Nel suo ultimo album il cantautore “rispolvera” le canzoni che 45 anni fa aveva proposto al grande produttore Colombini

https://www.facebook.com/paolo.farina.musita

Lasciare dei brani nel cassetto per quasi cinquant’anni per poi farli emergere a nuova vita: non si tratta di una “operazione nostalgia”, ma di un’urgenza espressiva che, per quanto inconsueta possa sembrare dopo tanto tempo, riesce a dirci qualcosa anche sull’attualità, su noi stessi e sul “bisogno di rivoluzione” che resta costante nei nostri animi, oltre che, naturalmente, sul suo autore. Stiamo parlando di “Provini per Colombini”, l’ultimo album firmato da Paolo Farina.

La genesi di questo disco, uscito lo scorso 30 settembre e pubblicato in vinile dall’etichetta RadiciMusic Records di Aldo Coppola Neri, oltre che sulle piattaforme digitali, è piuttosto insolita. Come lo stesso cantautore ha raccontato, quarantacinque anni fa egli aveva registrato dei provini di canzoni da proporre al grande produttore Alessandro Colombini. Quest’ultimo, pur apprezzandole, non offrì a Farina la possibilità di inciderle, a causa del suo marcato accento pugliese. “Ma ricordiamo che Colombini ‘bocciò’ anche la voce di Lucio Battisti, che lui riteneva inadeguata!” è l’ironico commento del songwriter al riguardo. I pezzi, originariamente registrati su un’audiocassetta, sono stati “rispolverati” nel 2020, durante la pandemia, e sono stati successivamente realizzati tra Milano e la Puglia.

Originario di Castellana Grotte in provincia di Bari, il cantautore scoprì la propria vocazione di musicista dopo aver ascoltato, a 14 anni, un pezzo di Bob Dylan alla radio. Dopo aver lasciato la sua città e aver girato l’Europa trascorrendo qualche anno “on the road”, Farina ha alternato l’attività artistica a diverse occupazioni, tra le quali quella di insegnante, per poi dare vita ad una significativa produzione musicale negli ultimi vent’anni. La sua carriera si può dunque dividere in tre parti: gli anni Settanta, durante i quali egli fu autore di brani come Al mancato compleanno di una farfalla dei Maxophone, un gruppo prog molto quotato all’epoca (siamo nel 1975-76), prodotto dallo stesso Colombini; un successivo periodo, in cui lavorò sostanzialmente in autonomia con un registratore a quattro tracce e infine gli anni Duemila, il momento più prolifico, in cui ha realizzato 8 dischi di generi diversi (etnico, prog, blues, jazz,  cantautorato) e numerosi singoli.

I due dischi in dialetto pugliese con il progetto Etnoritmo hanno contribuito a dare al cantautore una certa identità e credibilità; merita, poi, una segnalazione un lavoro del 2014, “Humana Prog – Fiori Frutti Farfalle”, distribuito a livello internazionale dalla BTF e recentemente ristampato in vinile, con la straordinaria copertina di Matteo Guarnaccia. Il penultimo album “Canzoni in blues – vol. 2” è invece un full-length dal sound eterogeneo, che va dal blues acustico a quello elettrico e dal funk fino al jazz, con qualche incursione nel rock-blues sperimentale anni ’70 e nell’honky-tonk anni ’30, e vede in due brani la partecipazione di Mark Baldwin Harris.

Farina ha scelto di realizzare, anche per “Provini per Colombini”, un vinile perché ritiene che questo supporto – anche se il CD garantisce una qualità audio migliore – sia ricco di fascino e consenta di veicolare un messaggio artistico completo, grazie alla possibilità che offre di inserire testi e immagini in un booklet di grandi dimensioni. In questo caso, il packaging è essenziale, ma curato, con foto d’epoca, un contributo dello scrittore Giordano Casiraghi, le liriche dei brani e le riproduzioni di alcuni volantini di “Re Nudo”. Farina partecipò infatti come spettatore ai tre festival pop organizzati dalla rivista underground a Milano, al Parco Lambro, nel 1974, 1975 e 1976, e fu uno dei protagonisti di un analogo evento che si tenne in terra apulica nel settembre 1973, a San Paolo, frazione di Martina Franca (TA). Insieme al produttore artistico Lele Battista, Farina ha scelto di mantenere nell’album “Provini per Colombini” il “sapore” degli arrangiamenti originali, prevalentemente acustici. Le canzoni, al momento della loro composizione, vennero suonate insieme all’amico chitarrista milanese Stefano Danesi, uno dei fondatori dell’emittente Radio Popolare.

La title track, che dura poco più di un minuto, è una sorta di “elenco di istruzioni” che lo stesso Colombini diede, all’epoca, al giovane musicista per potersi “attrezzare” per la propria attività professionale. Brano emblematico è poi Sai che cos’è, una sorta di dichiarazione di intenti in cui il cantautore prende in considerazione diversi elementi significativi (la donna, la bandiera, “un po’ di erba”) e i punti di vista hip e square al riguardo, un po’ alla maniera del Bennato di quegli anni quando quest’ultimo, in modo molto più caustico e irriverente, divideva il mondo in “buoni” e “cattivi” (La bandiera era stata stigmatizzata, in quanto foriera di conflitti, anche dal songwriter napoletano). Altrettanto significativa è Avevo 18 anni, che racconta le frustrazioni di un giovane che si confronta con il mondo dei “grandi” e comprende che “la (mia) felicità era la libertà”. Qui il treno diviene sinonimo di fuga, di emancipazione e realizzazione delle proprie aspirazioni, come in un altro brano d’annata di Edoardo Bennato, Ma quando arrivi treno. Al tempo stesso, però, l’io lirico avverte un forte bisogno di ricongiungersi alle proprie radici, al paese natale, ai volti familiari e alle sonorità dialettali, pertanto il convoglio, come per molti emigrati, rappresenta un “ritorno alle origini” (Fa’ presto, treno). Altri brani (Dimmi che farai, Dove sei, Qualcosa da capire) narrano di storie d’amore irrisolte, in cui il protagonista è sostanzialmente Un uomo mancato, che deve fare i conti con il fatto di non sentirsi pronto ad assumersi responsabilità “adulte”.

Gli episodi migliori del disco, però, sono quelli in cui la fantasia è libera di spaziare, come Questa lunga strada, che evoca le lontane terre orientali, i viaggi reali ed immaginari alla ricerca di sé stessi, la realizzazione dei sogni e delle utopie: “Con il sacco sulla spalle/qualche sogno nella mente/pochi soldi nelle tasche/mi sono messo in viaggio/Son partito ieri sera/per scacciare la paura/di un qualcosa che mi opprime/e non so cos’è”. Nello spazio di un incontro esprime poi la ricerca di una realtà “altra,” lontana dalla banale e ordinaria routine quotidiana:

Sulle pareti bianche della mia mente stanca

Ancora i miei pensieri disegneranno ombre.

Ti troverò nel fiore che coglierò nel vento…

Riflessioni sul “bisogno di rivoluzione”, della necessità di un cambiamento, caratterizzano invece Il giorno dopo del gran giorno, in cui si punta il dito contro chi vuole difendere l’ordine costituito o, al contrario, pecca di dogmatismo. La natura, infine, può offrire consolazione e rappresenta, nel suo splendore, l’uguaglianza e l’equità (Arriva primavera).

I dodici brani, nel loro susseguirsi, tratteggiano scenari, situazioni, emozioni che, se in parte riflettono il periodo in cui sono stati scritti e quindi possono apparire a tratti ingenui o datati, d’altro canto fotografano in modo semplice e diretto le inquietudini, gli aneliti, i desideri di un giovane individuo che, come gli adolescenti di ogni epoca, si confronta con la famiglia, con la società, con l’altro sesso, cercando di definire la propria identità, di trovare uno spazio, una dimensione. Dal punto di vista musicale, chitarre, tastiere, flauto e cori creano un tessuto sonoro suggestivo, a tratti sognante, che riveste efficacemente e piacevolmente i testi.

I “provini” di Farina si configurano, così, come una sorta di “ponte” non solo tra quello che l’artista era negli anni Settanta ed è oggi, ma anche tra la condizione giovanile di allora e la situazione attuale, con gli inevitabili interrogativi che ne emergono. I sogni degli adolescenti di oggi sono gli stessi di quelli di 40-50 anni fa ? E i giovani di un tempo, ora cresciuti, hanno perso le proprie illusioni o le hanno custodite? Lasciamo che sia lo stesso songwriter a rispondere:

Perché la splendida occasione della Rivoluzione

Ci si presenta ogni giorno fuori e dentro di noi

Nella battaglia quotidiana per la riappropriazione

Per liberarci e continuare in una nuova direzione.

Compagni d’avventura per questo progetto discografico sono Lele Battista che, oltre che come produttore, ha contribuito con tastiere, pianoforte e organo Hammond a creare un tappeto sonoro di grande intensità ed intimità, il chitarrista Andrea Manghisi e il percussionista Sandro Esposito. Da segnalare, poi, la presenza del sitar suonato dal maestro Ashanka Sen nel brano Questa lunga strada, strumento principe della musica indiana che ci trasporta, con l’assolo finale, verso i lidi dell’immaginazione e della fantasia. Nel disco hanno inoltre suonato Mario Conte (flauto traverso nel brano Sai che cos’è), Francesco Cardillo (chitarra acustica in Arriva primavera) e Giuseppe  Fiori (basso acustico in Nello spazio di un incontro). Molto importante, inoltre l’apporto dell’ingegnere del suono Paolo Iafelice (missaggi e mastering) e di Alessandro Palmigiani, che si è occupato della realizzazione dell’artwork. Segnaliamo, infine, che al disco è allegato un codice con il quale si possono scaricare i 12 brani  nel formato digitale preferito.

Track List

01. Provini per Colombini

02. Nello spazio di un incontro

03. Sai che cos’è

04. Dimmi che farai

05. Avevo 18 anni

06. Il giorno dopo del gran giorno

07. Dove sei

08. Fa’ presto, treno

09. Qualcosa da capire

10. Arriva primavera

11. Uomo mancato

12. Questa lunga strada

Back in time: la “Festa della Vita” di Martina Franca (TA) – 1973

Il Festival Pop “Festa della Vita” (28,29, 30 settembre 1973) fu organizzato dal gruppo controculturale “Il Buco” di Putignano (BA), gemellato con Stampa Alternativa e attivo in campo editoriale con l’omonima rivista. L’evento, dunque, si svolse tre mesi dopo e ad oltre mille chilometri da un altro festival pop, quello organizzato da Re Nudo all’Alpe del Vicerè, in provincia di Como. Tremila giovani si radunarono nelle campagne di San Paolo, una frazione di Martina Franca (TA). La manifestazione fu all’insegna di slogan contro l’omologazione artistica e culturale, in particolare contro la cosiddetta “musica di plastica”, l’ingresso era libero e cibi e bevande erano venduti a prezzo “politico”. Le performances musicali erano libere ed improvvisate, con lunghe jam session durante il giorno nei prati e concerti serali sul palco. Da segnalare l’esibizione del pianista jazz Giorgio Gaslini, inventore della “musica totale” e di alcuni artisti “locali”, tra i quali Tonino Zurlo, Canio Lo Guercio, Vittorino Curci, lo stesso Paolo Farina ed alcune rock band dei dintorni.

Canio Lo Guercio e Paolo Farina al festival del ’73 – Marsha Hunt

Una curiosità ed un mistero: al festival dovevano partecipare anche Marsha Hunt, star del musical “Hair” e musa di Mick Jagger, e la sua band, i White Trash, con cui ella suonò anche alla seconda edizione del Festival dell’Isola di Wight. Si racconta che il gruppo partì da Londra con un pullmino Volkswagen due giorni prima dell’inizio del festival, ma non arrivò mai a San Paolo.

Articolo correlato

WOODSTOCK IN BRIANZA