Esce oggi “Come pietre”, il singolo che anticipa “Nel Vuoto”, sedicesimo album del cantautore
Che cosa è il vuoto? Questo termine evoca molteplici significati. Vuoto è ciò che è privo di contenuto, che non ha nulla al proprio interno; il vuoto poi, contrapposto al pieno, rimanda all’idea di mancanza, di incompiutezza, ma contiene anche un’idea di libertà, di uno spazio da poter occupare. Un salto “nel vuoto” richiede coraggio, perché rappresenta un tuffo nell’ignoto e nell’inconoscibile. Eppure la fisica ha dimostrato che anche l’immensità degli spazi interstellari non è vuota. Il vuoto, dunque, non esiste, è soltanto un concetto teorico? Il nuovo album di Garbo, il suo sedicesimo in studio, si intitola proprio “Nel Vuoto” e contiene importanti riflessioni sullo spazio e sul tempo. Il disco uscirà il 21 aprile 2023 per l’etichetta Incipit Records (distribuzione Egea Music), mentre oggi, 24 marzo, esce il primo singolo “Come pietre”. Ho avuto il privilegio di poter intervistare il cantautore, personaggio che seguo da sempre, fin dai suoi esordi, e di ripercorrere insieme a lui gli intenti del suo nuovo lavoro e le tematiche che lo caratterizzano.

Ciao Renato, benvenuto nel mio blog. Vorrei partire dal titolo dell’album: come accennavo nell’introduzione, l’idea di “vuoto” può avere un’accezione negativa, nel senso di “mancanza”, o può essere simbolo di spazio disponibile, di opportunità. Che tipo di significato attribuisci a questo concetto?
Il mio primo obiettivo, con questo disco, in una “sintesi” di 36 minuti, che equivale alla sua durata, è quello di descrivere la mia idea di “vuoto” come personale sensazione di solitudine intellettuale, di desertificazione culturale, di appiattimento e di omologazione presente nella società che ci circonda. Ma il vuoto può essere anche interiore, quello dell’inconscio, che suscita domande senza risposta. Può essere quello di una stanza priva di arredi o di una periferia urbana, per poi arrivare al vuoto dell’iperspazio, poiché in un futuro non lontanissimo l’umanità si metterà, probabilmente, in viaggio verso altri pianeti. Il vuoto può ovviamente essere anche positivo, cioè quello dell’isolamento voluto, riflessivo, costruttivo e pieno di creatività. E l’atto creativo può fermare il tempo, rispondendo al nostro bisogno di eternità.
Una volta cantavi “Vorrei regnare sulle cose che cambiano”. L’idea di voler arrestare lo scorrere del tempo è dunque un pensiero ricorrente per te?
Quello di “regnare sulle cose che cambiano”, una volta, era un timido obiettivo. Ora la mia idea, ben più ambiziosa, è quella di “distruggere” la dimensione spazio-temporale ed il concetto di “fine” per giungere a qualcosa di eterno. Ho la fortuna di essere un artista, di compiere atti creativi, e scopo dell’arte è quello di creare opere “atemporali”, che durino per sempre. E qui entra in gioco l’altro intento che mi sono proposto realizzando questo album, vale a dire quello di creare una sorta di “curvatura spazio-temporale” che consenta alla mia musica di configurarsi come “eterna”. Se si potesse lanciare un corpo nello spazio alla velocità della luce, infatti, il tempo si rallenterebbe, si ridurrebbe, fino a fermarsi, ad azzerarsi. Non è possibile viaggiare con il nostro corpo nel tempo, ma la mente ha questa facoltà. Chi ha la mente allenata può davvero arrestare il tempo. Con la mia mente, dunque, io posso spostarmi in ogni luogo e in ogni periodo: dal passato e dal mio bagaglio di vissuto, al presente creativo e inquieto, fino a vedere il futuro lontano, dove il suono e la parola non sono più armonia e melodia, ma spazio e immagini sconfinate. Io non sono gli anni ’70 o ’80, non sono il 2000 o i ’90, non sono il 2020. Sono l’atemporalità e lo spazio che voglio raggiungere. Non importa se sarò vivo o no. L’atto creativo è per sempre e in ogni luogo ed esprime, come abbiamo già detto, il bisogno di eternità di chi lo realizza.

“Vorrei cantare le parole con un senso nuovo… le parole come pietre, oggi vapore”: in questo verso tratto dalla canzone che apre il disco sembrerebbe che a tuo avviso, nel mondo contemporaneo, la comunicazione sia più difficile, e che soprattutto quella verbale stia perdendo di valore, svuotandosi di significato… sei d’accordo?
Le parole possono essere come pietre quando il loro senso e il loro “peso” restano inalterati. Anche le affermazioni che sono rimaste valide o immutate nei decenni, però, nel presente possono “evaporare”. Intendo dire che più si va avanti, più le parole sono effimere, non permangono e sono soggette a manipolazione. Anche ciò che si scrive non è affidabile, dato che le notizie, ad esempio, possono essere vere o “fake” e molto spesso non ci si fa nemmeno più caso. Nella comunicazione, quindi, le parole stanno diventando sempre più leggere e “volatili”. Sono consapevole del fatto che anche un album possa avere peso o passare inosservato e cadere “nel vuoto”. Tuttavia, anche se da sette anni non pubblicavo inediti, ho avvertito il bisogno di comunicare proprio realizzando questo nuovo lavoro. Probabilmente l’artista sente il bisogno di esprimersi quando avverte ansie e perplessità. Credo che se il mondo fosse perfetto non ci sarebbero artisti.

Sempre a proposito di “vuoto” e di “comunicazione”, tu credi che tra le giovani generazioni e il mondo degli adulti, a livello culturale e soprattutto musicale, si sia creato un divario incolmabile? Credi che la fruizione di un determinato genere sia una questione anagrafica o è ancora possibile che la musica sia una forma di comunicazione trasversale?
Per quanto io sia sempre stato definito un artista “coerente”, non sono un nostalgico e non sono necessariamente legato agli anni Ottanta. È vero che ho vissuto delle stagioni in modo particolarmente creativo, ma tutto ciò ora fa parte, come dicevo prima, di un bagaglio cinquantennale. L’atemporalità del mio ultimo disco, secondo me, può arrivare anche ai giovani: non ci sono preclusioni; è tutto “leggibile”, perché suono e parola trasmettono emozioni positive e negative. Nel disco ci sono citazioni dei miei trascorsi, ma anche forme che cambiano, muovendosi nell’ovunque. Il mio intento è quello di annullare la sensazione di appartenere al passato e di “rimbalzare” tra ieri, oggi e domani. Posso proiettarmi a livello sonoro nel futuro, anche mediante l’atonalità, poiché in questo caso ciò che importa non è l’armonia o la melodia, ma il “segnale”.

Il tuo disco uscirà anche in vinile limited edition, con una copertina differente: mentre nella versione standard l’artwork rappresenta uno scatto in cui tu ti accingi a saltare “nel vuoto”, sulla cover dell’edizione limitata campeggia un manichino di legno su una sedia a dondolo, come a voler rappresentare passività e monotonia. Questa immagine mi ricorda quella della cover di “Brainwashed” di George Harrison, in cui alcuni manichini sorreggono un televisore: un’altra immagine che allude all’atteggiamento passivo indotto dai mass media… È stata tua l’idea di questo soggetto?
La copertina “ufficiale” ritrae uno spazio cittadino periferico (la foto è stata scattata a Milano da Luca Iacono). Si tratta di un paesaggio anch’esso “atemporale”, infatti l’architettura visibile sullo sfondo potrebbe collocarsi in un qualsiasi decennio, e la scena è vuota, senza alcuna presenza umana, né alcun veicolo. A questa immagine è sovrapposta la mia: si tratta, pertanto, di un fotomontaggio. Non si vuole però raffigurare un salto nel vuoto, bensì una stasi, una sospensione in uno strano equilibrio. Quanto all’altra cover, il manichino è uno di quelli che utilizzano gli studenti nelle lezioni di disegno per imparare a rappresentare la figura umana. L’idea che si vuole trasmettere non è tanto quella della passività ma, ancora una volta, la stasi, il riposo; la sedia a dondolo, inoltre, è collocata in una struttura che sta per cedere, come lascia intuire la spaccatura nel pavimento, ma ciò che accadrà, come si evince dallo sfondo, è che si andrà nello spazio alla ricerca di altri luoghi, di altri scambi e contatti. Non siamo, infatti, soli nell’universo ma, come è noto, sono stati scoperti diversi esopianeti potenzialmente abitabili. La scritta accanto al titolo, inoltre, non decifrabile ad uno sguardo distratto, se esaminata più attentamente significa “CODICI” ed ogni segno che la compone è una chiave di lettura per interpretare presente, passato e futuro.

Qualche anno fa, con grande sconforto dei tuoi fan, avevi annunciato il tuo “Ultimo Tour”, ma per fortuna sei tornato su questa decisione e, da allora, ci sono state diverse occasioni di rivederti dal vivo. Quali sono i tuoi progetti, anche live, per l’immediato futuro?
La mia decisione di tornare ad esibirmi dal vivo è dovuta – dopo l’interruzione del tour 2019-20 “Scortati a Berlino” a causa della pandemia – all’interessante proposta che ho ricevuto dall’agenzia Barley Arts in occasione del quarantennale del mio album d’esordio, “A Berlino… va bene”, due anni fa. C’è da dire che la pandemia ha cambiato molte cose, tra cui la fruizione dei concerti da parte del pubblico. Al momento, in ogni caso, sono previste alcune presentazioni di “Nel Vuoto”: la prima si terrà il 20 aprile all’Officina della Musica di Como, in occasione del Record Store Day. Per qualche data live credo che se ne parlerà in estate o in autunno.

Ringrazio ancora Renato e il suo staff per aver reso possibile questa intervista. Quello dell’atto creativo come realizzazione del “bisogno di eternità”, al di là dello spazio e del tempo, è un concetto fondamentale, molto potente, che è stato espresso nei secoli dai più grandi poeti e artisti (cito Shakespeare e Keats tra i tantissimi che si potrebbero menzionare) e Garbo, con questo nuovo lavoro, manifesta a sua volta la necessità dell’essere umano di “regnare sulle cose che cambiano” e sulle effimere stagioni della vita per approdare all’infinito.