Cantautrici all’ombra del campanile
Talvolta le serate nella mia città si rivelano autentiche sorprese, facendosi teatro di eventi destinati a rimanere tra i miei ricordi più significativi.
Così mi ritrovo a scrivere, trascorse appena poche ore, di un concerto, dal promettente titolo “L’altra metà del cielo”, in cui ho finalmente ascoltato dal vivo ed incontrato personalmente Eileen Rose, cantautrice statunitense che seguo da qualche tempo, al fianco di due artiste italiane che ho avuto modo di conoscere e apprezzare: Charlotte Ferradini e Alfina Scorza.
Ultima puntata della rassegna “Storie di cortile”, giunta alla seconda edizione, l’evento è stato organizzato dall’infaticabile Andrea Parodi, cantautore canturino e promotore di kermesse di pregio quali il Townes Van Zandt Festival di Figino Serenza e il Buscadero Day di Pusiano (Como).
Prima ad esibirsi, Charlotte Ferradini – in una conversazione con il giornalista Enrico de Angelis – ha raccontato di cosa abbia significato per lei essere figlia d’arte, della scelta coraggiosa – ma forse anche inevitabile – di diventare cantautrice e della difficoltà di affermarsi che gli artisti emergenti incontrano oggi, quando scelgono di stare al di fuori dei meccanismi dei social e dei reality.
La voce calda dell’artista milanese racconta dell’esigenza di autenticità individuale che a volte porta alla fine di un rapporto, ma anche di quanto possa essere appagante un amore realizzato; di energia liberatoria (Martarossa) e della necessità di svincolarsi delle logiche mercantili della società contemporanea.
Raffinata e sensuale, la salernitana Alfina Scorza (per metà cilentana, come tiene a precisare) ha ascendenze classiche e jazz, ma il suo repertorio di songwriter, autenticamente mediterraneo, spazia dal tango alla canzone napoletana. Accompagnata da straordinari musicisti, Alfina narra del difficile ruolo della donna nel mondo del lavoro (Così sia), di migranti , ma anche di fascinazioni e inganni (Tanguero) per poi omaggiare la grande Giuni Russo (Mediterranea).
Infine Eileen Rose, vera forza della natura, sale sul palco accompagnata dalla sua band, The Holy Wreck, e al fianco del marito, “The Legendary” Rich Gilbert, che leggendario è davvero, un autentico virtuoso delle sei corde. Per metà siciliana e per metà irlandese, Eileen, nata a Boston e cresciuta artisticamente a Londra, vive e lavora a Nashville e da diversi anni fa tappa in Italia nei suoi tour. Il suo trascinante show è carico di energia e le sue composizioni spaziano dal country al rock, dal pop al blues. Ci regala anche due cover, la celebre You Never can Tell e un pezzo di Johnny Cash .
E poi il gran finale, con tutti gli artisti sul palco – tra i quali spunta Marco Ferradini, invitato ad unirsi al coinvolgente epilogo della serata – che accompagnano Eileen in una gioiosa e liberatoria versione di Nessuno mi può giudicare.
Come sempre, terminato lo show, arriva il momento per me più emozionante di tutti, al quale mi accosto sempre con timore e reverenza: quello del saluto agli artisti. Non ho avuto modo di congratularmi con Charlotte ed Alfina, ma ho avuto il privilegio di intrattenere una breve conversazione con Eileen e Rich Gilbert, augurandomi di poterli rivedere in Italia al più presto.
Avvicinare un musicista, scambiando anche soltanto poche e semplici parole, significa entrare in contatto con quell’ineffabile essenza che è la creazione artistica, la personalità carismatica, la capacità di toccare l’anima del pubblico e di trasmettere, tramite il proprio talento, sentimenti ed intuizioni che lo spettatore sente come propri, come rivelazioni su se stesso e sul proprio vissuto.
Almeno, questo è quello che accade a me, ogni volta, e mi fa uscire di casa per un altro concerto.