La ex-signora Harrison/Clapton ha presentato ieri a Milano il suo libro “My Life in Pictures”
Something in the way she moves attracts me like no other lover: questi versi, tratti da quella che è stata definita una delle più belle canzoni d’amore di tutti i tempi, sono dedicati a colei che è stata un’autentica musa della storia del rock: Pattie Boyd.
Elegante, discreta, raffinata, a 78 anni Patricia Anne Boyd (questo il suo nome completo) è ancora una donna di grande fascino. L’ex moglie di George Harrison ed Eric Clapton, iconica modella in gioventù e da anni affermata fotografa, domenica 27 novembre si trovava a Milano. Era infatti tra i protagonisti di Beatles Mi, la kermesse organizzata dagli scrittori ed operatori culturali Davide Verrazzani e Riccardo Russino, una maratona di 12 ore che ha visto avvicendarsi concerti, presentazioni di libri ed altre proposte a carattere beatlesiano. Il salone del locale “Mosso”, alle 17, era gremito in attesa dell’ex signora Harrison, che è stata accolta proprio dalle note di Something, intonate dal pubblico.

La biondissima Pattie ha appena dato alle stampe un volume fotografico, intitolato “Pattie Boyd – My Life in Pictures”, che raccoglie scatti da lei realizzati e suoi ritratti ad opera di altri fotografi, risalenti al periodo della Swinging London, ma anche ai decenni successivi. “Per me gli anni Sessanta sono durati dal 1964 al 1974 (anno della sua separazione da George, ndr) e furono un momento straordinario” ha affermato. Come è noto, nel 1964 ella conobbe Harrison sul set di A Hard Day’s Night e lo sposò due anni dopo, ma la sua carriera nel mondo della moda, prima di quella particina nel film che poi la portò a convolare a nozze con uno dei musicisti più famosi (e desiderati) del mondo, era già iniziata qualche anno prima, per conto di riviste come Vogue, Elle, Harper’s Bazaar. “Scegliere la carriera di modella rappresentò per me una sorta di ribellione nei confronti dei miei genitori, che erano molto conservatori” ha raccontato al pubblico milanese. “Nei Sixties, però, le modelle avevano una vita meno facile di quelle di oggi: per ogni photoshoot dovevamo truccarci da sole – non esisteva la figura del ‘make-up artist’ – e portare con noi i nostri accessori e le nostre scarpe. Ora le top model sono indubbiamente più fortunate perché sul set hanno tutto a loro disposizione! Fu comunque un periodo fantastico: io e le mie colleghe eravamo giovanissime, ma soprattutto ‘giovani dentro’, ci divertivamo insieme e non ci prendevamo troppo sul serio”. Sicuramente la sua carriera si collocò in una fase estremamente significativa, quello della transizione dall’approccio “tradizionale” verso la moda e la figura della modella e l’autentica rivoluzione estetica, culturale e sociale che a partire dalla Swinging London, di cui ella fu una delle protagoniste, si diffuse in tutto il mondo occidentale.
Pattie ha poi ricordato la propria infanzia, trascorsa in Kenia, e il proprio trasferimento in Inghilterra, avvenuto quando aveva 11 anni: “Inizialmente mi trovai spaesata nell’ambiente metropolitano, poiché, mentre le mie coetanee parlavano solo di scarpe e vestiti, io ripensavo alla selvaggia natura africana e agli splendidi animali che mi circondavano laggiù”. E ha aggiunto: “Vivere a contatto con quell’ambiente mi ha insegnato a non avere paura e probabilmente mi ha anche ‘preparato’ ad affrontare con più coraggio una vita sotto i riflettori”. Ripensando, poi, al primo appuntamento con George, al quale il chitarrista invitò anche il manager Brian Epstein, Pattie ne conserva un ricordo affettuoso: “Brian non fu un terzo incomodo, anzi! Noi eravamo giovanissimi, ci recammo in un ristorante molto lussuoso (il Garrick Club a Covent Garden), ma Epstein si rivelò un eccellente consigliere in fatto di cibo e ci aiutò anche con la lista dei vini”.

Moltissimi sono gli episodi che Pattie, che fu moglie di Harrison dal 1966 al 1977 e di Eric Clapton dal 1979 al 1989, potrebbe raccontare riguardo alle due rockstar, che per lei scrissero brani memorabili quali If I Needed Someone, Layla, Wonderful Tonight e la già citata Something. Essere stata la compagna di due personaggi come loro, che per di più erano ottimi amici, fu sicuramente una condizione di privilegio e, al tempo stesso, non fu facile. Che la relazione tra i tre per un po’ sia stata una sorta “triangolo” è noto, con lo spietato corteggiamento da parte di Eric al quale ella cercò per lungo tempo di resistere, e Pattie lo racconta in modo aperto e sincero nella sua autobiografia “Wonderful Today”. Il rapporto con entrambi fu caratterizzato da luci e ombre, silenzi, compromessi, litigi, e fu a tratti burrascoso. “Solo al termine della mia storia con Eric, però, ho scoperto davvero chi ero, e ho ritrovato la mia autenticità. La fotografia, e un po’ di psicoterapia, mi hanno molto aiutata in questo senso” ha ammesso con franchezza.


La sua attività dietro l’obiettivo ebbe inizio durante i suoi anni al fianco di George, nei quali immortalò numerosi momenti della loro vita pubblica e privata, e proseguì durante la relazione con Clapton, ma i suoi scatti ritrassero anche la loro cerchia di amicizie, che oltre ai Beatles comprendeva anche personaggi come Twiggy, Mick Jagger e moltissimi altri. Con le sue fotografie ha realizzato numerose mostre che hanno fatto il giro del mondo; il suo ultimo lavoro è il già citato volume “My Life in Pictures”, che contiene oltre 300 immagini e testimonianze provenienti dal suo archivio personale. Oltre alle foto da lei scattate, esso include anche quelle firmate da famosi fotografi come David Bailey, Eric Swayne, Terence Donovan, Robert Freeman e Robert Whitaker.
Pattie ha anche rivelato come grazie a lei i Fab Four incontrarono Maharishi Mahesh Yogi: fu lei, infatti, dopo aver conosciuto Ravi Shankar, a provare interesse per l’India e ad accostarsi per prima alla meditazione trascendentale; in seguito accompagnò George e gli altri membri della band a Bangor, nel Galles, per incontrare il guru, nell’agosto 1967; proprio in quei giorni, purtroppo, Brian Epstein scomparve all’età di soli 32 anni. Così i quattro musicisti, con le rispettive compagne, si recarono in India dopo alcuni mesi, “anche per riprendersi dalla perdita del loro manager ed amico”, è stato il suo malinconico commento.

A proposito dell’album All Things Must Pass, Patricia ha osservato che realizzarlo fu per George un modo di rielaborare lo sconcerto dovuto alla fine del loro matrimonio (riferimenti alla rottura del loro rapporto, di natura più ironica, sono riscontrabili anche in Dark Horse) ma soprattutto per esprimere appieno il suo talento di compositore, che era stato un po’ soffocato da John e Paul, ed infatti in questo triplo LP Harrison inserì molti brani che aveva composto per la band, ma che non erano stati utilizzati negli album dei Beatles. Ma Boyd ha voluto citare anche la sua preferita tra le composizioni di Clapton, cioè Wonderful Tonight. “Fu scritta mentre io mi stavo preparando per andare ad una festa insieme ad Eric. Ero molto indecisa su come vestirmi e ci impiegai moltissimo tempo; pensavo che lui si sarebbe arrabbiato con me per la lunga attesa, invece ne approfittò per comporre questo straordinario brano. Era il 1976… solo quest’anno, però, mi sono resa conto, parlando con Jimmy Page, che quella sera saremmo dovuti andare al suo party!”

Uno dei momenti più toccanti del racconto di Pattie, infine, è stata la rievocazione del suo ultimo incontro con Harrison, prima della prematura scomparsa di quest’ultimo. “Eravamo rimasti in buoni rapporti, per cui lui venne a trovarmi a casa mia e trascorremmo un piacevolissimo pomeriggio insieme. Passeggiando in giardino, lui notò un fiorellino mosso dal vento che cresceva tra gli anfratti di una roccia e commentò: ‘Guarda, quel fiore sta tremando!’ Mi sembrò un’affermazione bellissima, ma al tempo stesso mi riempì di malinconia, poiché mi resi conto che non lo avrei più rivisto”.

Durante la malattia che poi stroncò George nel 2001, mentre era ricoverato in Svizzera, Pattie preferì restare discretamente a distanza, mentre la seconda moglie Olivia se ne prendeva cura. Nel frattempo aveva già conosciuto colui che poi sarebbe divenuto il suo terzo marito. Nel 1991 Pattie aveva infatti incontrato Rod Weston, un uomo al di fuori dello show business, durante una vacanza in Sri Lanka. “Sono diventata amica della sua fidanzata di allora, poi io e lui siamo rimasti amici… però ci sono voluti vent’anni prima mi chiedesse di sposarmi!” ha commentato divertita. “Non è geloso del mio passato, ma vorrebbe che io lo menzionassi un po’ più spesso!” In effetti, parlando del consorte, Pattie ha avuto un piccolo lapsus, chiamandolo “George”, ed è scoppiata immediatamente in una risata contagiosa. Non è un caso: per ogni beatlesiano che si rispetti (e ieri a Milano ce n’erano davvero tanti) lei resterà per sempre la biondissima, affascinante fanciulla dallo sguardo intrigante che conquistò George Harrison e che ispirò il testo di un brano memorabile. All things must pass, certo, ma la bellezza di Pattie, immortalata nelle splendide foto che la ritraggono, e i versi di Something resteranno per sempre.
Somewhere in her smile she knows
That I don’t need no other lover
Something in her style that shows me
I don’t want to leave her now
You know I believe and how…

