Marta e Marco Ferradini: una chiacchierata dal palco… alla tavola
La musica si trasmette nel DNA? Il talento e la passione per le sette note sono ereditari? Potrebbe essere un luogo comune, ma è comunque verosimile che i figli di un musicista, cresciuti in un ambiente in cui gli stimoli artistici abbondano, possano sentirsi ispirati a seguirne le orme. Sicuramente, quando genitori e figli condividono questo percorso, lavorare ed esibirsi insieme è una grande opportunità, anche se ciò avviene solo occasionalmente. È interessante, poi, vedere due generazioni a confronto non solo in ambito professionale, ma anche nella quotidianità. Per questo sono davvero felice di aver avuto l’opportunità di intervistare Marco e Marta Charlotte Ferradini, con i quali ho avuto modo di confrontarmi su diverse tematiche: il loro legame affettivo e musicale, il loro rapporto con la cucina, i loro progetti più recenti e quelli futuri. È stata una piacevolissima conversazione a tre.

Marco, lo scorso anno ha avuto luogo la ricorrenza dei 40 anni di Teorema, una canzone che è rimasta nella storia della musica leggera italiana. È un brano che a distanza di tanto tempo esercita ancora notevole fascino e risulta essere di grande attualità ogni volta che viene riproposto da te o interpretato da altri artisti. Che cosa rende tale pezzo un evergreen, secondo te?
Il successo di Teorema di allora e di adesso, a mio avviso, sta nel fatto che è una canzone sincera, che tratta un argomento che coinvolge tutti e che rivela chi siamo veramente, con le nostre forze, debolezze e soprattutto contraddizioni.
Marta, immagino che la presenza di un papà musicista abbia influenzato la tua decisione di fare carriera in ambito musicale. Sei partita come interprete e in seguito hai sentito il bisogno di esprimerti anche nella scrittura di brani da te composti. In quale misura la presenza di tuo padre ti ha supportato nelle scelte da te compiute?
In realtà credo di poter affermare che, a prescindere da mio padre, in qualche modo, magari sempre cantando o solo scrivendo o dipingendo, avrei comunque scelto la strada dell’arte. Perché in realtà io ho deciso di fare della musica la mia vita relativamente tardi, dopo aver seguito un percorso di studi tradizionale ed essermi laureata a pieni voti. Eppure ho sentito che nella vita avrei voluto comunicare con gli altri, avevo e ho tutt’ora questa urgenza di comunicare con le persone, di entrare in intimità con loro. E l’arte, in ogni sua forma espressiva, ti permette di farlo nel modo più bello, sincero e diretto possibile. Poi capisci subito se quello dell’artista è il tuo mestiere: se la prima volta che sali su un palco non hai un attacco di panico ma, anzi, ti senti galvanizzato da quella sensazione… allora vuol dire che puoi provare a fare il frontman!

Avete realizzato diversi duetti, come Le Parole ed altri brani (Pane, Buona stella, Solamente uniti siamo) contenuti nell’album L’uva e il vino di Marco, uscito due anni fa. Si percepisce che siete davvero molto legati, e sicuramente collaborare per voi è una situazione di privilegio. Quali emozioni si provano a cantare insieme da padre e figlia?
Marta: Io la definisco bellezza al quadrato: perché la bellezza per me è stare su un palco cercando di “parlare” e di farmi conoscere dal pubblico che ho di fronte, se poi condividi questa fortuna con una persona che ami… è, appunto, bellezza elevata al quadrato! Anche perché ogni volta che canto e il mio sguardo incrocia quello di mio padre… io so esattamente cosa sta provando, cosa sta pensando… perché è quello che sento e penso io!
Marco: Tutto nasce dal gioco, da quando sei a casa e impari ad accompagnarti con la chitarra e il pianoforte, ti diverti con la musica. Passa il tempo e improvvisamente ti ritrovi sul palco a ricreare quell’alchimia che dà molta carica e vuoi condividerla con il tuo pubblico. Meravigliosi attimi.

Il brano Pane, nella versione solista di Marta, è stato inserito nella raccolta “Musica nuova in cucina”, realizzata dall’Officina della Musica di Como, al quale lei ha contribuito con una tipica ricetta lombarda, la “Torta Nicolotta” o torta di pane. Da chi è nata l’idea di essere coinvolta in questo progetto?
Cecilia Casella dell’Officina della Musica mi ha chiamato in tempo di pandemia chiedendomi di partecipare a questo progetto di beneficenza per raccogliere fondi per il suo locale… e siccome credo che i luoghi pubblici preposti alla musica siano dei templi sacri al giorno d’oggi, ho accettato l’invito!
E qual è il vostro rapporto con la cucina? Vi capita di cucinare insieme o avete delle ricette di famiglia che non possono mancare nei mostri momenti conviviali?
Marta: Come dico anche nel mio racconto per il progetto Musica nuova in cucina, io non amo molto cucinare … preferisco di gran lunga mangiare! E credo che anche mio padre sia del mio stesso avviso!
Marco: Purtroppo deve ammettere un cuoco molto scarso e oltremodo monotono. L’unica cosa che so fare sono i sughi per la pasta, forse perché sento i vari componenti come se fossero accordi e note e mi sembra che ogni sugo sia una piccola canzone.
Una bellissima immagine, direi, che ancora una volta esprime l’insolito rapporto tra musica e cucina… Parlando del libro, ho apprezzato molto il contributo di Marta, in cui lei racconta la sua passione per il pane e l’episodio accaduto in Danimarca, in cui per festeggiare il Capodanno acquistò 20 tipi diversi di pane…
Grazie per l’apprezzamento! Mi sono divertita sia a rievocare quel momento, perché quel Capodanno è stato epico dal punto di culinario, ma anche a scriverne, poiché un’altra delle mie passioni è proprio la scrittura.
Tornando, invece, all’album L’uva e il vino, possiamo dire che questo titolo abbia una connotazione simbolica: l’uva simboleggia la dolcezza e la bellezza della gioventù, mentre il vino, che per avere valore deve essere sapientemente invecchiato, rappresenta la saggezza e la maturità. Questo aspetto si coglie anche nelle foto di copertina: la front cover ritrae Marco in uno scatto contemporaneo, mentre sul retro compare un Marco ventenne. Possiamo dire che la tematica dello scorrere del tempo sia ricorrente nel disco, insieme a quella delle relazioni?
L’Uva e il Vino contiene 13 brani inediti. Sono nati da esperienze vissute e pensieri. Li ho scritti in un lungo lasso di tempo, anche perché non si fanno più uscire dischi con la frequenza di una volta. Il tempo scorre e noi insieme a lui… tutto cambia, alcune cose più in fretta, altre meno…quelle a cui siamo affezionati vorremmo non cambiassero mai! È un album interamente suonato da musicisti veri, con suoni autentici e con un’aura stile anni ‘80. Ringrazio, a questo proposito, Antonio Chindamo che ha arrangiato il tutto e l’atmosfera del suo studio, l’Auditoria Records di Fino Mornasco.

A proposito di vino, una grande firma del giornalismo lariano, Maurizio Pratelli, ha scritto una serie di libri intitolata “Vini e vinili”, dedicata agli abbinamenti tra dischi italiani e internazionali e rossi, bianchi e spumanti. Marco, quale vino accosteresti, in quest’ottica, alla tua musica?
Sicuramente un Bonarda…
A questo punto ho voluto indagare quali caratteristiche potrebbe avere questo vino per essere abbinato alla musica di Marco Ferradini e mi sono documentata sul sito winepoint.it:
Le caratteristiche principali di questo prodotto tipico dell’Oltrepò (ma esiste anche il Bonarda Piemontese) ne fanno un vino beverino e molto gradevole che si presenta vivace e frizzante e si abbina in maniera eccelsa a salumi, zampone, bolliti, cotechino e soprattutto alla pietanza simbolo dell’Oltrepò: la cassoeula. Per quanto riguarda i primi piatti, il Bonarda è l’ideale con sughi a base di pomodorino fresco e carne, risotti con legumi (o carni varie), ravioli di carne oppure brodo. Il colore tipico è un rosso rubino molto intenso, per un vino che si presenta all’olfatto con un profumo denso e un delicato sentore di lieviti che lo rendono particolarmente gradevole. Il gusto secco e amabile lo rende un vino vivace e leggermente tannico.

Marco, so che tu sei un grande appassionato dei Beatles. Influenze beatlesiane si colgono anche qua e là nel tuo ultimo album. Qual è stato il loro primo disco che hai comprato, o che in qualche modo consideri particolarmente significativo?
Beatles forever! Riguardo alla loro musica, devo ammettere che più passa il tempo e più essa mi convince perché percepisco la sua carica di autenticità. Il primo brano dei Beatles che mi capitò di ascoltare fu Please Please Me e per me fu un autentico viaggio in un mondo di nuove sonorità, impasti vocali e melodie rivoluzionarie.
Marta, nel 2012 il tuo brano Martarossa, scritto con Bungaro, ha vinto il prestigioso premio Bianca D’Aponte. Nel 2020 è uscita una nuova edizione del brano, mentre il tuo ultimo singolo, Arcobaleno, è del 2019. Quali sono i tuoi progetti personali futuri? E ci saranno altre collaborazioni tra voi?
Il mio prossimo futuro vedrà il mio primo album da solista: i brani ci sono tutti, sto solo cercando di capire quando e come uscire. Per un artista, in realtà, la discografia e il management sono più importanti di (quasi) ogni altra cosa! Ma se tutto va come dovrebbe il 2022 sarà l’anno giusto! Per quanto riguarda nuove collaborazioni con mio padre… molto volentieri! In realtà lui è un artista molto istintivo e i nostri duetti sono sempre nati in modo completamente spontaneo… Le Parole e Pane per esempio sono brani che aveva scritto per sé, poi un giorno mi chiama e mi dice: “Perché non proviamo a cantarli insieme, ti va?” Io li conoscevo già alla perfezione perché alla fine la musica di mio padre scorre un po’ anche nelle mie vene e quindi siamo andati in studio… e sono nate le canzoni così come le conoscete voi!
Ringrazio Marco e Marta Ferradini per il tempo che mi hanno dedicato, in attesa di ascoltare Marco sabato 19 febbraio all’Officina della Musica di Como… magari ci sarà un duetto a sorpresa con Marta!