“New Progmantics” di Sarastro Blake si ispira alla letteratura e alle atmosfere britanniche e scozzesi

Let me not to the marriage of true minds

Admit impediments. Love is not love

Which alters when it alteration finds,

Or bends with the remover to remove.

Il Sonetto 116 è uno dei miei preferiti tra i componimenti di William Shakespeare, nonché una delle mie poesie favorite in assoluto. Contiene il concetto, divenuto celebre come molte delle mirabili creazioni verbali contenute nelle opere del Bardo, del “marriage of true minds”, vale a dire dell’unione indissolubile di due anime sincere e fedeli, e l’idea che l’amore non cambi con il mutare delle stagioni e delle circostanze, non si alteri a causa della distanza o delle difficoltà:

Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks

Within his bending sickle’s compass come;

Love alters not with his brief hours and weeks,

But bears it out even to the edge of doom.

Qualche tempo fa avevo abbozzato un articolo dedicato a questa lirica, ma non lo avevo mai terminato, lasciandolo pertanto tra i progetti incompiuti. Di recente, però, una fortunata circostanza, vale a dire l’ascolto dell’album New Progmantics di Sarastro Blake, mi ha colto piacevolmente di sorpresa, dandomi l’occasione di riprendere in considerazione questa poesia in modo del tutto inaspettato. Scorrendo i titoli delle tracce del disco – che, lo devo ammettere, mi ha conquistato fin dal primo ascolto – ho trovato, infatti, un brano intitolato Sonnet 116, che non è altro se non la trasposizione dei versi shakespeariani, senza alcuna modifica, in un brano musicale.

Sarastro Blake è lo pseudonimo dietro il quale si cela Paolo Pigni, musicista comasco già membro della Celtic Harp Orchestra e della band Mogador, il quale nel 2013 ha realizzato un album avvalendosi della collaborazione di ospiti prestigiosissimi, per lo più appartenenti all’ambito del progressive rock, come Rick Wakeman (Yes)Richard Sinclair (Caravan, Camel), David Paton (Alan Parsons Project, Camel), David Lawson (Greenslade), Nick Magnus e Amanda Lehmann (Steve Hackett Band), Bill Sherwood (Yes).

Il titolo dell’album, come è evidente, è una fusione degli aggettivi “progressive” e “romantic”, e il suo intento è appunto quello di attingere alla tradizione poetica del Romanticismo inglese (e non solo) rivestendo versi immortali di sonorità prog, ma anche folk, rock e pop. Pigni è autore di tutte le musiche, di alcune delle liriche, suona il basso, la chitarra acustica e il piano; per quanto, di fatto, si tratti di un’opera solistica, ad essa ha preso parte un vero e proprio “collettivo”. Oltre agli ospiti internazionali sopra menzionati, hanno infatti contribuito alla realizzazione del lavoro anche validissimi musicisti di casa nostra come Luca Briccola, Mirko Soncini, Serena Bossi (voce in “Sonnet 116”) e Marco Carenzio.

Anche il moniker scelto da Pigni è un rimando alla letteratura inglese e alla musica colta: Sarastro è, infatti, il flautista protagonista del “Flauto Magico” di Mozart, mentre il cognome Blake è quello del visionario autore preromantico che ha esercitato, con le sue composizioni, le sue illustrazioni e la sua concezione del ruolo del poeta come “profeta”, grandissima influenza sulle successive generazioni di scrittori e su tutta la cultura occidentale.

In “Sonnet 116”, quinta traccia dell’album, i memorabili versi shakespeariani e l’evocativa vocalità di Serena Bossi si accompagnano a note di chitarra acustica e di archi. Ma tutti i brani dell’album meritano di essere menzionati ed indagati, perché ognuno di essi narra una storia d’amore, e le diverse sfaccettature di questo sentimento prendono forma attraverso le parole di celebri poeti britannici e scozzesi o le liriche originali del musicista comasco, che rimandano alle atmosfere e all’immaginario d’Oltremanica.

The Lady of Shalott, prima traccia del disco in cui Pigni è autore del testo, si ispira al quadro del pittore John William Waterhouse (1888), a sua volta basato sull’omonimo poema del vittoriano Lord Alfred Tennyson. Il musicista è un grande ammiratore dei dipinti preraffaelliti e, pertanto, il testo della canzone contiene la sua personale interpretazione del quadro.  L’opera pittorica è poi riprodotta sulla back cover dell’album.

Questo dipinto è uno dei tre che l’artista inglese dedicò ad Elaine, bellissima donna protagonista di una leggenda del ciclo arturiano. Esso, il terzo della serie, raffigura la fanciulla su una barca, ormai morente perché colpita da una maledizione, in viaggio verso Camelot con l’arazzo da lei tessuto. Ella appare sofferente, con i capelli rossastri scarmigliati. Probabilmente le “red-haired ladies” incontrano il gusto personale del musicista, visto che questa tipologia femminile viene evocata in altri brani dell’album. Nel testo della canzone, un osservatore (in realtà potrebbe essere lo stesso Pigni, per sua stessa ammissione), ammirando il quadro nella Tate Gallery di Londra, si sente rapito dalla donna, al punto di immaginarsi poeta, pittore e cantore della sua bellezza, e pronuncia per lei struggenti parole d’amore:

If I were the painter

My brush would gently tremble

My mind would be unsettled

My heart would beat so fast for you

And I would fall down on my knees

I love you, I miss you, I need you, I dream of you

Clare’s Song è la trasposizione musicale di una poesia del poeta scozzese John Clare, conosciuta come “Love lives beyond the tomb”. Ancora una volta, dunque, si torna al concetto dell’amore che travalica tutti i limiti dell’esistenza umana e sconfigge la morte:

Love lives beyond the tomb

And earth, which fades like dew

I love the fond

The faithful, and the true

La Scozia è un luogo molto amato da Pigni e rappresenta una grande fonte di ispirazione per la sua arte. E l’amore per questa terra prende vita nel brano successivo, Scotland the Place, in cui l’immagine di due appassionati amanti si fonde con la natura e la storia di questo luogo, ancora a tratti selvaggio e incontaminato:

Scotland, the place

Where the passions mingle with the dreams

Scotland, the brave

We all wrap into your warm embrace

Stanzas From Music si basa sulla giustapposizione di due composizioni di Byron: They Said That Hope Is Happiness e On The Bust Of Helen By Canova.

Il primo componimento byroniano tratta del sentimento dell’eterna attesa, della speranza di raggiungere la felicità in futuro, ma lo scorrere del tempo non premia mai le vane illusioni umane:

Alas! it is delusion all;

The future cheats us from afar,

Nor can we be what we recall,

Nor dare we think on what we are.

La seconda lirica, invece, esalta la capacità dell’arte (e, in particolare, della scultura neoclassica, caratterizzata dall’equilibrio e dalla ricerca della perfezione) di rendere immortale la bellezza, ancor più della poesia. I versi del bardo Omero vengono qui definiti “defeated art”, arte sconfitta, perché le composizioni poetiche possono anche andare perdute, ma la perizia di Canova ha reso Elena davvero imperitura:

Beyond imagination’s power

Beyond the Bard’s defeated art

With immortality her dower

Behold the Helen of the heart!

Un altro omaggio alla Scozia è contenuto My Heart’s in the Highlands, basato sui versi di Robert Burns, il più celebre poeta locale. La poesia è un inno alla propria patria da parte dello scrittore, un appassionato tributo alla “terra del valore e dell’onore”, e anche se l’autore è costretto ad allontanarsi da essa, dicendole addio, il suo cuore resterà sempre sulle sue alture:

Farewell to the mountains high cover’d with snow

Farewell to the straths and green vallies below

Farewell to the forests and wild-hanging woods

Farewell to the torrents and loud-pouring floods

Il richiamo ai Preraffaeliti presente nel primo brano ritorna poi in “Remember”, canzone basata su una poesia di Christina Rossetti. L’autrice era sorella di Dante Gabriel Rossetti, fondatore del movimento artistico e letterario inglese che si prefiggeva di abolire i modelli imposti dall’estetica vittoriana e di unificare i concetti di bellezza, arte e vita.

Nel sonetto, la poetessa inizialmente invita il suo innamorato a ricordarsi di lei dopo che sarà morta, in armonia con la tematica dell’amore che supera i limiti di tempo e spazio presente in altri brani dell’album. Il finale, però, rappresenta un colpo di scena perché, anziché indulgere nel sentimentalismo, l’io lirico invita il suo amato, molto pragmaticamente, a dimenticarsi di lei se il fatto di ricordarla dovesse causargli sofferenza:

Better by far you should forget and smile
Than that you should remember and be sad
.

Flaming June si ispira all’omonimo dipinto di un altro preraffaellita, Sir Frederic Leighton, che compare anche sulla copertina dell’album in una rielaborazione contemporanea da parte del fotografo Christopher Colquhoun. Il colore arancione domina tutta l’immagine, diventando autentica espressione del titolo, rievocando il sole infuocato estivo nelle vesti della donna dormiente. Quest’ultima, secondo la critica, si ispira alla statua della Notte di Michelangelo sulla tomba di Giuliano De’ Medici a Firenze, o al dipinto perduto Leda e il cigno dello stesso autore (l’immagine qui pubblicata è la versione di Rubens dello stesso soggetto).

L’amore per la “red-haired girl” è totalizzante al punto che nella sua anima il compositore vede l’intero universo, alla maniera dei poeti metafisici come John Donne, che nell’unione di due amanti vedeva il corrispettivo della perfezione e dell’armonia del cosmo. In The Good Morrow, Donne paragonava il suo rapporto con la donna amata all’unione dei due emisferi terrestri: il microcosmo della coppia rappresenta il macrocosmo, cioè l’universo, poiché contiene in sé tutto il necessario. Questi i versi di Pigni:

With her eyes closed on the world

I can see the Universe in her soul

Peace & brightness now reign here

Where once the raging sea brought fear.

E questi i versi di John Donne:

My face in thine eye, thine in mine appears,

And true plain hearts do in the faces rest;

Where can we find two better hemispheres,

Without sharp north, without declining west?

Beyond e Solitary Bench, brani composti da Pigni e originariamente concepiti per essere inseriti nei primi due album dei Mogador, completano il lavoro.

In Beyond, dedicata al filosofo indiano Sri Aurobindo e alla sua compagna, compare ancora una volta il concetto del travalicare i limiti dell’esistenza umana: i due innamorati sono “knights of beyond”, cavalieri dell’oltre, che si avventurano in lande sconosciute ai più e oltrepassano i confini del tempo e dello spazio (“Time and Space collapse now”).

Solitary Bench è invece una lirica intimista che indaga “the bliss of solitude”, la beatitudine dello stare soli, per dirla con il poeta romantico William Wordsworth, che nelle sue Lyrical Ballads (1798), pubblicate insieme all’amico Samuel Taylor Coleridge, esaltava la necessità del ritorno dell’uomo allo stato di natura come difesa e fuga dalla corruzione prodotta dalla civiltà.

Il contatto con la natura permette all’individuo di rigenerarsi e di trasformare la propria finitezza in una condizione perfetta e preziosa, subendo una meravigliosa metamorfosi come quelle presenti in nel regno animale e minerale. Come il sassolino si trasforma in perla e il bruco diventa farfalla, così il poeta/musicista, supremo artefice, trasforma, novello alchimista, il piombo (simbolo del greve fardello della vita quotidiana) in oro.

L’analisi degli aspetti prettamente musicali di questo disco esula dai miei intenti; a questo proposito sono già state scritte numerose recensioni e ad esse rimando chi fosse interessato (sono reperibili sul sito www.sarastroblake.com). Molto interessante, sul sito ufficiale dell’artista, è la sezione intitolata Making Of, in cui l’autore stesso illustra il significato e le fasi di realizzazione di ciascun brano e ne cita le fonti di ispirazione.

In conclusione, posso dire di essere partita dai versi di Shakespeare per compiere, ripercorrendo i testi delle canzoni di “New Progmantics”, un excursus sulla letteratura e sull’arte, un po’ alla maniera dei Preraffaelliti che, come si è detto, consideravano essenziale il connubio tra poesia, pittura e vita. A tutto questo si aggiunge l’ingrediente fondamentale delle raffinate e suggestive melodie di Sarastro Blake, che rendono l’ascolto di questo album (lo trovate su Spotify, Apple Music, YouTube Music e le altre principali piattaforme in streaming) un’esperienza unica. Ma, soprattutto, analizzare le liriche di questo disco mi ha permesso di indagare la natura dell’amore, sentimento che rende la vita degna di essere vissuta, nei suoi diversi aspetti: amore per la natura, per la propria patria, illusorio attaccamento a un personaggio che rivive solo nei nostri sogni o legame indissolubile con la persona che ci rende completi. L’amore che resiste al tempo e alle difficoltà, che supera ogni limite, che sopravvive anche quando la nostra parabola terrena si è conclusa, per realizzarsi nell’eternità.

If this be error and upon me prov’d,

I never writ, nor no man ever lov’d.