Atmosfere intimiste in “Diversi anni fuori tempo massimo”, l’album di Federico Sacchetti
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Mi trovo in una stanza in penombra, semivuota. Al centro, un vecchio tavolo con un’unica sedia, rivolta verso la finestra, dalla quale entra un po’ di luce fredda, biancastra, tipica di una giornata di dicembre. Esco. La temperatura è rigida, i prati sono ghiacciati, il gelo penetra nelle ossa e lascia quasi senza fiato. Il sole che volge al tramonto colora l’orizzonte. Sento crepitare il suolo coperto di brina sotto i miei passi. Non ci sono alberi, solo cespugli nelle distese che si estendono a perdita d’occhio: il territorio mi è apparentemente familiare, ma potrei anche essere nella brughiera solitaria e spoglia, battuta dal vento, descritta da Emily Brontë in Cime Tempestose. La temperatura è pungente, ma è piacevole chiudere gli occhi, sentire il tepore, quasi impercettibile, degli ultimi raggi e lasciarsi andare a questa sensazione.
È l’inverno ormai e ognuno sta aspettando il sole, poi sarà neve
Ma certi alberi non gelano
Qui è già inverno, sai, e di inverno un suolo inerme tu vedrai
Alle nuvole uno sguardo che non scorderai
Resterai qui nel tramonto, non so parlarti di quel che io sento
Per ciò che col tempo saprò perduto nel vento

Riapro gli occhi e sono qui, a casa mia. Sto ascoltando Diversi anni fuori tempo massimo, l’album di Federico Sacchetti uscito da qualche settimana. Il clima di questi brani mi ha trasportato in un tempo e in uno spazio indefiniti, in un ambiente avvolto dalla foschia di ricordi ormai sfumati, in un’atmosfera malinconica, ma al tempo stesso avvolgente.
Come lo stesso musicista ha raccontato in una recente intervista, che potete leggere a questo link:
i brani che compongono il disco sono rimasti in un cassetto per moltissimi anni, quindi risentono delle sue influenze giovanili, e sono stati finalmente ripresi e pubblicati in tempi recenti, grazie alla collaborazione con il giovane musicista bresciano Carlo Maria Toller. Così questo lavoro rimanda, a tratti, ai primi Diaframma – nell’immaginario più che nelle sonorità – ma anche al Ruggeri degli anni Ottanta, quello di album come Tutto Scorre, Difesa francese, Enrico VIII. Il pianoforte dello stesso Sacchetti, gli archi di Daniela Savoldi e Alberto Martinelli creano tessiture musicali delicate, che accarezzano l’anima e che si insinuano negli anfratti più vulnerabili dell’interiorità dell’ascoltatore.

Ragazza in nero è pura new wave anni Ottanta e rievoca Siberia, il primo e forse più rappresentativo album dei già citati Diaframma. L’inverno è sognante, evocativa e in essai la natura si fa specchio dei sentimenti dell’io lirico. Tutte cose già sentite, con l’accompagnamento al pianoforte e alla spinetta, ricorda il migliore Ruggeri chansonnier, ma ha anche qualcosa del McCartney (nume tutelare di Sacchetti, che tra le varie esperienze annovera quella di frontman degli IPaul, band tributo all’ex Beatle) di Eleanor Rigby, For No One e English Tea. Senza respiro è ipnotica e trasporta nei recessi dell’intimità, in cui si coltiva un sentimento non corrisposto destinato a prendere forma solo nei sogni con un’intensità che toglie il fiato:
Non posso spingermi oltre il lecito, sorridi un poco, ma lo nascondi subito
Non voglio resti traccia di ciò che ti do e se non ti ho raggiunto non ti rincorrerò
Oscuri ogni altra immagine, ho un grande senso di vertigine
Ma è inutile dirtelo, non puoi sentirmi
Guardarti è stendermi senza respiro

Il sentimento che pervade diversi brani è una sorta di Sehnsucht, lo struggimento descritto dai poeti romantici, ma attenuato, come attutito dalla neve, avvolto da una coltre di foschia, avviluppato nelle ragnatele tessute dal tempo. Ma c’è anche spazio per narrare storie di personaggi dall’aura mitica, la cui parabola è ormai irrimediabilmente in discesa (Il berretto del macchinista, L’ultimo volo del Barone Rosso). Le altre tracce ribadiscono la fascinazione per la sensazione di incompiutezza (Wait, In Bilico) o per l’idea di un traguardo da raggiungere: ogni percorso conduce verso una destinazione, sia essa simbolica e irraggiungibile (Alla fine del mare) o legata alla consapevolezza della propria irresolutezza (Fine secolo):
… ogni volta che cado, respiro, per capire che tutto ricomincia nel finire (In bilico).

Questo il racconto dello stesso Sacchetti rispetto alle fonti di ispirazione del disco:
Da ragazzo non ero incline alla spensieratezza, ma anzi, pessimismo e un senso di impotenza per le ingiustizie che vedevo mi accompagnavano quotidianamente. Ero e sono convinto che la canzone debba dare un messaggio, aprire gli occhi sul mondo, ma non ho mai voluto scrivere canzoni “politiche” in senso esplicito, perché un brano deve essere evocativo, universale, con più piani di lettura. Lo scorrere del tempo è senz’altro il filo conduttore del lavoro, insieme alle riflessioni sulle responsabilità delle scelte di ognuno di noi, che spero arrivino all’ascoltatore.
L’artwork dell’album è un perfetto contenitore per i dieci brani e si basa su una serie di suggestioni riferite alle tappe della vita dello stesso musicista. I giochi dell’infanzia, le letture dell’adolescenza (Cime Tempestose), la musica preferita (i Beatles) e gli oggetti simbolici dei legami affettivi trovano posto nelle immagini del booklet interno. Le foto ed il progetto grafico sono di Roberto Morelli, regista del videoclip di Senza Respiro e titolare dello studio ArteImmagine di Fidenza. La location per ambientare il photoset è stata una cascina abbandonata nelle campagne emiliane: una sorta di “Casa dalle finestre che ridono”, ricordando il film di Pupi Avati, una delle cui stanze è quella rappresentata nell’immagine di copertina.

Diversi anni fuori tempo massimo è un disco da ascoltare sdraiati, al buio, con gli occhi chiusi, assaporandone le melodie suadenti e pervase da senso di attesa. Il valido lavoro del musicista bresciano non giunge “fuori tempo”, anzi, si propone come autentica espressione di un momento incerto come quello attuale.