Cicatrici del corpo e dell’anima: le foto di Eleonora Pafundo ritraggono ciò che resta dopo la violenza sessuale

In occasione dello spettacolo Come Lei Io, messo in scena il 25 e 26 settembre scorso dalla compagnia Trebisonda di Como presso il Teatro San Teodoro di Cantù e dedicato alla tematica delle relazioni disfunzionali e della violenza di genere, sono state allestite due mostre: Dal Tunnel di Roberta Stifano, di cui ho avuto già occasione di parlare (link all’articolo:

e Ruins You Cannot Erase di Eleonora Pafundo.

Mentre la prima racconta, con dipinti e sculture, la presa di coscienza di una donna dai primordi di un rapporto con un narcisista patologico fino alla liberazione da questo legame deleterio e alla rinascita del proprio sé, la seconda offre testimonianze fotografiche e autografe di vittime di abusi sessuali.

Come spiega la stessa Pafundo, l’intento della mostra è di raccontare con le immagini ciò con cui le vittime devono convivere, ciò che resta loro in seguito alle esperienze di abuso o stupro: le macerie della propria individualità, i relitti dell’identità e dell’integrità perduta. Alcune storie si sono consumate in poche ore, altre si distendono nell’arco di anni, fin dall’infanzia dei protagonisti.  Molte di queste persone hanno già ripercorso, per vari motivi, la vicenda vissuta, ricostruendola tramite dettagli relativi ai tempi, ai luoghi, alle parole pronunciate, ai vestiti indossati e a tutto ciò che ha consentito di avere un quadro dell’accaduto.

Eleonora ha raccolto varie testimonianze e l’aspetto a suo dire, più interessante, ma anche desolante, è che man mano che diverse persone venivano da lei contattate per riportare la propria drammatica esperienza, sempre più se ne aggiungevano al progetto, a riprova di quanto gli abusi e la violenza domestica o di genere siano più diffusi di quanto si possa pensare.

La fotografa ha voluto tradurre questi racconti in immagini, senza aggiungere didascalie e descrizioni, per lasciare che le emozioni degli spettatori sorgessero libere e spontanee, senza essere guidate da parole o frasi e per suscitare una totale empatia con le vittime.
Il risultato di questa scelta è avvenuto con successo, poiché i visitatori della mostra hanno potuto accostarsi a questa complessa realtà senza pregiudizi, elaborando la propria interpretazione che si avvicinava molto o del tutto a ciò che era stato raccontato e dimostrando che entrare in sintonia e manifestare comprensione e solidarietà con chi ha vissuto queste terribili vicende non è difficile, anzi, può avvenire con grande naturalezza.

Immagini crude, realistiche, disturbanti ma anche oniriche, prevalentemente in bianco e nero, rappresentano dettagli, volti e corpi deformati, feriti o semplicemente ed impietosamente esposti.

Un viso è ricoperto da un telo di plastica, per renderne inudibile il grido.

Di un altro volto sono visibili solo gli occhi, dall’espressione terrorizzata, perché le mani dell’aggressore premono sulla bocca per soffocare le urla, e la scena non è osservabile direttamente, bensì attraverso uno specchio infranto. L’integrità della vittima è in frantumi come il vetro riflettente, e quest’ultimo aumenta la distanza tra l’episodio rappresentato e lo spettatore, aumentandone il senso di impotenza e al tempo stesso suscitandone una forte risposta emotiva ed empatica.

Una mano appoggiate sull’inguine di una persona, ha le dita allungate a dismisura, a voler simboleggiare il persistere della violenza e l’incapacità di difendersi da parte di chi subisce questo contatto.

Su uno specchio, poi, sono appese toccanti testimonianze di uomini e donne vittime di abusi. Senso di colpa, vergogna e impotenza, avvolti da un assordante silenzio, sono i sentimenti veicolati da coloro che hanno vissuto questo dramma. Contenuti forti, spiazzanti, che fanno comprendere all’osservatore l’ingiustizia, l’insensatezza e il l’orrore che caratterizza questi episodi e la profondità delle cicatrici che, come recita il titolo stesso della mostra, sono incancellabili, rendendo spesso le vittime pressoché incapaci di vivere altre relazioni affettive.

Chi ha esperienza diretta di queste problematiche, osservando queste foto, può dunque esorcizzare il proprio dolore e affrontarlo guardandolo negli occhi, consapevole di non essere il solo ad aver esperito abuso e violenza. Al tempo stesso, chi non ha vissuto quel trauma può riconoscerlo, interrogarsi su di esso, su di sé e sulla società, che a volte non tutela adeguatamente le vittime della violenza e degli abusi.

“Soltanto creando una rete e parlando il più possibile di queste tematiche è possibile abbattere il muro di silenzio dietro il quale molte vittime si rinchiudono a causa del trauma subito” ha affermato Eleonora Pafundo. Per questo motivo le sue immagini, per quanto drammatiche e spiazzanti, hanno trovato posto in un evento che le ha affiancate ad altre opere che parlano di violenza psicologica nei riguardi delle donne. È fondamentale sia prevenire gli episodi di maltrattamento e di abuso, sia fare sì che le vittime siano in grado di esprimersi, di difendersi, di denunciare i loro aggressori. La mostra Ruins You Cannot Erase, il progetto Dal Tunnel di Roberta Stifano e lo spettacolo Come Lei Io  non solo parlano di scomode verità, ma incitano gli spettatori a interrogarsi, a guardare dentro sé stessi e a cercare delle risposte nei confronti di queste problematiche di triste attualità.

La mostra di Roberta Stifano sarà visitabile fino al 7 ottobre prossimo, mentre le fotografie di Eleonora Pafundo resteranno esposte fino al 9 ottobre, negli orari di apertura della biglietteria e in occasione degli spettacoli teatrali. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.teatrosanteodoro.it .

A questo link è possibile visionare un video-trailer che si configura come una sorta di visita virtuale alla mostra.