Un viaggio musicale attraverso i brani dedicati alle vittime dei campi di sterminio nazisti

Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, e i pochi superstiti ivi rimasti. Nel 2005 questa data è stata scelta dall’Assemblea delle Nazioni Unite come “Giorno della Memoria” per ricordare le vittime della Shoah. Questo barbaro sterminio, una delle pagine più terribili della storia dell’umanità, non ha mancato di ispirare numerosi cantautori che, con le loro composizioni, hanno voluto rievocare la tragedia di milioni di persone annientate dalla follia e dalla ferocia nazista.

Uno dei brani più noti sull’argomento è sicuramente Auschwitz, scritta da Francesco Guccini nel 1964 (e inizialmente non accreditata a lui, dato che non era ancora iscritto alla SIAE), pubblicata due anni dopo come singolo dall’Equipe 84 e successivamente inclusa dal songwriter nella propria raccolta “Folk Beat n. 1” con il titolo Canzone del bambino nel vento. Il testo è scritto sotto forma di immaginario dialogo tra un bimbo morto in un campo di concentramento e un narratore che, ripensando a quegli eventi, si chiede come possa l’umanità perpetuare altre guerre e stragi:

Son morto con altri cento, son morto ch’ ero bambino,

passato per il camino e adesso sono nel vento, e adesso sono nel vento….

Ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento

nel freddo giorno d’ inverno e adesso sono nel vento, adesso sono nel vento…

Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio:

è strano, non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento…

Io chiedo come può un uomo uccidere un suo fratello

eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento, in polvere qui nel vento…

Ancora tuona il cannone, ancora non è contento

di sangue la belva umana e ancora ci porta il vento e ancora ci porta il vento…

Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare

a vivere senza ammazzare e il vento si poserà, e il vento si poserà…

Nello stesso anno, in With God on Our Side (inclusa nell’album “The Times Are A-Changin’”), Bob Dylan menziona l’uccisione di sei milioni di ebrei all’interno di un elenco di conflitti e di violenze, compiuti da chi riteneva di essere nel giusto, “con Dio dalla sua parte”: il genocidio dei nativi americani, la guerra civile americana, la prima guerra mondiale, la guerra fredda, la minaccia nucleare. Il tono è di aspra denuncia:

And then the second World War, it came to an end

We forgave the Germans and now we are friends

Though they murdered six million, in the ovens they fried

The Germans now, too, have God on their side

Vent’anni dopo, in Dance Me to the end of Love (1984), Leonard Cohen descrive invece lo straziante contrasto tra la dolcezza della musica e l’orrore della brutalità nazista: il riferimento è all’episodio in cui i componenti di un quartetto d’archi vennero obbligati ad esibirsi davanti ai forni crematori, assistendo impotenti all’uccisione dei loro compagni. Il songwriter canadese commentò così il significato del brano: “’Fammi danzare verso la tua bellezza con un violino in fiamme’ significa la bellezza del portare la vita a compimento, la fine dell’esistenza e dell’elemento ardente in quella conclusione”. In questi struggenti versi lo splendore dell’arte si scontra con la morte prematura: note che penetrano nel profondo dell’anima accompagnano uomini, donne, bambini verso una fine ingiusta e assurda, tra le fiamme, mentre il musicista è attonito testimone e insieme dispensatore di bellezza, imbracciando il suo strumento. Il punto di vista è quello di una delle vittime:

Dance me to your beauty with a burning violin

Dance me through the panic till I’m gathered safely in

Lift me like an olive branch and be my homeward dove

Dance me to the end of love

Dedicata alla figura di Anna Frank è invece una canzone dei Camaleonti del 1968, intitolata proprio Il diario di Anna Frank. In essa la breve parabola della ragazza olandese è tratteggiata in modo semplice e suggestivo:

Anna Frank rimane là nascosta/ Sente che i suoi fratelli muoiono/ Senza pietà li uccidono

Sente che la vita già va via/ Niente lei può fare per chi muore/ E così lei scrive un suo diario

Su ciò che gli occhi vedono/ Spera che ritorni come prima

Pace, amore e libertà per loro/ Ma per lei dovrà pure finire

Perché verranno a prenderla/ Morirà la piccola fanciulla/ E con gli altri in cielo salirà

Anna Frank il suo diario lascerà/ E il mondo la ricorderà

L’universo concentrazionario stimolò anche la fantasia del giovane Ian Curtis, nel 1978, quando la sua band si chiamava ancora Warsaw. Il brano No Love Lost fu ispirato dalla lettura del romanzo “La casa delle bambole” di Yahiel De Nur e narra delle sevizie a cui alcune giovani donne ebree venivano sottoposte, ridotte a schiave sessuali dei militari tedeschi all’interno dei campi. Lo stesso moniker Joy Division è la traduzione di Freudenabteilung, che indicava le baracche in cui queste ragazze venivano rinchiuse alla mercé degli ufficiali nazisti.

Anche Juri Camisasca ha affrontato la tematica della Shoah, raccontando in Il carmelo di Echt (1991) la storia di Edith Stein, docente universitaria, filosofa e mistica di origine ebraica convertitasi al cattolicesimo e divenuta suora carmelitana nel convento di Echt, ma in seguito deportata e morta ad Auschwitz. La donna è stata fatta santa da papa Giovanni Paolo II nel 1998. Il brano è stato interpretato ed incluso, successivamente, da Franco Battiato nell’album “Fleurs 2” del 2008:

Dentro la clausura qualcuno che passava

Selezionava gli angeli

E nel tuo desiderio di cielo, una voce nell’aria si udì

“Gli ebrei non sono uomini”

E sopra un camion o una motocicletta che sia

Ti portarono ad Auschwitz

Dove sarà Edith Stein?

Nel canzoniere di Massimo Bubola, che spesso ha scritto liriche dedicate alla memoria storica, alle vicende belliche, a drammi e stragi, ma sempre guardando a questi drammatici episodi attraverso la lente della poesia, è presente un brano intitolato Se questo è un uomo, come il romanzo di Primo Levi (da “Diavoli e farfalle”, 1999). Il testo ripercorre la drammatica esistenza, costellata da persecuzioni, del popolo ebraico, dall’esodo biblico allo sterminio nazista. L’assurdità della strage compiuta dai nazisti suscita interrogativi ineludibili nella mente umana: come è possibile concepire e mettere in atto un male di tali proporzioni? E se esiste una divinità, come ha potuto lasciare che ciò accadesse? Il cantautore veronese afferma che è necessario placare il senso di colpa e di impotenza che ciascun individuo prova nei confronti di questa tragedia, restituendo dignità e umanità a coloro a cui esse sono state strappate:

Dopo il rumore degli uomini,

dopo il silenzio degli angeli,

dopo domande senza sosta,

dopo nessuna risposta,

di questo male tu perdonati:

Se questo è un uomo dico sì

All’annientamento per mano nazista dei rom, dei sinti e di altre tribù nomadi (le vittime furono circa mezzo milione) è invece dedicata Khorakhané di Fabrizio De André, scritta in collaborazione con Ivano Fossati e contenuta nel suo ultimo album, “Anime salve” del 1996. Il titolo significa “Amanti del Corano” e si riferisce a un’etnia musulmana di origine serbo-montenegrina. Questi popoli furono perseguitati, sterilizzati in massa, usati come cavie per esperimenti ed infine destinati alle camere a gas ed ai crematori come gli ebrei. Oltre ventimila vennero uccisi nello Zigeunerlager, il campo loro riservato ad Auschwitz-Birkenau, tra il febbraio 1943 e l’agosto 1944. Il sottotitolo del brano, A forza di essere vento, allude al desiderio di riscatto e di liberazione da parte dei prigionieri.

In tempi più recenti, il cantautore legnanese Renato Franchi, insieme alla sua Orchestrina del Suonatore Jones, ha dedicato un concept album alle vittime della Shoah e di tutte le guerre, intitolato “Le stagioni di Anna Frank” (2014). Il disco comprende composizioni originali e brani firmati da altri artisti, come la stessa Auschwitz di Guccini, Varsavia di Pierangelo Bertoli e la già citata Se questo è un uomo, passando per Il disertore di Boris Vian e La pianura dei sette fratelli dei Gang: il fil rouge che lega le tredici tracce è la volontà di denuncia dell’assurdità di ogni conflitto, insieme all’importanza di difendere la memoria storica dell’Olocausto e della Resistenza. 

L’idea di realizzare questo lavoro ha avuto luogo nel 2011, a seguito di un viaggio nel mese di gennaio compiuto dall’ensemble di musicisti in Polonia. La band, infatti, era stata invitata da CGIL, CISL e ANED a tenere dei concerti sul “treno per la memoria” che partiva dal Binario 21 della Stazione Centrale di Milano verso Auschwitz, per ripercorrere il percorso dei prigionieri destinati ai campi di sterminio. A bordo del convoglio c’erano 700 persone, in maggioranza studenti. Da questa esperienza, che incluse la visita dei luoghi della Shoah, un concerto a Cracovia e un incontro tra i ragazzi e le ragazze delle scuole lombarde e una delegazione di coetanei francesi per un confronto sulle rispettive attività progettuali da loro realizzate sull’Olocausto, nacque l’ispirazione per canzoni come Binario 21, Le stagioni di Anna Frank e La gente di Legnano.

A questo viaggio tra musica e memoria, da Milano alla Polonia, e al disco da esso ispirato sarà dedicata la seconda parte di questo articolo.