“COM’ERA NERO IL VINILE” DI GLAUCO CARTOCCI: UN GIALLO A TEMPO DI ROCK

Un thriller ad alto tasso di rock, un “noir” in cui il colore nero non è solo quello della cronaca che registra gli omicidi di un serial killer, ma anche quello dei dischi vintage. Una truffa basata sullo smercio di LP contraffatti si collega ad una serie di delitti in merito ai quali lo squattrinato detective Floyd Hendrix, chiamato l’”Orecchio Privato” per la sua abilità nel distinguere le registrazioni autentiche, sarà chiamato ad indagare. Questo, in breve, è “Come era nero il vinile- Vynil Idol” di Glauco Cartocci, pubblicato nel 2008 da Aereostella.

Come in altri romanzi dell’autore romano, la trama non è lineare, ma si basa su un intersecarsi di piani narrativi e di punti di vista che conducono alla “sorpresa” finale. Il contenuto è ricchissimo, non solo per il complesso dipanarsi dell’intricata vicenda e per il gran numero di personaggi e comprimari, ma anche per la presenza di spunti di riflessione a carattere sociale ed esistenziale. Lo scrittore, infatti, affida alle parole dei protagonisti alcune riflessioni sul ruolo della musica rock nella società.

Memorabile, in questo senso è, il monologo di Woodstock – il vecchio nostalgico dell’epoca d’oro in cui “la musica del diavolo” auspicava davvero a cambiare il mondo – che ne descrive l’evolversi e il suo ruolo nell’evoluzione dell’umanità finché, essa, per vari motivi – non ultimo il diffondersi del digitale e delle produzioni fai-da-te – ha perso il proprio potere salvifico. Per bocca di un altro personaggio, poi, tale Basil Broughton, l’autore intesse poi un elogio del vinile come supporto fonografico per eccellenza.

Ad altre figure minori è affidato il compito di rappresentare ironicamente alcuni fenomeni di costume, come quello dei cultori di gruppi di nicchia o il rap afroamericano, con tutti gli stereotipi del genere. Dietro ogni raffigurazione, dialogo, argomentazione si coglie il punto di vista di Cartocci e la sua enorme cultura musicale, che non è pura erudizione ma profonda conoscenza che permea la mentalità dell’autore e traspare da ogni riga del romanzo.

Se in “Pensa che mio zio ha suonato con Jimi Hendrix” (lavoro più recente uscito nel maggio 2020), in cui un gruppo di amici squattrinati decide di sfruttare tutte le possibilità che il Web offre per realizzare attività di produzione e diffusione musicale, molte pagine hanno il sapore del saggio e della satira di costume, stigmatizzando vizi e difetti dei frequentatori della Rete, in “Vinile” c’è campo libero alle riflessioni esistenziali, oltre che a quelle sul ruolo della musica nella società.

Floyd, infatti, è un investigatore di talento, ma al tempo stesso è un “uomo senza qualità” che non ha avuto il coraggio di osare, di essere sé stesso fino in fondo e che, dopo un’esistenza dedita al proprio lavoro senza conseguire autentici successi, si ritrova in un bar-karaoke di fronte ad un’affascinante sconosciuta che è in grado di leggere nella sua anima. Così si rivolge a lui la donna:

Senti il potere della musica, ma non vuoi parteciparvi se non da spettatore, perché non accetti l’idea di perdere il controllo. Forse componi musiche, o testi di canzoni, o poesie, o racconti, che fai leggere, o ascoltare, solo a pochissimi eletti. Hai il terrore che quelle forze, la musica, l’arte – o l’amore – possano travolgerti, spazzarti via…Tu ammiri gli eroi, quelli che compiono gesta nobili, ma hai deciso di limitarti, pensi di non essere all’altezza.

Le parole della ragazza suscitano in Hendrix una serie di riflessioni sulla vita, sulla propria esistenza irrisolta e sui propri desideri di fare parte del mondo artistico e musicale, al quale si era sempre accostato in qualità di semplice spettatore o di fruitore, per quanto esperto e con competenze superiori alla media:

Spesso, negli anni andati aveva provato il desiderio di oltrepassare la soglia, di scrivere “vere” canzoni o “veri” romanzi, per farli conoscere alla gente. Ma poi qualcuno dentro di lui gli aveva fatto presente che erano solo illusioni infantili, che a nessuno sarebbe potuto interessare ciò che lui aveva da esprimere, che era certamente meglio lasciare che tutto rimanesse un hobby.

Nel proprio monologo interiore Floyd si lascia andare a considerazioni nelle quali è facile, per il lettore, identificarsi. Non tutti, infatti, hanno la fortuna di riuscire a realizzarsi con le opere del proprio ingegno, esprimendosi tramite ciò che la propria creatività suggerisce e riuscendo a condividere con un pubblico più o meno vasto i prodotti della propria fantasia: poesie, canzoni, racconti, quadri. Molti di noi, pur essendo pervasi da un anelito a trascendere la propria quotidianità mediante la creazione di oggetti artistici, non hanno il coraggio o la forza di volontà sufficienti a vivere i propri sogni fino in fondo. Restano sempre ai margini dell’esistenza, magari criticando con piena consapevolezza e lucidità chi, con pur scarso talento e poco spessore, riesce ad imporsi all’attenzione altrui con prodotti di dubbio valore. Sotto questo aspetto Floyd, da personaggio volutamente dimesso e disincantato qual è, acquisisce un’attrattiva da anti-eroe.

Altri personaggi, invece, come “Thomas”, protagonista della narrazione che si interseca alla principale per poi ricongiungersi ad essa nel finale, sono condizionati da imprinting negativi ricevuti in gioventù e cercano un riscatto lungo meandri contorti.

Le presenze femminili sono variegate, dalla Venere nera che perseguita il malcapitato investigatore apparendo nei suoi sogni notturni alla segretaria Audrey, donna apparentemente insignificante e al tempo stesso oggetto dei suoi inconfessati desideri, fino alla musicologa ricoperta di tatuaggi, priva di qualsivoglia attributo e attrattiva muliebre. In esse si coglie il punto di vista dell’osservatore curioso, in grado di cogliere dettagli, di delineare con pochi tratti figure che restano impresse nella mente del lettore e creano il variopinto panorama di individui che popola il romanzo, rimanendo sullo sfondo o emergendo anche solo per poche pagine in episodi divertenti (come quello dei rapper Chipsta e Wursta).

Caratteristica dell’autore è, a mio parere, la sovrabbondanza di elementi narrativi: nei suoi romanzi – a onor del vero ne ho letti solo due e dovrei leggerli tutti per esprimere un giudizio più ponderato – si ha a volte l’impressione che con il materiale di un libro se ne sarebbero potuti scrivere due, tanti e tali sono i personaggi, le riflessioni, gli spunti critici, le considerazioni sulla storia e sull’attualità. La lettura, quindi, non può essere frettolosa e superficiale, bensì attenta e meditata, per poter gustare fino in fondo l’ironia, la sagacia, la cultura, l’amore per la musica che permeano ogni pagina.

Del resto, che Cartocci sia un profondo conoscitore della musica rock è cosa nota. Il libro che lo ha reso famoso e che non ha bisogno di presentazioni è “Il caso del doppio Beatle” (sesta edizione: Robin XL, 2019), lo studio più completo e autorevole esistente in Italia sulla “leggenda” della morte di Paul McCartney (PID, acronimo di “Paul Is Dead”). Un altro volume degno di rilievo è “I Beatles nello spirito del tempo. Come 4 persone divennero 4 personaggi” (ed. David and Matthaus, 2016), che indaga l’influenza che i Fab Four, nei decenni, hanno esercitato sulla cultura del mondo occidentale, sulla storia del costume e sulla vita quotidiana di milioni di persone. Il prolifico autore romano ha scritto molti altri romanzi (l’ultimo dei quali, “Appesi a un chiodo sulla parete”, è uscito nel novembre 2020), diversi tra loro per genere ma accomunati dalla passione per le sette note che spesso emerge da vicende, dettagli e personaggi.

“Come era nero il vinile” è indubbiamente un “giallo” godibile per chiunque, ma sarà particolarmente apprezzato da chi, come Cartocci e come la sottoscritta, ha trascorso gran parte della propria vita ascoltando rock e cercando (e magari trovando) un po’ di se stesso tra i solchi degli album e i versi dei propri artisti preferiti: “music is your only friend until the end”.