Massimo Priviero: un musicista che ha posto l’esigenza di autenticità al centro del proprio percorso

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Ricercare ciò che è essenziale nella quotidianità, nelle scelte di vita, nelle relazioni interpersonali, è un’esigenza che, prima o poi, emerge nell’esistenza di molti individui. Tracciare un bilancio del proprio vissuto, saper indagare la propria anima, eliminare il superfluo è un processo spesso inevitabile e talvolta lungo quanto il cammino di ciascuno di noi. E perseguire l’essenzialità è fondamentale, a maggior ragione, per un artista, perché solo mettendo al centro del processo creativo valori ineludibili, magari navigando “in direzione ostinata e contraria”, è possibile realizzare opere che il pubblico possa percepire come autentiche e nel contempo vicine alla propria esperienza.  

Massimo Priviero è sicuramente un musicista che, nella sua carriera, ha intrapreso consapevolmente questa strada. Il rocker veneto, per propria esplicita ammissione, come spesso ribadisce nei suoi concerti e nei suoi incontri con il pubblico, ha scelto di restare nella propria “riserva indiana” portando avanti attraverso i decenni il proprio percorso con grande coerenza, e questo emerge ogniqualvolta egli si espone nei live, nelle interviste e sui social.

foto dal sito priviero.com

Priviero era i protagonisti dell’ultimo “Buscadero Day” e la sua esibizione è stata una di quelle che ho apprezzato maggiormente.  Nel suo set acustico, insieme a Riccardo Maccabruni e Alex Cambise, ha presentato alcuni brani dal suo ultimo album “Essenziale”, più un’altra manciata di canzoni scelte tra i “classici” del suo repertorio. Dal vivo pezzi come Imbattuto, Un solo popolo, Nessuna resa mai, Abbi cura, sostenuti dagli arrangiamenti scarni e dalla sua robusta vocalità, acquisiscono ancora maggiore forza e intensità, mentre altri, più delicati o intimisti come Tutte le volte o Bataclan, arrivano dritti al cuore dell’ascoltatore. Quello che poi, personalmente, apprezzo di Massimo è il suo mostrarsi in modo sincero e senza filtri, sia sui grandi palchi che nelle dimensioni più raccolte, a stretto contatto con chi lo segue da tempo con stima e affetto. E questo è avvenuto anche nella conversazione che abbiamo avuto di recente.

Priviero on stage all’ultimo “Buscadero Day” – photo by Mary Nowhere

Ciao Massimo, benvenuto nel mio blog! Il tuo libro “Amore e Rabbia” è uscito soltanto 3 anni fa, nel 2019, ma in questi giorni è trapelata sui social la notizia che tu stia lavorando alla seconda parte della tua autobiografia. La tua prima “fatica” letteraria raccontava la tua storia personale e artistica dall’infanzia al presente e quello che ne emergeva era la tua esigenza di mostrarti come uomo e musicista autentico e coerente, che ha avuto il coraggio di rompere, quando è stato necessario, con i dettami dello show business. A distanza di soli tre anni, che cosa ti ha portato a desiderare di raccontarti nuovamente?

In effetti il libro è stato pubblicato nel 2019 ma la scrittura, la narrazione degli eventi, arriva al 2018. C’è quindi un altro pezzo di strada da raccontare. Nella mia testa si è andata creando, negli ultimi due anni, una specie di antologia musicale della mia vita a cui ritengo, a questo punto, di dover aggiungere il secondo pezzo della mia storia, affinché possa essere più completa. “Scavalcato” questo obiettivo, il mio desiderio, naturalmente, sarebbe quello di scrivere d’altro. Poi, da quanto che mi è arrivato soprattutto nelle decine di presentazioni che ho fatto, “Amore e Rabbia” ha incontrato molto il favore del pubblico e in tanti mi hanno chiesto quel che forse chiameresti il seguito. Dunque è ciò che ho iniziato a fare. Per chi mi è vicino e, in fondo, anche per me stesso.

Il tuo album “Essenziale”, pubblicato lo scorso anno, voleva esprimere, come tu stesso hai spiegato, quelli che per te sono i valori più importanti, che il difficile periodo della pandemia ti aveva aiutato ad individuare. A distanza di tempo, credi che le difficoltà che tutti noi abbiamo incontrato ci abbiano davvero fatto riscoprire l’importanza di ciò che è davvero “essenziale”?

“Essenziale” esprimeva una volontà di sintesi nella parte musicale, nei testi, nelle canzoni e nei valori di vita, come tu accenni, che mi toccavano in modo speciale. È un album, ad esempio, con suoni spesso molto scarni. Volendo utilizzare una metafora “edilizia”, tutta l’impalcatura doveva reggere una casa dove serviva che ci fossero soltanto porte, finestre e terrazzo. Ciò che è “essenziale”, appunto. Non serviva altro. Alla tua domanda relativa alla riscoperta dei valori da parte della società nel suo insieme risponderei che no, come immaginavo dall’inizio, non credo proprio che quel che abbiamo vissuto abbia generato una consapevolezza diversa del nostro modo di stare al mondo. Forse, come sempre, questo è accaduto per una piccola minoranza. L’idiozia e la mediocrità imperante, la superficialità spacciata per leggerezza, sono molto ben presenti. Abbiamo imparato poco.

La ricerca dell’essenzialità, dunque, è per te una questione meramente soggettiva, nel senso che c’è chi è riuscito, come te e molti altri artisti ed individui, ma negli altri casi le logiche del mercato e del potere hanno ripreso a funzionare come prima?

Le logiche a cui fai riferimento, per lo più, non sono state sfiorate. Anzi, forse sono cambiate un po’ ultimamente, ben al di là della pandemia, per cause di tipo economico che derivano da altro: il conflitto russo-ucraino, i conseguenti aumenti, la penuria di gas, eccetera. Perché toccano le tasche, non per altro. Quando saremo oltre questo, il mondo tornerà dov’era prima. Né più né meno. Non abbiamo memoria. E non abbiamo il senso del bene comune. Minoranze a parte. Poco altro da aggiungere.     

Le canzoni del disco hanno indubbiamente una grande profondità. Pensiamo a Redenzione, che contiene come tu hai affermato “la rabbia, la paura, la denuncia, il bisogno di amore e di purificazione” del primo Dylan. Paradiso è una commovente e appassionata dedica a tuo padre. Tutte le volte è una suggestiva, straordinaria canzone d’amore. Un solo popolo ribadisce il concetto di fratellanza umana, così come Rinascita in cui affermi “nessuno si salva da solo”, ma esprime anche la tua fede religiosa. E poi Imbattuto, che rievoca la figura di Mandela… tutti temi di notevole spessore, raccontati con una sincerità quasi viscerale, ma mai puramente autoreferenziali, bensì sempre con uno sguardo rivolto all’alterità… quanto è importante, per un artista, riuscire parlare di sé e nel contempo di ciò che lo circonda? Non è così scontato…

Non è scontato, come giustamente dici. Quando scrivi, spesso fotografi quello che vedi e che hai nell’anima. Provi ad essere tu stesso le storie che racconti. Provi ad incarnare la persona che decidi di raccontare, la cui vicenda ti tocca nel profondo. È un continuo scambio di identità che cerca un punto di equilibrio. Per farti un esempio, Redenzione rappresenta quello che ero io a vent’anni quando giravo il mondo suonando anche agli angoli di strada. Ma è ciò che ancora vedo anche oggi quarant’anni dopo. Ed anche quello che un uomo che osserva ciò che è intorno a lui, ieri come oggi. Le necessità autentiche che dovremmo avere, che forse chiameresti valori o idealità, si fondono di continuo. In questo caso siamo io e lui che ci scambiamo il ruolo continuamente, ieri e oggi. In tutto questo, e questo puoi chiamarlo anche salvezza e dannazione, io sono fondamentalmente quello che scrivo, suono e canto. Nella buona e nella cattiva sorte, tanto per capirci. Qualunque sia l’argomento di una canzone.  

foto dal sito priviero.com

Proprio nell’ottica di denunciare le ingiustizie e le contraddizioni della contemporaneità hai realizzato circa dieci anni fa uno spettacolo con Daniele Biacchessi e i Gang, da cui poi fu tratto l’album live Storie dell’altra Italia.  In seguito hai realizzato con Biacchessi uno lavoro teatrale sulla Prima Guerra Mondiale. Questa collaborazione continua tuttora: quest’anno tu e Davide avete portato in scena “Un altro mondo possibile” e giusto qualche giorno fa tu, Biacchessi e Marino Severini avete ottenuto un prestigioso riconoscimento per il vostro impegno civile dedicato alla nostra memoria storica in prosa e in musica… hai in programma di proseguire questo tipo di percorsi?

Stimo e voglio bene a tanto Daniele quanto a Marino, naturalmente. Il “viaggio” che ho condiviso con loro mi ha permesso di stare sul palco in modo “diverso”, con altri tempi ed altre modalità. È stato molto arricchente, al di là del piacere a livello umano che si ritrova nella vera condivisione. Non ho dubbi che in futuro ci saranno altre forme di interazione analoghe. Riguardo ai premi, da cui di solito scappo volentieri, un riconoscimento all’impegno civile è, al contrario, sempre qualcosa di cui essere un po’ orgogliosi.

Sandro e Marino Severini, Priviero e Biacchessi (2011- foto dal sito latlantide.it)

La tua attività live nell’estate che sta per concludersi è stata molto intensa. Oltre alle date del tour, che proseguiranno anche in autunno, e la stesura del libro, hai altri progetti in vista?

Sono previsto ancora tre o quattro concerti in autunno. Chiuderemo il tour il 23 dicembre in uno dei più bei teatri italiani, il Toselli di Cuneo. Tra l’altro sarà un evento con un forte carico di valori legati a ciò che si potrebbe definire il tema del dialogo e della fratellanza universale. Nel frattempo mi metterò a scrivere il libro e inciderò alcuni inediti che integreranno l’antologia che vorrei realizzare. Insomma, diciamo che per i prossimi mesi c’è da rimboccarsi le maniche. Quel che verrà dopo, magari te lo racconterò in una prossima occasione. Intanto un grazie di cuore a te e a chi ti legge. A presto e l’abbraccio più grande.

Grazie a te, Massimo, per la tua disponibilità e per le tue belle parole… a prestissimo!

foto dal sito priviero.com

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