Da Roger Waters a Gianni Rodari e De André, i fiori vermigli sono simbolo dei caduti in guerra e della Resistenza
Tra pochi giorni, il 25 aprile, si festeggia il 78mo anniversario della liberazione dell’Italia dal regime nazifascista e si rende omaggio all’impegno e al coraggio di tutti coloro – i partigiani – che lottarono per la libertà, per restituire unità e identità ad un Paese sconvolto e frammentato dalla guerra e dalla dittatura. Il papavero viene, per tradizione, associato a questa ricorrenza, comparendo su manifesti commemorativi, locandine e magliette ed è simbolo non soltanto di questa data, ma anche della memoria della Resistenza. Ma l’origine di questa iconografia, in realtà, è antecedente al secondo conflitto mondiale.




Il papavero comune (nome scientifico: Papaver rhoeas) è una pianta annuale che si riproduce facendo cadere sul terreno i propri semi, i quali possono rimanere vitali anche per molti anni. È un fiore dai petali sottili e delicati, in grado di crescere anche sui terreni più sassosi e aridi, tanto in campagna che ai margini delle strade o lungo i binari delle ferrovie, e di resistere anche in condizioni di siccità; è una pianta umile, spontanea, che con la sua tonalità vermiglia rallegra la vista e dona entusiasmo. Questo suo essere “resistente”, oltre che naturalmente la tinta sgargiante della sua corolla, la medesima del sangue, hanno fatto sì che esso sia stato associato alla lotta per la libertà e agli ideali perseguiti dai caduti.

Il legame tra il papavero e il ricordo dei morti in guerra risale alla Prima Guerra Mondiale, durante la quale ci fu un’insolita fioritura di papaveri in molte parti dell’Europa. Gli sconvolgimenti del suolo causati dallo scoppio delle bombe facevano sì che i semi dei fiori finissero sottoterra e germogliassero, poiché la loro crescita era aiutata dai nitrati presenti negli esplosivi, che fungevano da fertilizzante. Perciò il periodo dal 1914 al 1918 vide, nelle zone interessate dagli scontri, una diffusione massiccia di papaveri che andava ben oltre la norma. Da questo momento i fiori rossi divennero simbolo dei soldati che persero la vita durante i conflitti. Essi furono immortalati nella poesia In Flanders Fields (Nei Campi Delle Fiandre), scritta da un ufficiale canadese di stanza in Belgio di nome John McCrae, che morì in battaglia:
In Flanders fields the poppies blow
Between the crosses, row on row,
That mark our place; and in the sky
The larks, still bravely singing, fly
Scarce heard amid the guns below.
We are the Dead. Short days ago
We lived, felt dawn, saw sunset glow,
Loved and were loved, and now we lie,
In Flanders fields.
Take up our quarrel with the foe:
To you from failing hands we throw
The torch; be yours to hold it high.
If ye break faith with us who die
We shall not sleep, though poppies grow
In Flanders fields.

La lirica fornisce una visione tradizionale e idealizzata della guerra: i papaveri fioriscono tra le croci della sepoltura dei defunti, mentre le allodole volano e cantano, coraggiosamente, nello stesso cielo in cui fischiano i proiettili; i soldati, che fino a pochi giorni prima potevano contemplare la bellezza dell’alba e del tramonto, amavano ed erano ricambiati, ora sono sepolti in terra straniera; essi idealmente passano il testimone, cioè l’incarico di difendere la patria, ai vivi, e se questi ultimi non manterranno la promessa di fare altrettanto, coloro che si sono sacrificati non conosceranno requie, anche se i papaveri ricoprono i campi di Fiandra. Questo componimento, pubblicato in una rivista, colpì l’attenzione Moina Belle Michael, una professoressa americana impegnata in attività umanitarie. La docente pensò quindi di fare del papavero un simbolo per ricordare le vittime degli scontri bellici, così utilizzò questi fiori per abbellire i luoghi dove si tenevano manifestazioni e ricorrenze.

L’iniziativa ebbe un tale successo che i papaveri (veri o artificiali, in tessuto) cominciarono ad essere venduti a favore dei reduci e delle loro famiglie. L’usanza si diffuse negli USA, in Canada, in Gran Bretagna e nei paesi del Commonwealth. L’idea fu ripresa anche in Francia da Madame Guérin, un’insegnante che, ispirandosi a quanto già accadeva nei Paesi alleati anglofoni, cominciò a realizzare e vendere papaveri rossi fatti a mano per raccogliere fondi per gli orfani di guerra. Dal 1921 i fiori iniziarono ad essere venduti per beneficenza nel Regno Unito dalla British Legion, l’associazione dei veterani britannici.


Una gradevole immagine di questa consuetudine è contenuta anche in Penny Lane dei Beatles. Il brano, scritto nel 1967, comprende una serie di brevi ritratti di vari personaggi che si possono incontrare in un’affollata strada di Liverpool, tra i quali una graziosa infermiera che vende papaveri commemorativi:
Behind the shelter in the middle of a roundabout
A pretty nurse is selling poppies from a tray
And though she feels as if she’s in a play
She is anyway
In Gran Bretagna il Remembrance Day (giornata in ricordo dei caduti della prima guerra mondiale) si celebra l’11 novembre, in ricordo dell’armistizio che ebbe luogo in tale data nel 1918, e prende anche il nome di Poppy Day (Giorno dei Papaveri). Alle ore 11 si osservano due minuti di silenzio e il sovrano, insieme ai rappresentanti del governo, depone una corona di papaveri sul monumento ai caduti di Londra ed è usanza indossare, in questa occasione, una spilla con un fiore rosso sul risvolto della giacca.

A dimostrare come il papavero pervada l’immaginario britannico in contesti legati al ricordo della guerra, si può notare come questo simbolo compaia più volte in “The Final Cut”, album del 1983 dei Pink Floyd, fortemente voluto e concepito dal solo Roger Waters, ideatore anche dell’artwork. Il disco, uno dei concept album contro la guerra più significativi di sempre, fu ispirato dal conflitto per il possesso delle isole Falkland e dedicato al padre di Waters, Eric Fletcher, morto in Italia, ad Aprilia, dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, nel 1944. La front cover raffigura alcune onorificenze militari, tra le quali, in alto a sinistra, un dettaglio del Remembrance Poppy. Sul retro, invece, una foto rappresenta un uomo di spalle, in divisa, davanti a un campo di papaveri. (Il nastro da film sotto il braccio e il coltello conficcato nella schiena sono un atto d’accusa contro Alan Parker, regista di “The Wall”, colpevole di aver tradito le aspettative di Roger nella direzione del film). I fiori compaiono ancora all’interno del gatefold e sulle etichette del vinile.



Tutto l’album è una condanna dell’imperialismo britannico e rappresenta un atto d’accusa contro ogni conflitto, con brani di grande intensità come The Fletcher Memorial Home, The Hero’s Return, The Gunner’s Dream, The Post War Dream. Un esplicito riferimento ai papaveri a simboleggiare i caduti è contenuto nella canzone Southampton Dock. Il testo descrive una donna che, al porto di Southampton, saluta dei militari in partenza e ripensa ai campi fioriti e alle tombe, immagini tristemente iconiche dei grandi conflitti mondiali.
But now she stands upon Southampton Dock
With her handkerchief and her summer frock…
She bravely waves the boys goodbye again
And still the dark stain spreads between
their shoulder blades
A mute reminder
of the poppy fields and graves
And when the fight was over
we spent what they had made
But in the bottom of our hearts
We felt the final cut
A differenza dell’Inghilterra, in Italia questo simbolo non è stato mai adottato nelle cerimonie istituzionali anche se, come si è detto, compare spesso nelle immagini commemorative della Resistenza e del 25 aprile. Ci si chiede se il “fiore del partigiano” evocato e non esplicitamente nominato nella canzone popolare italiana più nota di sempre, Bella Ciao, sia un papavero. Il partigiano protagonista del brano chiede di essere sepolto in montagna, là dove ha combattuto, “sotto l’ombra di un bel fior”, affinché “tutte le genti che passeranno”, nel vederlo, possano dire:
e questo è il fiore del partigiano
morto per la libertà.

Non vi è alcuna certezza riguardo al tipo di fiore, ed anche nel complesso dibattito sulle origini della canzone (che rimanda all’ottocentesca Fior di tomba, ai canti delle mondine, persino ad una melodia klezmer) non si fa cenno a ciò, ma resta il fatto che nell’iconografia tradizionale, in alcuni manifesti delle celebrazioni per il 25 aprile e in molti altri contesti compare la pianta dalla corolla rossa e dai neri pistilli. È opportuno precisare come sia stato evidenziato, anche da parte dell’ANPI, che Bella Ciao non era in realtà un canto partigiano, ma venne diffusa nel dopoguerra: la sua “consacrazione,” poi, avvenne quando essa fu interpretata nel 1964 da Giovanna Daffini al Festival dei Due Mondi di Spoleto, nello spettacolo che dal brano prese il nome, dopo essere stata incisa da Yves Montand l’anno precedente.
Nel 1953 il poeta Gianni Rodari scrisse una delle più amate poesie sulla Resistenza, La madre del partigiano. In questa breve ma suggestiva lirica si fa cenno ad un fiore rosso che è sbocciato proprio là dove il figlio della protagonista è caduto:
Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color vermiglio;
è il sangue, il sangue di mio figlio,
morto per la libertà.
Quando il sole la neve scioglie
un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.

Il giovane è morto d’inverno, per difendere la libertà del suo popolo, e sulla candida neve ci sono le tracce del suo sangue. A primavera, quando il sole scioglierà il ghiaccio, nello stesso luogo in cui il ragazzo è stato ucciso spunterà un fiore rosso. La donna, quindi si rivolge ai passanti chiedendo loro di non strapparlo, poiché simbolo della libertà. Tramutato in fiore, simbolo del suo gesto eroico, il partigiano, a liberazione avvenuta, veglierà su chi è sopravvissuto:
Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà.
Una delle più celebri associazioni tra i papaveri e la morte in guerra è contenuta in una delle canzoni pacifiste per eccellenza, La guerra di Piero di Fabrizio De André: come è noto, il brano – scritto nel 1964 – racconta di un giovane soldato che combatte in maniera inconsapevole e cade per mano di un militare dello schieramento opposto, diverso da lui solo per il fatto di avere “la divisa di un altro colore”. Questo l’incipit del pezzo, uno dei più noti del cantautore:
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi.
Il protagonista del brano muore in maggio, il mese in cui più intensa è la fioritura dei papaveri; ancora una volta, questi fiori, che a volte si estendono a perdita d’occhio nelle campagne, vegliano un giovane caduto in battaglia, ma – a differenza di quanto si afferma nella lirica di McCrae – il cantautore evidenzia l’assurdità e l’inutilità di tutti i conflitti.

Un’altra bellissima canzone contro la guerra in cui compaiono i campi di papaveri è The Green Fields of France (No Man’s Land) di Eric Bogle. Il cantautore scrisse il testo di questo brano nel 1976, adattandolo alla melodia di una ballata popolare scozzese, dopo aver visitato alcuni cimiteri di guerra francesi; in esso egli instaura un dialogo immaginario con William McBride, un soldato ventenne perito, come altri oltre 400000 militari inglesi, durante la terribile battaglia della Somme. Il musicista descrive le suggestive campagne in cui il vento fa danzare i fiori rossi; le trincee, il filo spinato, il gas nervino e le mitragliatrici non ci sono più, ma restano migliaia di croci, a voler ricordare la follia umana che distrusse un’intera generazione:
Well the sun it shines down on these green fields of France,
The warm wind blows gently and the red poppies dance.
The trenches are vanished now under the plough
No gas, no barbed wire, no guns firing now.
But here in this graveyard it is still No Man’s Land
And the countless white crosses in mute witness stand.
To man’s blind indifference to his fellow man
And a whole generation that was butchered and downed.
Contemplando la bellezza e la persistenza di questo fiore, fragile ma resistente, nell’anniversario della Liberazione è dunque commovente pensare che sia proprio il papavero il “fiore del partigiano” e che ogni anno, nei luoghi in cui tanti lottarono e spesso si sacrificarono per la libertà, crescano spontanei mille e mille papaveri rossi.

