Pensieri ascoltando “Season of Glass” di Yoko Ono

Someday I’ll be remembered for the phone calls I never made
Letters I never mailed
And stories I never finished telling anyone.

È una stagione fredda, questa, in cui mi ritrovo spesso ad osservare da dietro i vetri il cielo, le nuvole, gli alberi. Da una finestra intravedo uno scorcio delle montagne, imbiancate da un po’ di neve.

Dicembre può essere un mese più o meno rigido, ma le basse temperature sono in genere mitigate dal calore delle festività in arrivo, tra lucine scintillanti e promesse di ritrovi, incontri, giornate piacevoli trascorse in famiglia o con amici. O almeno così dovrebbe essere: “life is not a bed of roses”, e la mia esistenza, come quella di ognuno, è diversa dalle immagini della pubblicità o da quelle dei film natalizi. Tuttavia ogni anno, in questo periodo, sono sempre riuscita a ritagliarmi qualche momento autentico e degno di essere ricordato.

Ora, invece, una strana sensazione mi pervade. Un sentimento di vuoto, di incompiuto. Come se non stessi vivendo davvero, ma fossi immersa nel sonno ormai da un paio di mesi, trascinandomi stancamente un giorno dopo l’altro dietro a un vetro, o davanti ad uno schermo vitreo, tra le faccende di casa, le incombenze di lavoro e le serate in compagnia della TV. La consapevolezza di aver perso qualcosa è un sentimento ricorrente. Ho sprecato la primavera e buona parte dell’autunno, galleggiando in un limbo indistinto, al tempo stesso cercando di dare senso ad ogni istante. E proprio per dare significato ad un pomeriggio dominato da un senso di attesa e di mancanza ho deciso istintivamente di ascoltare un album di cui conoscevo solo la copertina: “Season of Glass” di Yoko Ono.

Si tratta di un album quanto mai attuale poiché, come è noto, reca in copertina gli occhiali insanguinati di John Lennon e, a pochi giorni dal quarantesimo anniversario della sua morte, veicola un’immagine inquietante, che parla di un dolore inconsolabile, quello della stessa Yoko insieme a quello di milioni di fans gettati nella disperazione da un delitto assurdo e ingiusto.

La scelta dell’artwork fu aspramente contestata dai discografici, che la considerarono “di cattivo gusto”, ma Ono difese strenuamente il proprio punto di vista, affermando che quel paio di occhiali fosse tutto ciò che le restava del marito dopo il suo insensato assassinio. John Lennon era stato ucciso nella tarda serata dell’8 dicembre 1980 da un giovane squilibrato, Mark David Chapman, proprio mentre stava rientrando a casa con la moglie da una sessione di lavoro sulle registrazioni di Walking on Thin Ice, singolo che poi venne incluso in Season of Glass e che resta uno dei brani di maggior successo della carriera di Yoko.

1981, photo by Bob Gruen

Season of Glass è un disco fondamentale nel percorso di Ono, realizzato nel momento più drammatico della sua vita, ed in esso emergono le molteplici sfaccettature del suo essere donna e artista. Ascoltandolo, ho cercato nei versi delle canzoni un po’ di me stessa, pensando che l’autrice aveva esattamente la mia età quando le scrisse. Non intendo parlare di Yoko come personaggio misconosciuto, incompreso e odiato, perché confido nel fatto che chi legge abbia una sufficiente apertura mentale per considerare questa donna non solo come colei che “uccise i Beatles”. Mi addenterò invece nell’intricato sottobosco di sensazioni – dolore, solitudine, rimpianto, sensualità, tristezza, speranza – che pervadono le tracce di questo album, cercando un messaggio che dia senso a questa mia, nostra stagione di vita.

Goodbye Sadness, brano di apertura, sembra voler offrire una via d’uscita al tremendo lutto causato dalla scomparsa di John. Giunge un momento in cui la tristezza, anche quella che scaturisce dal dolore più devastante, deve essere messa da parte per lasciare spazio a sentimenti nuovi:

Goodbye, sadness, goodbye, goodbye
I don’t need you anymore
I lived in fear every day
But now I’m going my way

Hello, happiness, wherever you are
I hope you hear my song
Never want to cry again
Or hold my breath in fear again

La felicità, dunque, è possibile, è un diritto e un dovere per ciascuno di noi.

The feeling of loneliness hangs over like a curse: talvolta la solitudine è opprimente come una maledizione, e il senso di isolamento è ricorrente in questo periodo di distanziamento, di chiusura, di ansia generalizzata (Nobody Sees Me Like You Do). La solitudine può essere feroce e non dare tregua, e il senso di vuoto si fa incolmabile (I Don’t Know Why):

The room’s so empty, the room’s empty without you
My body’s so empty, the world’s so empty without you.

L’amore, invece, anche quello vissuto all’interno di un rapporto collaudato, può portare ad incomprensioni e a volte non si ha il coraggio di esporsi, di esprimere liberamente I propri sentimenti, per paura di essere feriti o rifiutati (Turn of The Wheel):

I miss you but I don’t wanna tell you
I need you but I don’t want you to know
Sometimes I’m glad just to know you’re here
But most times I’m afraid, yes, I’m afraid.

La sensualità, poi, pervade l’intero testo di No, No, No, in cui l’artista rivendica il bisogno di contatto fisico, di appagamento, di esercitare la propria femminilità in tutti i sensi, senza temere di esprimere I propri desideri in modo esplicito. Il bisogno di vicinanza del partner non è però solo sensuale, ma si fa anche richiesta di rassicurazione, supporto, sostegno (Will You Touch Me):

Will you touch me—will you touch me
When I’m shaking in fear
Will you reach me—will you reach me
When I’m trembling in tears

E infine il disco si chiude con un’invocazione alla Grande Madre (Mother of The Universe), al principio femminile, alla dea protettrice della vita “che crea il mondo, veglia sul tempo, lo protegge” (prendo in prestito le mirabili parole di GLF):

Our mother who art of the universe
Hallow be thy name
Thy wisdom reign, thy will is done
As it is to be

You gave us life and protection
And see us through our confusion
Teach us love and freedom
As it is to be

For thy is our wisdom and power
Glory forever

L’album esplora i vari significati della femminilità – amante, madre, creatura fragile o forte, coraggiosa o impaurita, sicura o smarrita, sola o con una presenza rassicurante al proprio fianco. Contiene messaggi di fiducia e momenti di disorientamento. Un disco perfetto per questa stagione fredda e sospesa, un cui la maggior parte del tempo di molti di noi è trascorso dietro un vetro, in un’autentica “season of glass” in cui le festività allieteranno solo in parte le nostre ore, e dovremo cercare altrove, nella profondità di noi stessi, il senso del tutto.

Someday I’ll be remembered for the fine words I meant to keep
A warm smile I meant to leave
And a true song I meant to finish writing all my life.