Michele di Mauro presenta “Insegnare alle ombre”, sequel del fortunato “Hey, sembra l’America!”
Gli esami di maturità si stanno avviando verso la conclusione e, per la prima volta dopo due anni, studenti e docenti hanno potuto affrontare questo momento importante senza mascherina. Io stessa mi sono stupita per il fatto di avere davanti, per la prima volta, la parte inferiore del volto di alcuni colleghi che, dall’inizio dell’anno, non avevo mai visto per intero. I miei alunni di quinta, classe 2003, hanno vissuto il primo lockdown con l’introduzione della DAD nella primavera 2020, l’alternarsi di aperture e chiusure dello scorso anno scolastico, per poi tornare quest’anno interamente in presenza, con l’attivazione della didattica digitale solo nel caso di singoli contagi. Poter frequentare regolarmente le lezioni è stata un’autentica boccata d’ossigeno, dispositivi di protezione delle vie respiratorie permettendo, per poter vivere la scuola come è giusto che sia, vale a dire come momento di aggregazione oltre che di formazione culturale. Nelle ultime settimane molti studenti hanno persino avuto l’opportunità di effettuare il tanto desiderato viaggio di istruzione di più giorni. Una ventata di normalità, dunque? Lo speriamo tutti, nonostante l’impennata degli ultimi tempi dei numeri legati alla diffusione del Covid. Questa, dunque, la mia esperienza di docente di scuola secondaria di secondo grado, sovrapponibile a quella della maggioranza dei miei colleghi di tutta Italia.

Ma al di là dell’oceano la DAD come è stata vissuta? Come hanno affrontato il primo lockdown gli studenti della Silvana High School, immaginario istituto del North Carolina, senza feste da ballo, assegnazioni di borse di studio, cerimonie di consegna dei diplomi e tutto ciò che appartiene all’immaginario dei teenager statunitensi (e all’idea che noi abbiamo della loro realtà scolastica, spesso derivante dalla visione di film a tema?). La risposta è scritta tra le pagine di Insegnare alle ombre, sequel del fortunato Hey, sembra l’America! (entrambi pubblicati da Battaglia Edizioni) di Michele Di Mauro, insegnante di latino negli Stati Uniti oltre che scrittore. Se nel primo romanzo il protagonista Mr. D., docente italiano trapiantato negli States allo scopo di insegnare quella che laggiù non è considerata una lingua morta ma una materia di alto livello culturale, si ritrovava ad affrontare le sfide dell’essere insegnante in una realtà differente dalla propria, nel secondo romanzo la didattica a distanza, a causa dell’emergenza sanitaria improvvisa, diventa gradualmente una modalità consolidata, in cui ci si ritrova ad interagire quotidianamente con “quadratini” che contengono i volti dei ragazzi durante le videolezioni in Zoom, “ombre” di adolescenti con il loro difficile vissuto.

Il racconto si apre con la comunicazione del preside agli studenti che annuncia la chiusura dell’istituto a causa del diffondersi dell’epidemia di “ ‘Rona” (così viene chiamato il virus negli USA) nella primavera del 2020, con gli studenti dell’ultimo anno, classe 2001, in procinto di diplomarsi, e si chiude al termine dell’anno scolastico successivo, nel giugno 2021.
“Togliere a un insegnante la scuola è un po’ come fregarlo due volte: la prima perché gli si ruba la quotidianità, e questo vale per tutti, la seconda perché lo si costringe a imparare cose che poi non potrà mai insegnare a nessuno”; improvvisamente Mr. D., come molti suoi colleghi in tutto il mondo, si ritrova ad interagire con i suoi allievi, ma anche con genitori e docenti, dal computer di casa propria. Con tutto ciò che questo comporta: il grigiore di giornate tutte uguali, il fare lezione in ciabatte, senza radersi, con il thermos del caffè di fianco, la tendenza di molti alunni al cheating (“Da quando lavorano da casa le loro traduzioni sono sempre più precise, con un retrogusto di Google, dolciastro e senz’anima”) ma, soprattutto, la consapevolezza del valore di ciò che si è perduto. I professori, infatti, sono “senza aule, senza classi, senza alunni né compiti o interrogazioni” ma cercano di fare di necessità virtù: “eppure ci proviamo, così attaccati ai rimasugli di una quotidianità che prima ci è stata imposta a forza di note di ritardo, collegi docenti, consigli di classe e ora, di colpo, ci è stata rubata”. I primi mesi, quelli più critici, trascorrono tra eventi drammatici come la scomparsa del cantautore John Prine, le lunghe ore trascorse alla finestra e le nuove prospettive nei confronti di aspetti che prima, nella frenesia della “normale” vita lavorativa, passavano inosservati, fino alla conclusione dell’anno scolastico 2019-2020.

Nella seconda parte del libro, “con il passare dei mesi la novità ha ceduto il passo alla paura, la paura allo sconforto e lo sconforto all’abitudine”. Proseguono le lezioni virtuali, le lunghe code al supermercato, poi arriva la prima dose di vaccino, le sfide educative dietro uno schermo si fanno sempre più impegnative, ma la conclusione non toglie la speranza. Al termine di una lettura appassionante, con episodi dolceamari – forse più numerosi rispetto al lavoro precedente – e la sottile ironia che contraddistingue la narrazione ed alleggerisce la tensione, ho avuto modo di confrontarmi con l’autore.
Ciao Michele e bentornato nel mio blog! Lo scorso anno, quando abbiamo parlato del tuo primo libro “Hey, sembra l’America!”, mi avevi già preannunciato l’intento di scrivere della difficile fase che ci ha visti “insegnare alle ombre”. A distanza di un anno dalla conclusione di quell’esperienza, dopo aver trascorso questi ultimi mesi in condizioni decisamente migliori, quanto ha senso secondo te rievocare l’esperienza della DAD?
La DAD non è stata una scelta, ma una condizione forzata che ci ha trovato impreparati. Non so se in un futuro prossimo dovremo ancora ricorrere a questa forma di insegnamento, mi auguro però, che se dovesse capitare, ci faremo trovare pronti. Qui negli USA, ad esempio, si pensa all’utilizzo della DAD in caso di nevicate massicce o di allerte metereologiche: perché no, dico io. Al di là del trauma che abbiamo subito, sarebbe ridicolo rinnegare tutto della didattica a distanza, che in un certo senso offre un’opportunità in più. Ad ogni modo, come scrivo anche nel libro, i colleghi hanno reagito in modo variopinto a questa situazione; i fanatici hanno installato app di “controspionaggio” e hanno creato falsi account per carpire informazioni direttamente dai social media, i più fragili invece si sono lasciati andare, impreparati com’erano a insegnare da casa, con un portatile, costretti a imparare nuovi linguaggi e sistemi di cui fino a ieri ignoravano l’esistenza.

Credi che la didattica digitale e, più in generale, l’esperienza della pandemia abbiano lasciato tracce significative sull’insegnamento e sul sistema scolastico americano?
La DAD qui negli USA ha decisamente penalizzato le categorie più deboli, cioè quegli studenti che non avevano una famiglia in grado di seguirli. Nonostante ogni studente abbia ricevuto un portatile in comodato d’uso e accessi ad internet gratuiti, spesso laddove le famiglie erano assenti gli studenti si sono “persi” e non hanno saputo adattarsi ai tempi. Purtroppo, anche molti studenti seguiti dalle famiglie hanno accusato un contraccolpo emotivo e si sono lasciati andare, sempre citando un passaggio del mio libro: i ragazzi più fragili si sono abbandonati a un’apatia rassegnata che sta polverizzando le loro carriere scolastiche.
Nel tuo secondo libro emergono tematiche legate all’integrazione e all’inclusività attraverso le figure di studenti che vogliono difendere la propria identità e le proprie origini, ad esempio partendo da alcune presunte mancanze della lingua inglese. “Mankind”, ad esempio, secondo una ragazza è un vocabolo sessista perché contiene la parola “man”, mentre Lily, un ragazzo trans, ha difficoltà ad utilizzare gli aggettivi possessivi che non rappresentano adeguatamente la sua condizione. Sono presenti anche episodi appartenenti alla memoria storica che rievocano momenti drammatici vissuti da esponenti di alcune minoranze. Come mai questi aspetti si sono fatti più significativi?
Insegnare alle ombre, nonostante il titolo, è un libro che parla molto più dell’America e non a caso nella copertina ho preteso che l’editore aggiungesse una bandiera americana; inoltre il sottotitolo DAD the beautiful fa il verso alla canzone America the beautiful, un inno patriottico scritto nel 1895. In questo libro, con la scusa della pandemia e della didattica a distanza, ho in realtà cercato di spiegare fin da subito le profonde contraddizioni, ma anche le fascinazioni di questo straordinario Paese. Ho raccontato a più riprese storie di cultura e vita americana che pochi conoscono anche qui negli U.S.A. Tra le altre, la vicenda di Carmelita Torres, una ragazza messicana che ha guidato una rivolta di immigrati a El Paso, TX, quella dei Catonsville Nine, un gruppo di preti dissidenti che si sono ribellati alla guerra in Vietnam, ma anche quella di Freddy Gray, un ragazzo di colore di Baltimora massacrato dai poliziotti, la cui storia anticipa di qualche anno quella più famosa di George Floyd.

Credi che l’inclusività della lingua sia davvero una questione da affrontare?
Per quanto riguarda la sensibilità linguistica, ho voluto raccontare senza esprimere un giudizio il cambiamento epocale di un modo di pensare che non credo vada strumentalizzato. Diciamo che ho cominciato a rileggere alcuni capisaldi della mia infanzia con occhi ‘moderatamente americani’. Piccoli dettagli che in passato mi avrebbero lasciato indifferente adesso mi fanno riflettere a dimostrare ancora una volta che una delle più grandi forze degli alunni è che se sai ascoltarli, beh, ti fregano sempre. Dall’ideologia teorica l’idea è tracimata velocemente nel linguaggio di tutti i giorni e diverse parole inglesi sono state cancellate dal vocabolario dei miei studenti. Tra le altre woman, donna, perché contiene la parola ‘uomo’… meglio dire womxn o womyn o wimmin. Mankind, razza umana, per lo stesso motivo è stata sostituita da humankind, stessa fine hanno fatto altre parole quali fatherland o mother tongue. Alla mia iniziale repulsione, che sfociava nella disobbedienza civile o resistenza passiva, ho imparato a reagire con una nuova mentalità, ricordandomi che tutte le rivoluzioni sono sempre cominciate dagli eccessi. Ecco, questi eccessi che ci appaiono come forzature mirano forse a destabilizzare un ordine che è stato prepotentemente e forzosamente costruito con modelli di società univoci. Anche per questo motivo, sempre più spesso nelle mail ufficiali le persone aggiungono alla firma in calce la dicitura: Pronouns: she, her, hers oppure he, him, his come un monito a non dare per scontato che se una persona si chiama Aurora voglia per forza essere identificata come donna.

Ritieni anche tu che in questo lavoro emergano maggiormente aspetti problematici del vissuto quotidiano degli studenti americani, probabilmente esasperati dalla situazione “anomala” in cui hanno vissuto per lungo tempo?
Degli studenti, non necessariamente americani, diciamo occidentali. Sono anni turbolenti, non solo per la pandemia, e i ragazzi ne soffrono più di tutti, sono fragili e maturi al tempo stesso, glacialmente calmi e al contempo agitati, è questa loro instabilità a creare disagio, non sono superficiali ma neppure impegnati, sono come tante foglie autunnali sugli alberi, così diversi dai giovani che Umberto Galimberti descriveva nel suo saggio ‘I giovani e il nichilismo’. Come dico anche nel libro, i ragazzi che si diplomano alla fine dell’anno scolastico alla Silvana High School sono nati nel 2001, l’anno delle Torri Gemelle, hanno frequentato le scuole elementari durante la più grave crisi dopo il Ventinove e conseguono il diploma nell’anno della più grave pandemia del nuovo millennio. Di sicuro avranno sviluppato gli anticorpi!

Il tuo vissuto di questa lunga parentesi è stato simile o diverso da quello di Mr. D.?
Diverso, perché ho la fortuna di lavorare in una scuola d’eccellenza, una tra le prime dello stato del Maryland e tra le prime cento degli U.S.A., dunque mi sono tremendamente divertito a insegnare online: diciamo che era il mio piccolo “YouTube show”.
Ho amato molto la conclusione del libro, che contiene una dedica ad un tuo caro amico, il cantautore Andrea Parodi: “Andrea è la colonna sonora della mia adolescenza, è la musica di John Prine e John Mellencamp, di Jimmy La Fave e Leonard Cohen, è il sogno che supera la realtà, la musica che sublima la vita. La vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione fuggevole, l’esperimento pericoloso, il giudizio difficile”. Qual è rapporto tra la “tua” America, quella che vivi quotidianamente e che descrivi nei tuoi libri, e la percezione che tu e Andrea ne avevate da ragazzi?
L’America della mia infanzia si fonde e sublima con quella che ho soprattutto sognato con Andrea. Mia mamma è americana e spesso d’estate passavo un po’ di tempo in California dai nonni e un po’ in Valtellina, eppure l’America vista dalla Valtellina era più esotica e stimolante di quella reale. Era un mondo di sogni e film, e naturalmente musica, raccontata nei testi dei grandi musicisti folk americani come John Prine, a cui ho reso omaggio nel libro. Tra i mille ricordi fatti di CD e compilation che Andrea mi passava negli anni del liceo e dell’università, c’è un ricordo più vivo e commovente di tutti: una sera Andrea mi convince ad andare a Gallarate ad ascoltare John Prine, alla fine del concerto andiamo pure sul palco e ci scattiamo una foto… ancora oggi, quando lo racconto ai miei colleghi americani non mi credono, ed è inutile fargli vedere la foto perché sono irriconoscibile… questo è stato Andrea per me. La storia che citi non doveva chiudere il libro: è stata l’intuizione di un editor che ha letto il mio scritto in anteprima e che mi ha proprio scritto: chiuderei il romanzo con questo racconto. Aveva ragione.

Quando l’anno scorso ti ho intervistato il tuo secondo libro era quasi pronto… ne devo dedurre che ce ne sia un terzo in arrivo?
C’è voglia di continuare e al tempo stesso cambiare. Sto lavorando ad un progetto che forse pubblicherò a puntate sul mio blog, una storia che definirei del filone ‘Young adults’, un romanzo il cui protagonista è un ragazzo italiano che si trasferisce in USA con la famiglia, una storia complessa ed emotivamente forte, vedremo… Molti lettori in realtà mi hanno chiesto di non abbandonare Mr.D al suo destino. Per dirla con le parole di un lettore a cui sono particolarmente affezionato: Lei, che Le piaccia o no, un europeo con una riverniciata americana della East Coast (della East Coast, non di Dixieland o dell’Arizona), saprà spiegare la profonda dinamica di fenomeni, per un europeo colto quasi incomprensibili, come la forza crescente del governatore Ron DeSantis, il potere mediatico (e finanziario) dei telepredicatori evangelici o del perché i giovani americani sono gravati da oltre $1.5trn di debito universitario? Vuole sul serio far diventare una sorta di indistinta ombra dell’Ade il mentore di Kenzie e di Soraya?
Ringrazio Michele per la sua disponibilità al confronto, in attesa di rivederlo in Italia tra un paio di settimane per una serie di appuntamenti in cui presenterà il suo libro. A prestissimo, dunque…
Queste le date delle presentazioni:
19 LUGLIO – NOVEDRATE (CO) – VILLA CASANA – ORE 21
20 LUGLIO – CANTU’ (CO) – FLORERIA LETTERARIA C/O MAURI FIORI – VICOLO NAVA, 4 – ORE 21
21 LUGLIO – MILANO – LIBRERIA FELTRINELLI – CORSO BUENOS AIRES 23 – ORE 18.30
23 LUGLIO – TERNATE (VA) – BUSCADERO DAY
Segnalo, infine, che gli appuntamenti del 20 e del 21 luglio sono organizzati in collaborazione con l’associazione culturale “Le Sfogliatelle” e saranno presentati da Alida Paternostro.

L’ha ripubblicato su Ex cathedra 2.0.
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