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Tim Grimm è un artista straordinario e completo, poco noto al grande pubblico in Italia ma molto apprezzato negli USA. Nato in Ohio nel 1960, ma cresciuto in Indiana, dopo aver conseguito un Master in Fine Arts in performance teatrale ha lavorato in teatro e contemporaneamente si è accostato allo studio della musica folk, iniziando a comporre musica e ad esibirsi con la sua prima band.
Dopo aver realizzato due album, Grimm ha momentaneamente accantonato la sua attività di musicista per dedicarsi al cinema e alla televisione come attore in numerosi film e serie TV al fianco, tra gli altri, di Harrison Ford. A conclusione del lungo periodo losangelino, ricco di successi e riconoscimenti, ha poi deciso di tornare nella sua patria, l’Indiana, terra natale dei suoi genitori insegnanti e dei nonni agricoltori: una scelta consapevole, dopo diversi anni vissuti sotto i riflettori. Grimm ora vive in campagna con la sua famiglia e l’atmosfera rurale è per lui essenziale fonte di ispirazione, nonché protagonista assoluta delle sue composizioni; sua moglie Jan ai (cori e armonica) e i suoi figli Connor e Jackson (basso e banjo), inoltre, cantano e suonano con lui nei suoi dischi in una vera e propria “family band”.

Il suo primo album da solista, risalente al 2000, era stato salutato dalla critica come miglior disco rivelazione del genere Roots/Americana. In seguito Tim Grimm è stato insignito del titolo di miglior artista dell’anno per lo stesso genere. Nell’arco di 20 anni ha pubblicato 14 album ed ha ripreso la sua attività teatrale e televisiva, tra l’altro componendo un brano e recitando in una produzione di “Furore” di John Steinbeck; questo ha valso al disco del 2005, The Back Fields, il titolo di album dell’anno, sempre per il genere Americana. Molti dei suoi brani hanno raggiunto il primo posto nelle classifiche folk USA. Un’altra attività alla quale Grimm si è dedicato è l’organizzazione di tour alle Isole Aran, in Irlanda, e nel Nord Europa, luoghi in cui ha anche promosso numerosi eventi musicali e culturali.
Il suo ultimo album, Gone, distribuito da Appaloosa Records e uscito nel marzo di quest’anno, è rimasto per un mese nella prima posizione delle classifiche folk statunitensi. E’ stato acclamato dalla critica come un eccellente lavoro, il prodotto dell’abilità compositiva di un artista che conferma il proprio talento senza allontanarsi dall’ambito in cui ha ripetutamente dimostrato di essere un autentico maestro. I nove brani che lo compongono (otto più una ripresa) narrano storie di perdita, come lo stesso titolo dell’album preannuncia, senza rinunciare alla speranza nel futuro. Tra creature venute alla luce ed altre scomparse prematuramente, strappare alla vita nella più tenera età o vittime di un male impietoso come quello della recente pandemia, vicende di vita e di morte si intersecano nell’album, mentre la natura offre conforto e consolazione.

Il primo brano, “A Dream”, descrive un sogno di vita familiare allietato dalla nascita di una bambina “dallo strano nome” che l’io lirico coltiva, a dispetto delle voci interiori e degli ostacoli, concreti o mentali, che lo trattengono. Il tema della perdita si incarna, qui, nell’impossibilità di vivere appieno le proprie fantasie, ma il brano è comunque pervaso da un senso di serenità, che prende forma nelle risate dei protagonisti e nella tenerezza della bambina.
“Carry Us Away” racconta di un legame avventuroso, di fuga, di lontananza e dell’evasione dalle difficoltà della quotidianità che una bottiglia può assicurare, ma prefigura anche, nello stesso titolo, un viaggio senza ritorno.
“Cadillac Hearse” narra di un carro funebre, uno dei tradizionali emblemi della morte, che però in questo caso diventa alleato della vita, perché funge da ambulanza in un paesino sperduto nella campagna. Si tratta di una storia tenera e piena di ottimismo, poiché al volante del veicolo c’è un ragazzo quindicenne che soccorre una giovane partoriente e la aiuta a mettere al mondo la propria creatura.
“25 Trees” evoca lo scenario rurale nel quale lo stesso Grimm risiede, fonte di conforto nei mesi della pandemia insieme al passatempo costituito dalla lettura. Dalla sua finestra sono visibili alberi di tutte le varietà (tra gli altri, ciliegi selvatici, gelsi, noci, aceri, castagni) mentre, su uno scaffale di casa, sono appoggiati volumi che il protagonista vorrebbe trovare il tempo di leggere: le fiabe irlandesi di Yeats, “Furore” di Steinbeck, “Wilderness Plots” di Sanders, “Questa terra è la mia terra” di Woody Guthrie e altri titoli emblematici che fanno parte dell’immaginario dell’autore. Fuori dalla casa, la natura è rigogliosa, mentre api, uccelli e piante rampicanti sembrano vegliare sugli abitanti.


“Laurel Pearl” (il primo nome significa “alloro”, pianta simbolo di gloria, vittoria, successo ed anche di resurrezione) è una toccante meditazione sulla prematura scomparsa di una figlia e sulla gioia che ella dispensava quando era in vita. Uno dei brani migliori dell’album, esso commuove per la dolcezza con cui viene descritta la piccola e per il senso di precarietà che esprime:
You were named for the loveliest of trees
And a luminous gem in the sea
We’re all just a breath in this world
Close your eyes and let the mysteries unfurl
You’ll always be our girl…
“Joseph Cross”, scritta da Eric Taylor, uno degli amici musicisti scomparsi a cui l’album è dedicato, narra la storia di un vecchio indiano che, dopo aver ucciso per fame e per disperazione, trova finalmente la pace nella morte. “Gone”, la title-track, è invece un tributo all’indimenticabile John Prine, uno dei padri del genere “Americana”, e a tutti coloro che sono mancati a causa della pandemia; descrive inoltre, con rammarico, il diverso tipo di vita che la situazione di emergenza ci ha imposto.


“Dreaming of King Lear” (la citazione shakespeariana viene dal Grimm uomo di teatro) vuole infine celebrare il ricordo di Michael Smith, Eric Taylor e David Olney, tre musicisti e amici di Grimm mancati lo scorso anno, commemorandone la perdita ma anche dimostrando gratitudine per la musica che ci hanno donato. Essi sono definiti giullari, predicatori e profeti, compagni di avventure musicali, ora in pellegrinaggio verso Gerusalemme, cioè viaggio in verso l’aldilà.

Otto splendidi brani intrisi di poesia sono racchiusi in un artwork sobrio ed evocativo: si tratta di un disegno a carboncino, realizzato dallo stesso Grimm all’età di 12 anni, che rappresenta un bosco di sempreverdi. Sulla destra, isolato, compare un albero spoglio, senza foglie. Mentre gli esemplari della foresta, fitti gli uni accanto agli altri, si stagliano verso il cielo, le loro cime protese in direzione dell’infinito, il loro fratello un po’ contorto e mutilato dalle intemperie della fredda stagione invernale, rievocata dai contorni bianchi che potrebbero alludere alla brina o alla neve, se ne sta solo e malinconico. Nel ciclo della vita ci sono la primavera e l’inverno, lo sbocciare delle gemme e la caduta delle foglie, la nascita e la morte, e non possiamo che prenderne atto, anche se dolorosamente. Ma dobbiamo anche essere grati all’esistenza per i doni ricevuti, per la gioia che le persone care ci hanno donato e per le canzoni che i nostri amati musicisti hanno composto, anche se sono scomparsi troppo presto. Questo è dunque “Gone”, uno dei migliori album di quest’anno, ricco di lirismo, malinconia e speranza.