Una passeggiata nel roseto del rock, dai Guns’N’Roses a Paul McCartney

La rosa con tutti i suoi significati simbolici, che sono stati già trattati nelle due parti precedenti di questo excursus sulla regina dei fiori e sulla sua presenza nella letteratura, nella cultura e nella musica, non ha mancato di ispirare cantautori e band internazionali attraverso i decenni e spaziando tra i generi, dal folk all’heavy metal. Anche i rockers più “ruvidi” si sono lasciati affascinare dal fiore dai mille petali, emblema di passione ma anche di purezza, di caducità e di eternità.

Vorrei partire, quindi, esplorando un territorio musicale nel quale mi avventuro di rado, vale a dire proprio quello dell’hard rock e del metal. Troviamo le rose e molte delle connotazioni ad esse associate in numerosi brani: New Rose dei Guns ‘N’ Roses, Every Rose Has Its Thorn dei Poison, Roses On White Lace di Alice Cooper, Under The Rose dei Kiss, English Rose dei Motörhead, Last Rose Of Summer dei Judas Priest, per citare solo i nomi più noti. Ma l’elenco potrebbe continuare, sempre in ordine sparso, con Mystery Of A Blood Red Rose degli Avantasia, Black Rose della “regina del metal” tedesca Doro, Black Roses For The Wicked One degli Elvenking… senz’altro, poi, addentrandosi sempre più nei meandri dei diversi sottogeneri, potrebbero emergere numerosi altri esempi. Le tematiche trattate tramite il simbolo della rosa sono varie: l’entusiasmo per un nuovo amore, la fine di una relazione, la consapevolezza di quanto la vita sia effimera. Ma ci sono anche scene horror in cui gocce di sangue sono simili a rose sul merletto bianco dell’abito da sposa di una ragazza morta, omaggi floreali color dell’inchiostro per una donna malvagia … e il sorprendente racconto della Guerra delle Due Rose, con dovizia di particolari e con un’esplicita presa di posizione a favore di Riccardo III York, nei versi di Bloody Red Rose dei Running Wild (1991):The poisoned thorns of the bloody red rose/Red venom of deepest dye/Henry the traitor, the victor by sin/Soiled Richard’s blood with a grin”.

Senz’altro le liriche del brano dei Judas Priest, tratto dal loro terzo album Sin After Sin (1977), sono tra le più ricche di fascino: qui il fiore è sinonimo di un amore eterno che sopravvive al volgere delle stagioni e allo scorrere del tempo. Con il dono dell’ultima rosa dell’estate, il protagonista promette di ritornare a primavera, quando i boccioli fioriranno e rinnoveranno le promesse degli amanti:

A token of my unyielding love

So when the winter’s mantle stills the earth

And all around the scene is dead and cold

This rose reminds you of a time

When all was warm and living

L’espressione anglosassone “bed of roses”sta ad indicare qualcosa di non facile ed è spesso utilizzata, in una frase di forma negativa, per indicare una situazione più difficoltosa del previsto. Jon Bon Jovi, nell’omonimo brano dell’album Keep The Faith (1992), descrive la complessa gestione della propria esistenza di rockstar e le ripercussioni sul suo rapporto con la moglie Dorothea Hurley. La canzone venne scritta, come lui stesso ha ammesso, in hotel durante una tournée, mentre era completamente ubriaco, e rappresenta un modo per chiedere perdono per gli eccessi, i tradimenti e le bugie. Il “letto di rose” è, in realtà, il luogo dove adagiare la consorte circondandola di tenerezza, mentre per sé il protagonista immagina un giaciglio di chiodi per espiare le proprie colpe; non manca un riferimento alla religione cattolica, fede nella quale il musicista si riconosce (forse anche per le sue lontane origini italiane):

I want to lay you on a bed of roses

For tonight I’ll sleep on a bed of nails

I want to be just as close

As the Holy Ghost is

And lay you down on a bed of roses

Lasciando le impervie lande dell’hard rock e del metal e raggiungendo le più rassicuranti pianure del folk e del pop, non mancano i giardini in cui fioriscono le rose, spesso coltivati da affascinanti cantautrici e interpreti. Solo qualche titolo: For the Roses, album 1972 di Joni Mitchell (l’espressione in realtà si riferisce all’abitudine di mettere una corona di fiori attorno al collo di un cavallo vincente); Love is a Rose, scritta da Neil Young e inizialmente portata al successo da Linda Ronstadt nel 1975; The Rose di Bette Midler (1979), colonna sonora del film omonimo diretto da Mark Rydell, interpretato dalla stessa Midler e liberamente ispirato alla figura di Janis Joplin.

Nel 1995, Nick Cave pubblicò uno dei suoi album di maggior successo, Murder Ballads, all’interno del quale spicca Where The Wild Roses Grow, cantata in coppia con Kylie Minogue. Il testo parla di un femminicidio, ed è un dialogo tra la vittima, una fanciulla di nome Elisa Day ma soprannominata “The Wild Rose”, e il suo assassino. Le rose scandiscono i loro incontri, avvenuti nel giro di soli tre giorni, finché l’uomo non uccide la ragazza, la più bella che lui abbia mai visto (“She was more beautiful than any woman I’d seen”): commettendo il delitto, il carnefice sembra voler distruggere tutta la bellezza del mondo, che Elisa incarna (“All beauty must die”).

Un brano relativamente recente di Blondie (2013), A Rose By Any Name dall’album Ghosts Of Download, cita invece un verso del monologo di Giulietta da Romeo and Juliet (1593), atto II, scena II, dalla celeberrima “balcony scene” in cui la protagonista dichiara che il suo amore per Romeo è più forte della rivalità tra le loro due famiglie:

What’s in a name? That which we call a rose

By any other name would smell as sweet;

So Romeo would, were he not Romeo call’d,

Retain that dear perfection which he owes

Without that title. Romeo, doff thy name,

And for that name which is no part of thee

Take all myself.

Debbie Harry, molto semplicemente, ammette che l’oggetto del suo desiderio potrebbe essere un uomo o una donna, e ciò non fa differenza:

If you’re a boy or if you’re a girl

I love you just the same

Wherever you go, all over the world

A rose by any name

Desert Rose di Sting (1999) è invece incentrata sulla tematica del miraggio e del ricordo di un amore, con l’allusione alla formazione minerale comune nei paesi desertici che ricorda nella forma un fiore dai molti petali. L’immagine di una rosa di pietra, che nasce in condizioni ambientali totalmente ostili, ci riporta alla forza travolgente della vita, che riesce a disegnare forme di pura armonia e bellezza anche nei contesti meno favorevoli; al tempo stesso, una grande sensualità pervade tutto il brano:

Sweet desert rose

This memory of hidden hearts and souls

This desert flower

This rare perfume is the sweet intoxication of love

Se l’ideale, per quanto esile, filo conduttore tra questo brano e il successivo può essere l’idea del “profumo”, con un volo pindarico approdiamo a Smell the Roses di Roger Waters, singolo estratto dal recente album Is This The Life We Really Want? (2017) include anche una citazione da Light My Fire dei Doors:

Wake up and smell the roses

Throw a photo on the funeral pyre

Yeah, now we can forget the threat she poses

Girl you know you couldn’t get much higher

Il brano contiene numerose allusioni alle guerre che infiammano il pianeta, pertanto l’invito a “svegliarsi ad annusare le rose” è un ironico monito che mette in guardia l’ascoltatore dai numerosi pericoli che si profilano all’orizzonte, in un mondo sempre più dominato dalla logica del profitto. Ma l’espressione “stop and smell the roses” è in realtà un adagio che suggerisce di apprezzare gli aspetti positivi della vita, ed era stato prescelto da Ringo Starr come titolo del suo nono album, pubblicato nel 1981, un lavoro non eccelso, impreziosito però dalla presenza di illustri ospiti come Paul McCartney, George Harrison, Harry Nilsson e Stephen Stills. Oltre che nella title track, il riferimento al fiore è presente su entrambi i lati della copertina: sul fronte il musicista, con aria sorniona, porge un mazzo di rose rosse, mentre sul retro ne tiene tre in mano, coprendosi il volto. Un’analisi dettagliata dell’artwork è disponibile qui:

Le rose compaiono anche in un precedente album dell’ex Beatle, Ringo the 4th del 1977, nelle cui immagini di copertina il batterista regge sulle spalle la modella Rita Wolf, fotografata da un’ex fidanzata di lui stesso, Nancy Lee Andrews.

Da Ringo a Paul il passo è breve: nel 1973, “Macca” pubblicò Red Rose Speedway, quarto album da solista e secondo con gli Wings. La foto di copertina, scattata dalla moglie Linda, lo raffigura con una rosa in bocca, davanti al motore di una motocicletta. Riguardo al titolo del disco, Paul spiegò che la rosa rossa è il simbolo del Lancashire, la contea dove è situata Liverpool. La scelta dell’immagine di copertina venne invece motivata come un volersi ironicamente “tappare la bocca”, mentre la luce rossastra che pervade lo scatto allude a un semaforo (in linea con il riferimento “stradale”). Ma il motivo della rosa in bocca ha un precedente in un photoset realizzato con la band in Marocco qualche mese prima, in cui Paul indossa una tradizionale camicia azzurra.

Naturalmente i fautori di alcune “teorie del complotto”, tra le quali si annovera il PID (Paul Is Dead), non si sono accontentati delle spiegazioni ufficiali e da più parti l’immagine è stata letta come riferimento ad una probabile affiliazione dell’ex Beatle alla Massoneria. Un’altra curiosità è rappresentata dalla somiglianza del titolo dell’album con un brano dei Klatuu, Sub Rosa Subway, uscito qualche mese prima del full-length degli Wings: il gruppo canadese ottenne all’epoca una certa notorietà fingendo che il proprio lavoro fosse stato, in realtà, realizzato dai Beatles stessi sotto mentite spoglie.

Altri celebri artwork a tema sono Skull And Roses dei Grateful Dead (1971), Black Rose dei Thin Lizzy del 1979, Live ?!*@ Like a Suicide, EP d’esordio dei Guns ‘N’ Roses (1986), Blood Sugar Sex Magic dei Red Hot Chili Peppers (1991) e Deftones, disco eponimo della band nu metal di Sacramento che riprende l’accoppiata teschio-rosa (2003).

Se siete riusciti ad arrivare alla fine di questo lunga “passeggiata” nel roseto del rock, potete ora apprezzare la bellezza della McCartney Rose, creata dall’ibridatore Meilland, molto profumata e dal fogliame verde medio, il cui colore è definito dall’omonimo catalogo “color rosa indiano scuro sul rovescio e rosso amaranto chiaro sul dritto”. La sua fioritura è continua, dalla primavera fino all’arrivo dell’inverno.  La “McCartney Rose” è la varietà più premiata nella storia dell’azienda ed un suo esemplare è stato donato, nel 2014, all’Orto Botanico di Brera da Stella, secondogenita di Paul. Si chiude così, con questo connubio tra petali e musica, in una perfetta chiusura circolare come la sua corolla, il mio viaggio nell’immaginario legato alla regina dei fiori.

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