William Blake, Aldous Huxley, Jim Morrison e oltre: un viaggio attraverso i varchi della percezione
«Quando le porte della percezione verranno purificate, tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite».
Questa frase di William Blake, tratta dal suo “libro profetico” The Marriage of Heaven and Hell (1790), è una tra le affermazioni contenute in un’opera letteraria che hanno esercitato maggiore influenza sulla cultura dei secoli successivi. Essa esprime la possibilità, per l’essere umano, di trascendere i limiti dell’esperienza sensoriale: per raggiungere la vera conoscenza non occorre la razionalità, né l’approccio empirico, bensì l’intuizione, mentre l’immaginazione è la facoltà che consente di creare il mondo e di penetrarne l’essenza e il significato. Le “porte”, divengono dunque simbolo del confine che va necessariamente superato per accedere all’unione con il Sé e con l’universo.
Questo aforisma è stato fonte di ispirazione per numerosi artisti, scrittori e musicisti: da Aldous Huxley, che intitolò The Doors of Perception il suo saggio del 1954 dedicato alla possibilità di raggiungere un contatto con il divino tramite l’esperienza psichedelica, a Jim Morrison, che chiamò la sua band “The Doors” proprio in omaggio ad Huxley e allo stesso Blake. E tale dichiarazione, come vedremo, continua ad esercitare fascino anche sulla contemporaneità.
William Blake (1757- 1827) può essere considerato un autore che precorse i tempi, tanto che fu incompreso e sottovalutato durante l’epoca in cui visse, mentre oggi viene reputato uno dei più grandi artisti britannici. Da ragazzo non frequentò la scuola, ma fu un avido lettore e si appassionò presto all’arte incisoria. Era animato da una profonda e personale religiosità. Mostrò insofferenza verso gli studi accademici, mentre si entusiasmò per le nascenti rivoluzioni, quella americana e quella francese, come i suoi contemporanei William Wordsworth e William Godwin (il padre di Mary Shelley). Fu, tuttavia, profondamente turbato dall’involuzione della situazione in Francia dopo l’ascesa del regime del Terrore: questo fattore spiega la differenza di contenuto e stile tra le sue due raccolte poetiche più celebri, Songs of Innocence (1789) e Songs of Experience (1794). Nel frattempo William iniziò a sperimentare la tecnica dell’incisione a rilievo, con la quale realizzò i suoi lavori più conosciuti, affiancando illustrazioni colorate alla scrittura. Si mostrò sempre refrattario all’autorità, sia di tipo religioso che politico, e fu un fervido sostenitore dell’uguaglianza tra gli esseri umani contro ogni forma di schiavitù. Sosteneva di avere visioni e la sua concezione del mondo era basata sull’idea degli “opposti complementari”: “senza contrari non c’è evoluzione”, sosteneva. Questa sua idea sta alla base del già citato The Marriage of Heaven and Hell, che contiene, come si è detto in precedenza, l’enigmatica frase ricca di suggestioni “if the doors of perceptions were cleansed, everything would appear as it is, infinite” che venne ripresa, appunto, dal romanziere e saggista Aldous Huxley per il titolo del suo libro The Doors of Perception.


Il saggio descrive esperimenti realizzati tramite l’uso della mescalina, principio attivo del cactus Lophophora williamsii, più noto come peyote. Esso, il cui nome in azteco significa “pane degli dei”, era notoriamente usato dagli sciamani e da molti abitanti del Messico per comunicare con divinità e spiriti, per curare malattie e per prepararsi alla caccia. Huxley descriveva le percezioni di natura estetica e mistica vissute durante il trip per poi riflettere sul fatto che fin dalle antiche civiltà l’ebbrezza fosse un modo per accostarsi al sacro e al divino. Le esperienze psichedeliche dovute alle droghe allucinogene sono pertanto in grado di aprire le “porte della percezione” umana ad una realtà invisibile ma reale, fatta di entità e conoscenze ultraterrene. Huxley usò le sostanze psicotrope come base per un’articolata esplorazione filosofica, traendo ispirazione da Meister Eckhart, Buddha, Platone, Tommaso d’Aquino, Walt Whitman e Henri Bergson. Dal suo punto di vista, esse divengono strumenti per raggiungere un livello spirituale e filosofico di valore incomparabile, dimostrandosi utili non solo agli psichiatri ma anche agli artisti, agli intellettuali, ai mistici e a chiunque sia interessato ad esplorare i segreti dell’esistenza.

Timothy Leary
Qualche anno dopo, lo psicologo e ricercatore Timothy Leary, durante un viaggio in Messico, partecipando ad un rituale religioso dei nativi americani, provò l’effetto di funghi allucinogeni contenenti psilocibina. Nel 1960 iniziò i suoi esperimenti all’università di Harvard studiando gli effetti prima della stessa psilocibina e poi della dietilammide dell’acido lisergico (LSD), scoperta da Albert Hofmann e in grado di suscitare alterazioni della percezione e dell’umore, amplificazione sensoriale ed emotiva, esperienze mistiche e spirituali, cambiamenti nella percezione di sé e della realtà. È noto come questo prodotto, anche grazie al saggio The Psychedelic Experience (1963) scritto dallo stesso Leary, diventò molto popolare nell’ambito della controcultura degli anni Sessanta, poiché in grado di allargare a dismisura le “porte della percezione” nella direzione indicata precedentemente da Huxley, ma anche ben oltre.
Tornando all’aforisma di Blake, spesso i musicisti rock si sono nutriti di ispirazioni provenienti dalle proprie letture e si sono appropriati di concetti appartenenti ad autori classici o contemporanei, dilatandoli e personificandoli sino a diventare essi stessi incarnazione di queste idee. Se poi l’artista ha il temperamento e il carisma di Jim Morrison, esso può condurre con sé proprio pubblico, tramite la musica, i versi e la performance, verso l’infinito, superando i limiti dell’esperienza ordinaria e terrena. E nel nome della band da lui fondata, The Doors, c’è davvero un varco per accedere a ciò che ci può condurre al di là di noi stessi, per diventare tutt’uno con l’Universo.
Quando concluse i suoi studi di cinematografia all’università della California, Morrison scelse per la band alla quale diede vita insieme al compagno Ray Manzarek nel 1965 un appellativo programmatico, che lasciava presagire una concezione della musica come arte in grado di ampliare la coscienza degli ascoltatori e di trasportarli verso territori poetici e musicali inesplorati, sotto la guida dal suo genio sregolato e visionario. È interessante notare come gli altri due componenti del gruppo, il chitarrista Robbie Krieger e il batterista John Densmore, provenissero da una formazione chiamata The Psychedelic Rangers e avessero conosciuto Manzarek ad un corso di meditazione trascendentale tenuto da Maharishi Mahesh Yogi, lo stesso guru che anche i Beatles frequenteranno un paio d’anni più tardi. Partendo da questi presupposti ed essendo dotato di una personalità magnetica e di un talento poetico straordinario, Morrison fu davvero uno sciamano del rock, che fece sì che la musica dei Doors potesse condurre il pubblico ad un “orgasmo emotivo” tramite la mediazione di parole e note.

Al di là degli aspetti psichedelici e trascendentali, il simbolo della porta ha una sua valenza anche nella quotidianità: varcare una porta, infatti, significa aprirsi all’altrove, sia che si tratti di accedere alla stanza di una casa o di esplorare un luogo sconosciuto; chiuderla, invece, rimanda all’idea di voler proteggere se stessi e il proprio spazio vitale, o può essere metafora del volersi lasciare il passato alle spalle. Che la si osservi dall’esterno o dall’interno, comunque, la porta è sempre connessa all’idea di “passaggio”, sia in relazione a banali azioni di routine che a situazioni più complesse. Dietro di essa può celarsi un luogo noto e familiare, ma è altrettanto vero che l’immagine di una porta chiusa rimanda spesso al mistero che essa nasconde e a tutte le conseguenze che oltrepassare una soglia, concreta o ideale, può comportare.

Non stupisce, quindi, che un giovane cantautore abbia scelto di raffigurare questo elemento nell’artwork del suo disco, adattandolo alle proprie esigenze artistiche e personali. Sulla copertina di Yellow House, l’album di Nic Gyalson uscito lo scorso 5 maggio 2023, campeggiano non una, bensì tre porte, di colore giallo, in coerenza con il titolo del lavoro. Il protagonista dell’immagine, il musicista stesso, è seduto in un angusto pianerottolo, dando le spalle alle tre aperture/chiusure. All’idea sopra citata di valicare un confine verso uno spazio non conosciuto, quindi, si aggiunge qui la componente della “scelta”: esse possono infatti rappresentare tre alternative. Dietro di loro potrebbero esserci, semplicemente, tre diversi locali, ma molto probabilmente non sarà così. È superfluo osservare, infatti, che il 3 è un numero magico, pertanto la decisione di sceglierne una potrebbe avere conseguenze decisive… ma quali? Per rispondere a questo ed altri interrogativi, rimando all’analisi completa dell’artwork reperibile sul sito artovercovers.com:
Si può notare come alla terza porta sia appoggiata una chitarra, a voler simboleggiare la musica, la migliore compagna in tutti i frangenti dell’esistenza: per tornare a Jim Morrison e all’allargamento egli orizzonti individuali, “Music is your only friend until the end” cantava il Re Lucertola in When the Music’s Over. Lo stesso Gyalson considera Morrison uno dei suoi punti di riferimento artistici e musicali. Nella copertina di Yellow House i tre elementi gialli potrebbero rappresentare altrettante tappe evolutive, vale a dire passato, presente e futuro; tre porte “della percezione”, quindi, a voler esprimere la visione della realtà di Nic e il suo tentativo di raggiungere, come nei varchi metaforici evocati dal visionario poeta inglese, la propria autenticità personale e musicale.

Volendo attualizzare nell’esperienza quotidiana l’aforisma di Blake, potremmo concludere affermando che “purificare le porte della percezione” potrebbe significare astenersi da ogni pregiudizio ed accostarsi alla realtà, combinando conoscenza sensoriale e intuizione e lasciandosi stupire da ogni evento e dalla manifestazione dell’infinito in ogni elemento di realtà, per cogliere la propria intima connessione con l’Universo. In questo modo, le “porte” di ciascun individuo si apriranno verso l’infinità, a scoprire la fusione e l’identità di umano e divino: un percorso, questo, indagato da molti artisti, poiché l’arte e la musica contribuiscono a rendere ancora più chiara ed immediata questa forma di consapevolezza.

