Una conversazione con Agnese Valle sul suo ultimo album, Ristrutturazioni
Ciò che si lascia andare, ciò che invece si trattiene.
Uno sguardo al circostante, la costruzione di un edificio complesso.
Quel che si incontra, l’inciampo
Che spezza il passo e dà nuovo ritmo al lento incedere.
Quel che ero, quella che sono.
Così Agnese Valle introduce il suo ultimo album, Ristrutturazioni, uscito nell’ottobre 2020 per l’etichetta Maremmano Records.

Cantautrice, clarinettista, speaker radiofonica e vocal coach, la musicista romana ha ottenuto importanti riconoscimenti per alcuni dei brani inseriti nel disco: Come la punta del mio dito, scritta con Pino Marino, ha vinto il Premio Panseri ed è stata finalista nelle Targhe Tenco, mentre La terra sbatte, dedicata alle tragedie del Bataclan e di Nizza, ha ottenuto il Premio della critica di Amnesty International.
Il suo terzo lavoro, anche se non si configura come un vero e proprio concept album, ruota comunque intorno ad un concetto cardine, quello della “ristrutturazione” dell’esistenza. Ristrutturare significa, come la stessa Agnese afferma, lasciare andare ciò che non serve e conservare ciò che ha ancora significato nella propria vita. Significa anche essere consapevoli che lungo il proprio percorso si potranno incontrare degli ostacoli, ma bisogna saperli affrontare con resilienza. Ristrutturare implica anche andare al di là di se stessi e prendere coscienza delle problematiche del mondo circostante. Se è necessario, bisognerà anche andare controcorrente, rischiando le proprie certezze per salvaguardare la propria autenticità.

Ho avuto modo di conoscere ed apprezzare il talento di Agnese qualche mese fa, in occasione della prima data del suo tour estivo, che era partito proprio da Cantù. Recentemente ho poi avuto modo di porle qualche domanda. Ecco quanto ci siamo dette:
Hai ricevuto una formazione classica, ma nel contempo ti sei imposta nel panorama cantautorale in modo valido e personale. Chi sono i musicisti che maggiormente ti hanno influenzato o che consideri dei punti di riferimento?
Il mio percorso nella musica nasce da una scuola popolare, prosegue in Conservatorio e vive di questi due percorsi paralleli da sempre. Lo studio della musica “colta” ha certamente posto le basi per una consapevolezza musicale compositiva, mentre il Conservatorio mi ha insegnato gran parte della “grammatica”. Il resto lo hanno fatto gli ascolti, l’esperienza sul campo, gli incontri, i grandi maestri. Le mie orecchie sono sempre state piuttosto onnivore: sono una grande appassionata di rock britannico, i Beatles sono probabilmente la colonna portante dei miei riferimenti musicali, così come i Pink Floyd, Bowie, i Radiohead. Sono cresciuta con il mito degli anni ‘60/70, con Woodstock, con Janis Joplin e il Club dei 27, con il blues e una grande passione per il musical. Parallelamente ho mantenuto come riferimento la nostra canzone d’autore: De André, De Gregori, Fossati, Dalla, Guccini, Jannacci, Gaber, Battiato, Graziani; tra le autrici sicuramente Carmen Consoli e Cristina Donà.
Sono innamorata delle infinite possibilità che la nostra lingua offre per raccontare e descrivere il mondo in tutte le sue sfumature ed è per questo che ho sempre ascoltato la canzone italiana, rimanendone profondamente affascinata, ed ho scelto l’italiano per la mia scrittura, nonostante i numerosi riferimenti anglofoni.

L’ironia e il sarcasmo di un brano come “Il banchetto dei potenti” sono state accostate a quelle di indiscussi maestri come Jannacci e De André, la poesia di “L’ultima lettera dell’astronauta” a Dalla e De Gregori, anche se a me personalmente l’immagine del protagonista ricorda l’uomo nello spazio di “Space Oddity” di Bowie… ti riconosci in questi parallelismi?
Sì, come dicevo tutti questi artisti fanno parte del mio bagaglio di ascolti, ascolti di una vita, ben precedenti alla Agnese cantautrice e non finalizzati a divenire modelli, ma irrimediabilmente parte di me e quindi probabilmente rintracciabili nella mia scrittura.
Alcuni brani, come “Cactus” e “Fame d’aria”, descrivono un disagio interiore e la volontà di colmarlo; altri, invece, come “La terra sbatte”, alludono a tragedie che hanno insinuato il terrore nella quotidianità di migliaia di persone. Sembrerebbe dunque che anche la società, non solo l’interiorità del singolo, abbia bisogno di “ristrutturazioni”…
Questo album è nato qualche tempo prima che la crisi pandemica rendesse evidente quanto la necessità di “ristrutturazione” non riguardasse solo il singolo, ma tutto il mondo circostante. Si parla di cortocircuiti, di assenza di memoria che non permette di procedere in avanti e produce l’inciampo in un errore reiterato; di rinascita, di pace apparente, della rivolta della natura, dell’uomo contro l’uomo. Nelle mie canzoni non parlo di me stessa, o meglio, non solo di me stessa. Credo che il cantautore debba offrire il suo sguardo, il suo punto di vista riguardo alla società, alla sua interiorità e intimità, purché ciò si possa elevare ad universale, purché chi è dall’altra parte possa riconoscersi e rintracciarvi parte del suo vissuto.
Tutto questo perché l’atto artistico non si riduca a pura autoreferenzialità.

La musica, scritta, suonata o semplicemente ascoltata, può avere una funzione “terapeutica”, riconciliando l’individuo con se stesso e con la vita. Il messaggio che tu veicoli a chi ti ascolta è, in definitiva, positivo: si va dall’”allenamento al buonumore” al percorso verso l’accettazione dell’esistente di quest’ultimo lavoro…
Sicuramente il mio approccio alla vita è fattivo.
È importante “fare”, mettersi in movimento, avere un ruolo attivo anche riguardo al proprio umore, al proprio sguardo sulle cose.
Per questo “Allenamento al buonumore”, per questo “Ristrutturazioni”, che non definirei esattamente una accettazione dell’esistente bensì una presa di coscienza: dopo anni di vita trascorsi nella propria casa, ci si ferma un attimo, si osservano le crepe, gli spazi scomodi, gli oggetti inutili e quelli da rimettere a posto, ci si affaccia alla finestra e si osserva dall’alto tutto ciò che accade fuori.
Dopo il sopralluogo, si parte con i lavori.
La tua attività come insegnante di educazione all’ascolto della musica nelle carceri (un progetto avviato nel 2014 a Rebibbia e promosso da Franco Mussida) è coerente con questa filosofia: la musica può dunque essere uno strumento conoscitivo per “ristrutturare” la propria vita…
Certamente il progetto di Co2 segue la filosofia secondo la quale la musica possa essere una cura, una riabilitazione. Le detenute avevano a disposizione una audioteca, nella quale per qualche ora a settimana potevano fuggire la loro condizione di convivenza coatta ritagliandosi dei momenti di intimità e introspezione. In quelle ore dedicate a loro stesse, attraverso l’ascolto della musica, riuscivano a riconnettersi alle loro emozioni, al loro sentire.

Sei attualmente in tour per promuovere questo ultimo album e hai recentemente iniziato l’attività di vocal coach nel programma “Amici”. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il futuro prossimo mi vedrà ancora in concerto a Roma il 18 Novembre per un bellissimo progetto corale con due colleghe cantautrici (Nathalie e Sara Romano) dal nome “La musica che gira in camper”; dal 26 al 29 Novembre sarò in Sicilia, questa volta con la mia chitarrista Annalisa Baldi, per presentare Ristrutturazioni ed è in costruzione il resto del tour che a breve prevederà anche qualche tappa al nord.
Prosegue la mia collaborazione con Amici di Maria De Filippi come vocal coach e quella di speaker radiofonica a Radio Elettrica. Insomma, nel mio futuro, così come nel mio presente, vedo tanta musica; dopo mesi di immobilità, è arrivato il momento di mettersi in moto e recuperare gli arretrati.
Auguro il meglio ad Agnese per tutte le sue attività, sperando di rivederla presto in concerto.
A questo link è possibile leggere una recensione dell’album: