Il cantautore ha raccontato la genesi del suo nuovo album “Oltre la zona sicura” alla Milano Music Week
“Siamo viaggiatori nel cosmo, un turbinio di polvere di stelle che danza nei gorghi e nei vortici dell’infinito. Ci siamo fermati un momento per incontrarci, per fare conoscenza, per amare e per condividere. È un momento prezioso ma fugace. Una piccola parentesi nell’eternità”.
(Deepak Chopra, Le sette leggi spirituali del successo)

Figli delle stelle è sicuramente un brano emblematico della canzone italiana, capace di scattare un’istantanea del mood di un periodo e al tempo stesso di conservare intatto il suo fascino nei decenni. Lo testimonia il fatto che la performance di Alan Sorrenti sia stata uno dei momenti clou del Mi Ami Festival, la grande kermesse tenutasi all’Idroscalo di Milano lo scorso maggio. Un evento che aveva il sapore e l’atmosfera dei grandi raduni di un tempo e che ha dato spazio soprattutto agli esponenti della nuova scena musicale, ma che nel contempo ha visto il cantautore napoletano brillare come uno degli astri più luminosi, mentre il suo celeberrimo inno ha unito in una “danza nei vortici dell’infinito” un pubblico transgenerazionale. E Sorrenti è tornato nel capoluogo proprio ieri, in occasione della Milano Music Week, per incontrare numerosi ammiratori, molti dei quali appartenenti alle generazioni Y e Z. Al suo fianco, il giovane produttore Ceri, una delle figure più influenti dell’attuale panorama urban/indie/pop italiano, e il cantautore Colombre: i due hanno lavorato con Alan per la realizzazione del suo ultimo album, “Oltre la zona sicura”, uscito da poco più di un mese.

Durante una conversazione con Carlo Pastore, direttore artistico dello stesso Mi Ami Fest, Alan Sorrenti ha avuto modo di evidenziare come la sua eredità musicale sia stata raccolta dagli artisti contemporanei (l’incontro con Ceri è avvenuto dopo che quest’ultimo ha recentemente prodotto una cover di Figli delle stelle) ma anche come lui stesso abbia attraversato cinquant’anni di musica italiana come un autentico “viaggiatore del cosmo”.


L’esordio del musicista, come è noto, avvenne nell’ambito del prog (“Aria”, disco del quest’anno ricorre il cinquantennale, è riconosciuto come uno dei più rappresentativi del genere in Italia); la sua (consapevole) svolta pop, dal 1977 in poi, lo condusse ai vertici delle classifiche con milioni di dischi venduti; nei decenni successivi, però, la sua produzione di inediti è stata contenuta, tanto che da “Radici” (1992) al penultimo “Sott’acqua” (2003) sono intercorsi 21 anni. La discografia del cantautore si potrebbe configurare come una sorta di “quadrilogia degli elementi”, dall’aria al fuoco ardente del successo della fase mainstream che illumina e riscalda, ma che può anche scottare e incenerire, alla riscoperta della terra e delle proprie origini, fino all’acqua, simbolo di vita e di rinascita. A distanza di ben 19 anni dal precedente album, nel nuovo lavoro Sorrenti ha dimostrato di essere un artista che non teme di abbandonare la “zona di comfort” per confrontarsi con nuove sfide e nuovi linguaggi. Il confronto con il producer 31enne e la collaborazione di alcuni artisti della “squadra” di quest’ultimo ha dato vita ad un lavoro sorprendente, dinamico, attualissimo, che crea un ponte tra passato e futuro in un cocktail di sonorità tra pop, funk e dancefloor e testi in bilico tra introspezione ed osservazione della realtà (c’è anche Greta, un brano dedicato alla giovane leader di Fridays for Future).


Come si scrive una canzone eterna, che dura per sempre, che attraversa le epoche? Da questo quesito di Carlo Pastore è partita la conversazione con i tre musicisti, dalla quale sono scaturite numerose riflessioni in merito alla genesi del nuovo disco. “Volevo realizzare questo album per trasmetterlo alle nuove generazioni” ha commentato Sorrenti “seguendo però i dettami della mia anima. Ho scritto contenuti che andassero in quella direzione, ma avevo bisogno anche di ‘vestiti’ nuovi, che incontrassero i gusti del pubblico di oggi, e ciò è stato possibile grazie all’apporto di Stefano (Ceri). Durante il processo creativo il tempo si è annullato e due personalità anagraficamente lontane come le nostre si sono unite quasi per magia”. A questa alchimia artistica si va ad aggiungere la collaborazione con il cantautore marchigiano Giovanni Imparato, in arte Colombre. Ha osservato quest’ultimo: “Oltre la zona sicura” è un disco che condensa già nel suo titolo un messaggio devastante e sorprendente al tempo stesso: il coraggio di mettersi in discussione e volersi fidare degli altri”. E poi ancora: “L’album è un connubio tra la solidità architettonica e la precisione costruttiva del lavoro di Stefano e la libertà melodica ed espressiva di Sorrenti, un autentico viaggio spazio-temporale in cui artista e produttore erano intimamente connessi tra loro”.

Un importante concetto è stato condiviso dagli interlocutori: è la componente spirituale che rende i brani di Alan Sorrenti eterni. “Le cose belle avvengono quando si ci si perde, ci si immerge nell’aspetto più ipnotico della musica” ha confermato il cantautore. “La composizione nasce da una situazione vissuta che viene poi da me trasformata, rielaborata tramite l’immaginazione. Io vengo dal progressive rock e ho in seguito attraversato il periodo dei festival pop di ‘Re Nudo’, un momento in cui la musica voleva trasmettere energia luminosa, guardando in alto il cosmo e cercando di esprimere questa forza. L’attenzione per l ’universo, l’appartenenza ad esso è stata da me sintetizzata, anche in seguito alle mie esperienze americane, in un brano come Figli delle stelle. Per me è fondamentale comunicare qualcosa che faccia star bene chi ascolta, non in modo banale, ma andando in profondità verso la parte luminosa di noi”.

E visto che, come ha concluso Colombre, non esistono “epoche d’oro” nella musica, ma ogni età può essere dorata, allora forse si può davvero restare Giovani per sempre, come recita il singolo che ha anticipato l’album: “la mia vita è proprio qui, dove mi trovo adesso, sì, se la sentiamo in ogni istante noi resteremo giovani per sempre”. Dall’aria alle stelle, dagli anni Settanta alla contemporaneità, il “viaggio cosmico” di Alan Sorrenti si è dunque arricchito di una nuova, affascinante tappa con quest’ultimo lavoro. Che la musica possa essere eterna, come ha suggerito Pastore, o infinita, come ha puntualizzato Ceri, è solo una questione di termini. Grazie alla musica i Figli delle stelle, “senza storia, senza età, eroi di un sogno”, si incontrano per condividere momenti preziosi, piccole parentesi di eternità, e poi perdersi nel tempo.