MEMORIA STORICA ED IMPEGNO SOCIALE NELLE CANZONI DELLA “CASA DEL VENTO”

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A volte le nuove strade percorse si ricongiungono alle vecchie, in percorsi circolari in cui recenti scoperte si rivelano essere la prosecuzione di sentieri abbandonati da tempo.

Ho avuto questa sensazione assistendo al concerto di Luca Lanzi e Francesco “Fry” Moneti, componenti dello storico sestetto aretino “Casa del Vento”, tenutosi presso il Circolo Arci Mirabello di Cantù, qualche giorno fa. Il sodalizio tra i due musicisti (Francesco è membro anche dei Modena City Ramblers) ha dato vita ad un disco live, “Né santi né padroni”, registrato durante la tappa n. 119 del loro tour omonimo in un piccolo teatro toscano e pubblicato nel 2016.

Il duo, composto da Lanzi alla voce e chitarra acustica e Moneti al violino, chitarra elettrica e cori, ha proposto brani tratti dal repertorio della band toscana, attiva da oltre vent’anni. Durante lo spettacolo nostalgiche ballate, atmosfere irlandesi, coinvolgenti ritmi combat rock raccontano storie e rendono un doveroso omaggio alla memoria storica d’Italia, alle lotte partigiane, a drammatici episodi che hanno avuto luogo in provincia di Arezzo e hanno coinvolto la famiglia dello stesso Lanzi.

Alberi, rami e foglie narra , ad esempio, in modo commovente e delicato, attraverso la metafora, la tragica vicenda di uomini, donne e bambini che furono trucidati dai fascisti in un villaggio del Casentino. Ma il viaggio musicale del duo rivolge uno sguardo anche ai problemi di oggi: immigrazione, disoccupazione, integrazione. Un inno alla pace, contro tutte le guerre, un invito alla solidarietà, una volontà di equità e giustizia: ecco il messaggio della performance, che si concretizza anche materialmente, prendendo forma in uno strumento musicale che diventa emblema di impegno sociale.

Moneti, infatti, ha imbracciato una chitarra realizzata appositamente da un liutaio toscano utilizzando i legni provenienti da un barcone di migranti sbarcati a Lampedusa. Lo strumento è il simbolo del progetto “Mare di mezzo”, al quale hanno aderito musicisti come Patti Smith e Eugenio Finardi, giornalisti e scrittori come Massimo Gramellini ed altri esponenti di spicco del mondo artistico e culturale.

Negli anni Novanta, quando avevo poco più di vent’anni, ho trascorso un periodo in cui ho amato molto la musica irlandese e quella che ad essa si ispirava. Ricordo un mitico concerto a Modena nel 1994, in cui si esibirono Modena City Ramblers, Cranberries e Van Morrison. In quegli anni apprezzavo anche le sonorità klezmer degli ebrei dell’Est e quindi atmosfere folk, strumenti tradizionali e liriche legate alla memoria dei tragici eventi che hanno sconvolto l’Europa nel secolo scorso. Negli ultimi tempi i miei percorsi e i miei ascolti si sono, in parte, rivolti verso altre direzioni. Tuttavia ascoltare i brani della Casa del Vento, oltre a riportarmi ad esperienze musicali e tematiche che avevo accantonato da qualche tempo – la vita si evolve lungo meandri e binari inaspettati e diversi, decennio dopo decennio – mi ha fatto riscoprire l’idea che l’arte può – e deve – esprimersi su quanto accade in seno alla società e non soltanto essere manifestazione dell’interiorità e della sensibilità del singolo.

L’artista, infatti, trova i mezzi di espressione a sé più congeniali ma, inevitabilmente, è figlio del proprio tempo e lascia un’impronta nella propria epoca e un messaggio per il futuro. La risposta ad ogni dubbio, poi, è scritta nel vento.