Artwork “verdi”: alberi, boschi, foreste sulle copertine dei dischi

Il bosco è un luogo evocativo e ricco di spiritualità, dotato un profondo significato simbolico fin dai primordi dell’umanità.

Nelle antiche religioni esso era un luogo di culto. Per i Celti il bosco era un sito sacro ritenuto carico di poteri benefici e di energie positive nel quale i sacerdoti, i Druidi, celebravano i loro riti. Per i Romani, invece, il “Lucus” o “Nemus” era la radura in cui la luce del sole riusciva a penetrare. Boschi sacri di origine etrusca o romana esistono ancora nell’Italia centrale e la toponomastica locale conserva tracce di tali luoghi.

La foresta, essendo costituita da migliaia di alberi, è simbolo della linfa vitale dell’universo e della capacità rigeneratrice della natura. In molte culture è lo scenario ideale per l’esperienza iniziatica, in quanto luogo primordiale, contrapposto alla superficie edificata e coltivata dall’uomo; in essa le regole della società perdono valore, subordinate a quelle della natura spontanea. Non a caso, molte fiabe della tradizione europea si collocano in una foresta, per non parlare poi della simbolica selva oscura in cui si smarrisce Dante prima del suo viaggio nell’oltremondo.

Nelle ballate medievali, poi, come quella inglese Lord Randal di cui esistono molteplici versioni in più lingue, il cavaliere viene avvelenato dalla sua donna (“true-love”) nel bosco (“the greenwood”) che qui si configura come luogo di magie e di incantesimi. L’incauto nobiluomo è reo di essersi recato a caccia in un luogo sacro: la sua trasgressione ne causa la morte ad opera di una fata, abitante dell’ambiente silvano, che ha preso le sembianze della sua amata per punirlo.

La foresta è inoltre immagine archetipica delle paure più nascoste dell’essere umano: in essa ci si può perdere o si possono fare brutti incontri con fiere, malintenzionati o esseri sovrannaturali. Il folklore ha così, da sempre, popolato il bosco di creature ibride come gnomi, fate, streghe, elfi, troll, animali parlanti, personificazioni di componenti primitive dell’uomo.

La valenza simbolica delle aree silvestri è presente, comunque, anche nelle civiltà extraeuropee. Non stupisce, quindi, che alberi e foreste siano stati fonte di ispirazione per numerosi musicisti e siano stati riprodotti negli artwork degli album, in particolare in quelli di artisti legati all’area della musica folk nelle sue varie declinazioni e quindi sensibili a tematiche tradizionali, spirituali, esoteriche o ambientaliste.

Volendo prendere in considerazione solo alcuni dei possibili esempi, Il bosco compare sulla copertina di Songs From The Wood dei Jethro Tull (1977). L’album della band di Ian Anderson è ricco di riferimenti alla cultura inglese medievale e le sue tematiche furono infatti in parte ispirate dal libro Folklore, Myths and Legends of Britain. La cover rappresenta il frontman seduto accanto ad un tronco tagliato, dopo una battuta di caccia, con una pentola che ribolle, il suo cane e le prede appena conquistate. In questo caso, dunque, l’azione dell’uomo si pone in posizione dominante rispetto alla natura: egli, in qualità di “signore del creato”, sottomette il bosco ed i suoi abitanti.

Tre anni dopo, nel 1980, uscì il secondo album dei Cure, Seventeen Seconds. Esso reca in copertina una foto molto sfuocata di un gruppo di alberi, riconoscibili soprattutto nella parte destra dello scatto, mentre a sinistra una sbavatura rossa contribuisce a rendere l’immagine enigmatica e inquietante. Le atmosfere del disco sono rarefatte e le nebbie di un paesaggio avvolto nell’oscurità sembrano pervadere molti dei brani, tra cui la celeberrima A Forest:

I hear her voice /Calling my name/The sound is deep/In the dark

I hear her voice/And start to run/Into the trees…
Suddenly I stop/But I know it’s too late/I’m lost in a forest/All alone

The girl was never there/It’s always the same/I’m running towards nothing
Again and again and again and again…

Qui la foresta, lungi dall’essere un luogo sacro o iniziatico, è uno scenario da incubo: il protagonista si sente chiamare dalla voce irreale di una fanciulla, ma il richiamo si rivela puramente illusorio ed egli si ritrova solo, smarrito e corre verso il nulla.

Facendo un salto in avanti di tre decenni, arriviamo al 2013, anno in cui esce il celebrato album Nádúr dei Clannad (il titolo significa “natura”). Esso segue l’ultimo lavoro in studio dell’ensemble folk irlandese, risalente a sedici anni prima. L’immagine silvestre ritratta in copertina risulta particolarmente appropriata, trattandosi di una band di prog-folk, la più importante tra quelle che ripropongono le sonorità tradizionali dell’Isola di Smeraldo in un’ottica di mescolanza tra passato e futuro. L’artwork dell’album rappresenta un folto di alberi, attraverso i cui rami filtrano i raggi solari, illuminando di luce soffusa i cinque componenti della band. Un rettangolo marrone scuro a destra è una sorta di quinta scenica che conferisce un senso di lontananza alle figure umane a sinistra. Su di esso è impresso il titolo del disco.

Anche gli artisti pop non sono insensibili al fascino esercitato dai boschi e dalla vegetazione, sia pure conferendo a questo simbolo una connotazione ironica. In Under The Radar vol. 2 di Robbie Williams, una raccolta di b-sides uscita nel 2017, l’artwork rappresenta una pianta di grandi dimensioni sul quale un uomo nudo (Williams stesso) pare arrampicarsi, a voler simboleggiare un ritorno alle origini dell’individuo, a quello stato di natura di cui parlava Rousseau contrapponendolo all’azione corruttrice della civiltà, o addirittura a quando i primati vivevano ancora sugli alberi.

Arriviamo, infine, al 2021. Le band di folk metal ricorrono spesso alle immagini silvestri e alla tematica dell’albero come simbolo di vita, morte e rinascita, o del bosco come luogo spirituale. Sulla cover di The Fith Season degli Aexylium, formazione insubrica, compare non un’intera foresta, bensì un singolo albero isolato, contrapposto ad un apocalittico scenario urbano. La natura si oppone dunque allo spazio antropico, in una dicotomia tra spirito e materia, incontaminato e contaminato, spontaneità e distruzione. La pianta appare rinsecchita, quasi priva di vita, ma le foglie verdi dell’edera che si attorcigliano intorno al tronco sembrano voler accendere una scintilla di speranza nell’osservatore. Il cielo è violaceo a sinistra, con i colori della tempesta, e rosso-arancio a destra: è infuocato dal tramonto o dall’incendio che ha distrutto la città? L’immagine, tutt’altro che rasserenante, sembra essere un monito all’umanità e al suo sviluppo incontrollato, irrispettoso dei ritmi naturali. Il bosco sacro è stato distrutto, ma anche la città ha subito la stessa sorte, così come, probabilmente, i suoi abitanti. Si auspica che il regno vegetale sia in grado di riconquistare il proprio spazio, popolandosi di nuove forme di vita.

L’ultimo artwork che vorrei prendere esame è quello di Gone del songwriter statunitense Tim Grimm. Considerato uno dei rappresentanti più autorevoli del genere Roots/Americana, il musicista ha visto il proprio ultimo lavoro, uscito nel marzo di quest’anno, al primo posto nelle classifiche folk USA. I nove brani narrano storie di perdita e molti di essi sono dedicati a personaggi scomparsi, immaginari o reali come i colleghi John Prine ed Eric Taylor. Tra le canzoni spicca 25 Trees, che evoca lo scenario rurale nel quale Grimm risiede, nello stato dell’Indiana. L’io lirico narra che dalla sua finestra sono visibili alberi di tutte le varietà, come ciliegi selvatici, gelsi, noci, aceri, castagni, mentre fuori dalla casa la natura è rigogliosa e sembra vegliare sugli abitanti.

Particolarmente significativa è l’immagine di copertina, realizzata a carboncino su un foglio di carta grezza dallo stesso musicista a 12 anni di età. Essa rappresenta un bosco di sempreverdi. Sulla destra, isolato, compare un albero spoglio. Mentre gli esemplari della foresta, fitti gli uni accanto agli altri, si stagliano verso il cielo, le cime protese in direzione dell’infinito, esso – un po’ contorto e mutilato dalle intemperie della fredda stagione invernale – se ne sta solo e malinconico.

Nel ciclo della vita ci sono la primavera e l’inverno, lo sbocciare delle gemme e la caduta delle foglie, la nascita e la morte, e non possiamo che prenderne atto, sia pur dolorosamente. Ma dobbiamo anche essere grati – e questo è il sentimento che pervade l’intero lavoro discografico – all’esistenza per ciò che abbiamo ricevuto.

Così Tim Grimm ha raccontato la genesi della copertina del disco:

When I was going through the things in my parents’ house about two years ago (they both died just before that), I came across several drawers of a variety of drawings, prints, etc. And I came across what is now the album cover, a drawing I made at about age 12… It had to have been inspired by the folk music that was playing throughout our house. A famous song in particular comes to my mind, In The Pines… and the woods with pine trees not far down out rural lane… and perhaps the cover of one of my favourite albums, Bowling Green by The Kossoy Sisters. I think it was recorded in 1957 by two young twins.

Their version of I’ll Fly Away was in the film Brother Where Art Thou…. They became friends of mine decades later, and they sang on one of my prior album tracks, Ceely Rose. The charcoal drawing of my childhood inspired me and it became clear that it had to represent my new batch of songs on GONE.

Con la testimonianza del cantautore americano concludo il mio excursus attraverso gli artwork di album di diversi artisti e generi. Nella maggior parte dei casi, il bosco raffigurato sulle copertine si tinge di significati spirituali. Il paesaggio può riflettere lo stato d’animo dell’uomo o può considerarsi un luogo in cui raggiungere la fusione con la natura. Il ciclo delle stagioni va di pari passo con il ciclo vitale dell’uomo. L’ambiente silvestre può donare serenità o, al contrario, simboleggiare paure ataviche. Resta il fatto che recuperare l’antico legame con gli alberi e la foresta viene avvertito come esigenza da molti animi sensibili, tra i quali numerosi musicisti.

Ringrazio Tim Grimm per la sua testimonianza ed i colleghi e amici di Art Over Covers: Antonella “Aeglos” Astori, Paolo Crugnola e Fabio Vannucci per i preziosi consigli.

Link alla recensione di “Gone”: