiara che è necessario andare anche al di là di questo: non c’è felicita o tristezza al di fuori di noi stessi, e persino il fatto di affermare che gli eventi siano “neutri” significa imprigionare il flusso dell’esistenza in una categoria.

Queste complesse riflessioni percorrono tutto l’album, anche se non sempre in modo esplicito. Le tematiche del viaggio, della scoperta di sé e del contatto con la natura ricorrono negli undici brani che compongono il disco. To The Mountain è un lavoro costituito prevalentemente da ballate acustiche dalle sonorità folk-soul, che cattura soprattutto per le armonie vocali che trasportano l’ascoltatore verso territori onirici e bucolici. Viesselman è accompagnato da una band tutta norvegese, composta dal Anne Lise Frokedal alle chitarre e voce, Sondre Meisfjord al basso, Oystein Hvamen Rasmussen alla batteria e percussioni, Bard Ingebrightsen alle tastiere, Goran Grini al piano e Mari Persen al violino; è inoltre presente, come ospite, di Peter O’Toole degli Hothouse Flowers al bouzouki.

L’album si apre con l’affascinante Garland, che rievoca storie di campagna dei tempi andati, e prosegue con l’acustica David, un duetto con Anne Lise Frokedal, di sapore medioevale, in cui compare il già citato concetto di “nothing’s good, nothing’s bad… I chose not to be sad and I found that nothing’s wrong”. L’evocativa Crazy Horse recita invece: “those who choose to view but the single hue are choosing to be blind”, vale a dire, limitarsi ad una visione univoca dei fatti equivale alla cecità, alla mancata comprensione di essi. Nella sognante Honeycomb, in cui piano e chitarra trasportano l’ascoltatore in una dimensione trascendente, grazie anche alla vocalità di Kreg che qui si fa particolarmente suadente, il favo di miele potrebbe avere una valenza simbolica e riferirsi all’oggetto dei propri desideri. Dopo il folk di Our Sun Rose, uno dei brani più affascinanti, si passa alla trascinante The Disciple’s Song (Summer Leaves), un altro duetto con la voce femminile, che apparentemente racconta di un’amicizia “on the road” ma potrebbe anche alludere ad un rapporto tra maestro e discepolo, come lo stesso titolo suggerisce. La breve I Speak Loud (You Speak Louder), piano e voce, parla invece di incomunicabilità. Le tematiche stagionali ritornano In The Summer In Oslo, basata sui timbri di piano e tromba, in cui si coglie qualche lontana eco beatlesiana. Dopo The Inefficiency Waltz, una sorta valzer lento sulla tematica dell’inadeguatezza al vivere, la malinconica Demons invita a venire a patti con se stessi e con le proprie inquietudini, dato che “all things must pass”:

We’ll come and then we’ll go/I don’t worry, no/We’re all clichés/whose days must come and go

Chiude la bucolica title-track To The Mountain, in cui i violini contribuiscono ad impreziosire il tessuto sonoro della canzone. La montagna è un luogo dove ritrovare il senso della vita, prima che cada la neve o al calar del sole:

Where once I carried worry/Anymore I carried none… /Among the trees, gold birches and the beech/I was happy, that is all.

Si conclude, dunque, ribadendo l’intento che percorre tutto il lavoro: trovare quello che Viesselman stesso definisce “a place of contentment”, vale a dire una dimensione di benessere, di accettazione dell’esistente, che però rifugge dal voler definire la realtà, dalla tentazione di incasellarla in categorie. To The Mountain è dunque un percorso musicale e spirituale che, tramite le sonorità evocative e affascinanti che caratterizzano la produzione del cantautore statunitense, riporta alla vera essenza, all’ hic et nunc, invitando al distacco dalle distrazioni e dagli atteggiamenti che isolano dal reale.