La regina dei fiori e i suoi molteplici significati nell’immaginario collettivo, tra letteratura, cultura e storia
Gather ye rose-buds while ye may,
Old Time is still a-flying;
And this same flower that smiles today
Tomorrow will be dying.
Questi versi del “Cavalier poet” britannico Robert Herrick, tratti dalla poesia To The Virgins: To Make Much of Time (1648), invitano le fanciulle a vincere la propria ritrosia e a decidersi a prendere marito, per godere appieno dei piaceri che la giovinezza può offrire loro. E i boccioli di rosa che l’io lirico suggerisce di cogliere sono il simbolo dell’“età fiorita” che va vissuta intensamente, all’insegna dei motivi del memento mori e del carpe diem tipici dell’età barocca. La rosa, dunque, in questo contesto è l’emblema della gioventù e dell’amore.

Gather Ye Rosebuds While Ye May, dipinto ispirato ai versi di Herrick, ad opera di John William Waterhouse (1909)
La quartina, celebre per essere stata citata nel film “L’attimo fuggente”, è parte di una delle innumerevoli composizioni poetiche dedicate alla regina dei fiori. Ma la rosa, nei secoli, è sicuramente uno dei simboli più ricorrenti e suggestivi, dai molteplici significati, in moltissimi ambiti, dalla letteratura alla religione, dall’arte alla politica. Passando, naturalmente, dalla musica. Questo excursus, che non ha alcuna pretesa di esaustività visti i numerosi studi dedicati alla presenza di questo fiore nell’immaginario collettivo, partirà dal mondo antico per arrivare al rock e alla canzone d’autore, dove la rosa ricorre spesso nei testi ma anche, occasionalmente, negli artwork degli album.

La rosa è un simbolo estremamente complesso, poiché racchiude in sé significati fortemente contrastanti. Essa, infatti, può contemporaneamente esprimere perfezione celeste e vita terrena, tempo ed eternità, fecondità e verginità, ma anche, con le sue spine, l’insidia che si nasconde dietro la bellezza. La sua forma circolare è simbolo di completezza, di ciclicità, del perpetuarsi della vita nell’aldilà, ma la facilità con cui appassisce è sinonimo di caducità e di morte. La sua forma complessa e stratificata evoca la profondità del mistero dell’esistenza; la sua armonia è sinonimo di grazia e di felicità, mentre il suo intenso profumo è associato alla voluttà e alla seduzione. Nel linguaggio dei fiori, i diversi colori che essa può assumere manifestano diversi significati: purezza, gelosia, passione.

Natura morta con un teschio, un libro e rose (Vanitas) di Jan Davidsz de Heem (1630)
Nel mondo greco e romano le rose erano parte del culto di Adone, Afrodite e Dioniso. I Romani, inoltre, celebravano i Rosalia, festività legate al culto dei morti, tra maggio e luglio, periodo in cui questi fiori raggiungevano il massimo dello splendore. Nell’iconografia cristiana la rosa può indicare la coppa che raccolse il sangue di Cristo (e quindi si lega al Sacro Graal) ma compare anche nelle litanie della Madonna, in cui quest’ultima è chiamata “Rosa mistica”. I cosiddetti “rosoni” nelle chiese romaniche e gotiche vanno invece messi in relazione con la simbologia astrale del cerchio e con l’armonia platonica delle sfere. La “Candida rosa” compare poi nel “Paradiso” dantesco: essa è il luogo dove risiedono i beati, una sorta di anfiteatro dotato di sedili a forma di rosa, dove siedono le candide anime, fatte di pura luce. Il fiore, inoltre, è attributo di numerosi santi: a Santa Elisabetta d’Ungheria, ad esempio, è legato il miracolo della trasformazione del pane in rose.
Ambrogio Lorenzetti, Piccola Maestà, circa 1340: sulla sinistra è visibile S. Elisabetta che reca delle rose
Nel Medioevo Papa Adriano VI, che sedette nella cattedra di San Pietro tra la fine del V secolo e l’inizio del VI, fece scolpire sui confessionali una rosa a cinque petali, simbolo del sacro vincolo della segretezza che ogni sacerdote deve mantenere nei riguardi dei penitenti che si rivolgono a lui nella confessione. La locuzione latina “sub rosa” assume dunque il significato di una rivelazione effettuata in assoluta segretezza e confidenza. Il fiore è poi un emblema esoterico per l’ordine mistico-cabalistico dei Rosacroce: una rosa rossa a cinque petali si trova all’incrocio dei due bracci della croce di Cristo (le gocce di sangue che sgorgano dal costato di Gesù si dispongono a forma di fiore) e il complesso significato alluderebbe all’evoluzione spirituale dell’uomo. La cosiddetta Rosa dei Venti è invece raffigurata sotto forma di un cerchio che racchiude una croce doppia, indicante le quattro direzioni cardinali e quelle intermedie; in essa sono quindi presenti contemporaneamente i simboli del cerchio, del centro, della croce e dei raggi della ruota solare. Nell’alchimia, la rosa bianca indica la pietra filosofale non ancora perfetta, cioè il risultato della fase intermedia, raggiungibile dopo la lavorazione e purificazione degli elementi terra e acqua tramite l’interazione dei due opposti aria e fuoco; quella rossa, invece, come spiega Elémire Zolla nel volume Archetipi (1988) “indica la pietra filosofale perfetta, con tutti i suoi poteri, cioè lo sbocco finale della Grande Opera, il risultato della fase denominata ‘opera al rosso’ ” mentre la rosa nera è “la Madre Cosmica, la Matrice Nera, la Prima Materia”. Rosa Alchemica è poi un racconto di W. B. Yeats (1897; titolo originale: The Secret Rose); ricordiamo che il poeta irlandese scrisse nel 1893 un’intera raccolta poetica intitolata The Rose.


Immagine tratta dall’incisione del Summum Bonum di Robert Fludd (1629), che riporta la scritta Dat Rosa Mel Apibus, uno dei motti ermetici dei Rosacroce
Dalle origini della letteratura fino ai giorni nostri, la regina dei fiori è protagonista, come elemento botanico o appellativo metaforico, in innumerevoli opere, da Rosa fresca aulentissima di Cielo D’Alcamo al Roman de la Rose, in Shakespeare (i riferimenti più celebri si trovano nel monologo dell’Atto II, scena II di Romeo e Giulietta e nel sonetto 54) fino ad arrivare, nel Novecento, al Ciclo della rosa di D’Annunzio e al Nome della rosa di Umberto Eco. Quest’ultimo romanzo è stato fonte di ispirazione per Gary Hughes, frontman della band britannica Ten: il musicista ha composto The Name Of The Rose, title track di un album del 1996, partendo dal best-seller per poi descrivere l’incessante ricerca del senso della vita e dei desideri più preziosi. E importanti riflessioni su ciò che dà valore all’esistenza sono contenute anche nel celeberrimo Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, in cui il protagonista intreccia con una rosa un rapporto privilegiato.

Altre due liriche memorabili dedicate alla regina dei fiori sono The Sick Rose di William Blake, da Songs Of Innocence and Songs Of Experience (1794), in cui la corolla profanata dal verme potrebbe simboleggiare la perdita della verginità femminile o la corruzione prodotta sull’uomo dalla società, e la coeva My Love Is A Red, Red Rose, poesia (e canzone) firmata dallo scozzese Robert Burns.Ma in ambito letterario il numero di opere in cui il fiore compare è davvero grandissimo. Scelgo, pertanto, di citare solo un ulteriore autore tra coloro che hanno cantato la bellezza di questa pianta. Si tratta dell’Elogio della rosa di Giambattista Marino, contenuto nel poema mitologico Adone (1623). Nelle sue ottave il poeta barocco tesse le lodi del fiore, che provoca l’innamoramento di Venere per il bellissimo giovane, con un linguaggio lussureggiante; tra i florilegi retorici, spiccano i versi in cui la rosa, per la sua bellezza che la rende unica, è paragonata al sole:
Tu sei con tue bellezze uniche e sole
splendor di queste piagge, egli di quelle.
Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo,
tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo.

Plucking the Red and White Roses in the Old Temple Gardens, dipinto di Henry Arthur Payne (1908) ispirato alla Guerra della Due Rose
In ambito storico, ricordiamo la serie di guerre dinastiche che insanguinarono l’Inghilterra tra il 1455 e il 1485 (Wars of the Roses) tra le famiglie aristocratiche dei Lancaster e degli York che avevano nei loro stemmi, rispettivamente, la rosa rossa e la rosa bianca. Il conflitto ha dato il titolo anche ad un album della band norvegese Ulver, di stampo dark ambient, pubblicato nel 2011.
Saltando al Novecento, “Il pane e le rose” è un famoso slogan tratto da una poesia di James Oppenheim, adottato dal movimento operaio e da quello per l’emancipazione femminile a partire dal 1911-12, a voler significare il bisogno di bellezza che caratterizza ogni essere umano, al di là del soddisfacimento dei bisogni primari. La frase riporta un pensiero di Karl Marx: “pane e rose, il necessario e il superfluo, una società dove si mangia meglio e di più (non solo pane), dove si lavora meglio e di meno, ma anche una società dove si è più felici, realizzati, liberi” – ed è tradizionalmente associata, oltre che alla figura dell’attivista per il voto alle donne Rose Schneiderman, allo sciopero delle lavoratrici tessili delle fabbriche di Lawrence, Massachusetts, che ebbe luogo il 12 gennaio 1912. Su uno degli striscioni campeggiava l’asserzione poi passata alla storia: “We want bread and roses too” (“Vogliamo il pane ma anche le rose”). Il regista Ken Loach l’ha poi ripresa nel titolo del suo film “Bread and Roses” (2000), dedicato alle lotte dei lavoratori immigrati del settore delle pulizie per ottenere tutela sindacale e condizioni più eque.





In ambito politico, una rosa rossa tenuta in un pugno è uno dei simboli del socialismo e della socialdemocrazia: ideata dal francese Didier Motchane (1931-2017), essa è comparsa su diverse bandiere di partito (PSOE in Spagna, PSF in Francia, Partito Radicale e “Rosa nel Pugno” in Italia). Nella Germania nazista, fu chiamato Rosa Bianca uno dei maggiori movimenti di opposizione al regime hitleriano. Ma sul versante opposto, ricordiamo che l’emblema della X Flottiglia MAS, unità combattente della Repubblica Sociale Italiana, era un teschio con una rosa rossa in bocca. Nel mondo massonico, infine, la rosa riveste un’importanza fondamentale; durante il funerale di un “fratello” è, infatti, costume gettare nella tomba tre rose di colore diverso, dette Rose di San Giovanni, che significano amore, luce e vita. Pertanto il 24 giugno, giorno della festività di San Giovanni, è consuetudine decorare gli interni di ogni loggia massonica con tre rose di diverso colore.

Vorrei concludere questo excursus con un’altra lirica, una tra le innumerevoli che potrebbero essere riportate su questo argomento: In un momento di Dino Campana (1917). In essa l’autore racconta il suo amore per la scrittrice Sibilla Aleramo e la fine del loro tormentato rapporto:
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose

Le rose simboleggiano la bellezza del sentimento condiviso dai due, non esente dalla sofferenza, tanto che, metaforicamente, i fiori che nascono vengono “innaffiati” dalle lacrime e si fanno più rossi con il sangue; alla fugacità della relazione allude il loro brillare solo “un momento al sole del mattino”; i rovi, poi, rappresentano le pene che si accompagnano al legame, mentre un sole impietoso, come l’inevitabile volgere degli eventi, lo fa sfiorire. Amore, passione, splendore, incanto, ma anche caducità e patimento, che sono contrastanti aspetti della vita, vengono – ancora una volta – espressi tramite l’immagine affascinante e struggente della rosa.
Come i poeti, anche musicisti e cantautori si sono lasciati ispirare da essa per le loro composizioni, e occasionalmente ne hanno apposto l’immagine sulle copertine dei loro dischi. Ma questo è un altro vastissimo capitolo che merita una trattazione a parte, nella seconda puntata di questo viaggio tra petali, profumi e spine.
fantastico lavoro. complimenti, è raro vederne di così dettagljati
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