No Time To Cry, il penultimo album di James Maddock uscito nel 2020, è senz’altro uno dei suoi lavori più riusciti. Molti dei brani si ambientano in uno scenario urbano, proprio in quella New York dove il songwriter inglese vive dal 2003, così come metropolitana è l’immagine di copertina: in essa il musicista di Leicester appare da solo, con le mani in tasca, al centro di una strada semideserta del West Village, Washington Street, con aria pensierosa e soltanto un paio di passanti e di auto alle sue spalle.
La location ha degli illustri precedenti, perché nello stesso quartiere newyorkese era stato realizzato lo scatto della cover di The Freewhelin‘ Bob Dylan, in cui il giovane cantautore di Duluth compariva sottobraccio alla fidanzata di allora, l’italoamericana Suze Rotolo, nel mezzo di una strada trafficata (precisamente tra Jones Street e la West 4th St. ) Maddock invece, come si è detto, si trova in una via pressoché deserta perché, come lui stesso ha raccontato, la foto è stata scattata durante il primo lockdown, nella primavera del 2020, poco prima dell’uscita del disco nel mese di maggio.

L’album, però, è stato ultimato prima dello scoppio della pandemia, pertanto in esso non c’è traccia della malinconia e del ripiegamento interiore che caratterizzano invece il suo più recente lavoro, Little Bird in the Neighbourhood.
L’amore è il filo conduttore delle nove canzoni, in cui le figure femminili sono preponderanti: la bella sconosciuta che l’io lirico osserva nella sua quotidianità in The A Train Takes You Home, la Sophie Magdalena della title track, la fidanzata che si fa aspettare in Waiting For My Girl, la regina del vaudeville Baby Jean (“Female, Feline, Feminine”) di New York Skyline, la “strana compagna di letto” di Open Up To You, la vicina di casa in Top Of The Stairs sono alcune delle affascinanti protagoniste che popolano il disco.
Ma l’album è anche una dichiarazione d’amore alla città di New York: essa può essere “jealous, cold and fickle” (invidiosa, fredda e volubile) o scintillante di luci del varietà, sporca (“the fag ends chase the plastic spoons”) o ricca di promesse (“There’s so much life in this city”) ed i suoi luoghi, più o meno noti, fanno da sfondo alle vicende narrate, dense di gioia di vivere o di malinconia. Le strade cittadine, percorse tante volte, sono poi metafora dell’esistenza: il protagonista di I’ve Driven These Roads si guarda intorno in modo disincantato, disilluso, dicendo a se stesso “it’s no big deal” (non è niente di che).

Il disco si apre con la ballata Williamsburg Bridge (per chi non lo conoscesse, è un ponte che attraversa l’East River), cover di un brano di una cantautrice di Brooklyn, Cariad Harmon. Le mille luci della Grande Mela, e di Manhattan in particolare, illuminano New York Skyline, anch’essa una cover, questa volta firmata da Garland Jeffreys. In Waiting for My Girl, uno dei brani migliori, emerge la pedal steel di David Immergluck dei Counting Crows, che ha collaborato spesso con Maddock negli ultimi anni. The A Train Takes You Home è un brano di ben 7 minuti, intriso di lirismo, in cui all’osservazione della protagonista che viaggia ogni giorno in metropolitana si accompagnano altri sguardi verso la città che non dorme mai, tra la casa dove viveva Bob Dylan e la pioggia che cade lungo le strade dell’Uptown. Un episodio un po’ meno riuscito, per quanto piacevole, è The High Chose You, che appare leggermente fuori contesto, rievocando gli “sballi” di vari personaggi, tra birra e cocaina: in essa vengono citati Janis Joplin, Jim Morrison e Omar Sharif. La title track è anch’essa uno dei brani più poetici e significativi, dedicata al sentimento impossibile per una ragazza che porta una rosa bianca nei capelli, sparge petali di fiori ed è come un angelo che diffonde amore intorno a sé:
With a white rose in your hair
You climbed that marble stair
You scattered petals from above
You’re like an angel spreading love
Chiude l’album la dolce e malinconica Top Of The Stairs, che rivolge un pensiero ai cuori solitari che non hanno nessuno da amare, come la solitaria protagonista:
Don’t stare off into the dark, my love
It’s only shadow and the blues
There’s so much in this city
You just can’t lose

La roca e suadente vocalità di Maddock ricorda, a tratti, quella di Rod Stewart e Steve Forbert; tra i musicisti coinvolti, spiccano l’inseparabile Brian Mitchell, che tante volte ha accompagnato James nei suoi tour italiani alle tastiere, organo e fisarmonica, e l’amico David Immergluck al violino, vero marchio di fabbrica di alcuni pezzi dal sapore folk irlandese.
La traduzione dei testi in italiano, come è consuetudine nei dischi pubblicati da Appaloosa Records, consente di apprezzare nei dettagli le ispirate liriche dell’album.
