La terribile vicenda di Ion Cazacu, l’operaio bruciato vivo dal suo datore di lavoro nel 2000, è stata raccontata anche attraverso le canzoni
Morire bruciati sul posto di lavoro: un’eventualità terribile, che purtroppo si verifica ancor oggi, per il mancato rispetto delle norme di sicurezza o per tragica fatalità. Il 22 agosto scorso un operaio della provincia di Vicenza ha perso la vita mentre stava cercando di spegnere un incendio scoppiato nel piazzale dell’azienda presso la quale lavorava, in circostanze non del tutto chiare. Pochi giorni dopo, due autotrasportatori sono deceduti in seguito al divampare delle fiamme causato da un tamponamento sull’A21, all’altezza di Caorso. Due anni prima, nell’agosto 2020, un 25enne che stava lavorando su un traliccio è caduto mentre stava tentando di mettersi in salvo da un incendio scoppiato a terra ed è stato inghiottito dal fuoco. Scorrendo a ritroso nelle cronache delle “morti bianche”, i casi simili a questi sono numerosi; quello più eclatante, e tristemente noto, avvenuto negli ultimi vent’anni ebbe luogo alla Tyssen-Krupp di Torino nel 2007, in cui a seguito di un’esplosione morirono sette operai. I dirigenti furono accusati di omicidio colposo e incendio colposo e fu contestata loro l’omissione dolosa dei sistemi di prevenzione antincendio e antinfortunistici, ma per alcuni di loro (i manager tedeschi Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz) non è mai stato reso esecutivo l’ordine di arresto.
Questo elenco di eventi è già di per sé drammatico, ma cosa dire se un datore di lavoro appiccasse intenzionalmente il fuoco ad un proprio dipendente? Quella che intendo rievocare ora è una vicenda che risale a diversi anni fa (al 2000, per la precisione) e che a distanza di molto tempo impressiona ancora per la sua brutalità ed efferatezza; e se nulla di analogo, fortunatamente, si è verificato da allora, le condizioni di molti lavoratori, soprattutto immigrati, sono sempre precarie, tra sfruttamento, illegalità e assenza di tutele, come dimostrano i molti fatti di cronaca che riportano incidenti o decessi per cause spesso evitabili.
Si tratta della storia di Ion Cazacu, un ingegnere originario del sud della Romania, che viveva in Italia dal 1997 (aveva lasciato la famiglia, composta dalla moglie e da due figlie, al paese natale) e lavorava a Gallarate come piastrellista a cottimo in un’impresa edile. Il 14 marzo 2000 l’uomo venne cosparso di benzina e bruciato vivo da Cosimo Iannece, suo datore di lavoro, a causa delle richieste avanzate (Cazacu chiedeva, per sé e altri due colleghi connazionali, due mesi di stipendio non ancora corrisposti o, in alternativa, la messa in regola del rapporto di lavoro). Per evitare che Ion potesse mettersi in salvo l’aggressore bloccò la via d’uscita dall’appartamento, un bilocale di 40 metri quadri di sua proprietà (Iannece lo affittava a ciascun dipendente a duecentomila lire al mese, in nero, sottratte alla paga). Soccorso dai compagni, l’uomo, coperto di ustioni sul 90% del corpo, fu immediatamente trasferito in un ospedale di Genova, dove morì 33 giorni dopo. Iannece, invece, venne condannato in primo grado a 30 anni di reclusione per omicidio volontario, ma nel 2010, dopo dieci anni di carcere (la pena era stata ridotta in terzo grado a 16 anni) è tornato in libertà a Gallarate, dove nel frattempo si era trasferita anche la famiglia di Ion.
Questa terribile vicenda, oltre che colpire l’opinione pubblica, ha suscitato nel tempo l’interesse di numerosi intellettuali e artisti che in vario modo hanno voluto ricordare Ion Cazacu e rendergli giustizia. Uno di questi è stato Dario Fo. Nel 2001 a Veniano, in provincia di Como, nel corso dell’inaugurazione della sala riunioni che l’azienda I.T.R aveva intitolato alla memoria di Ion, Fo conobbe Nicoleta, vedova dell’operaio. Diversi anni dopo Florina, una della due figlie di Ion e Nicoleta, nel frattempo trasferitasi in Italia, incontrò Dario Fo e Franca Rame e chiese loro aiuto per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Da quell’incontro nacque l’idea di scrivere un libro a quattro mani, Un uomo bruciato vivo, pubblicato da Chiarelettere nel 2015. Fo infatti, ancora quindici anni dopo l’accaduto, sottolineava in una serie di interventi ed iniziative la fondamentale importanza del ricordare un avvenimento che, dopo aver sconvolto l’Italia intera quando si era verificato sembrava essere stato dimenticato da molti. Nel capitolo introduttivo del volume, realizzato sotto forma di intervista a Florina, l’autore riportava un fatto di cronaca relativo ad un’ingente frode fiscale e contributiva avvenuta in Brianza nel primo decennio degli anni Duemila, che aveva coinvolto circa 1400 operai immigrati. Così si esprimeva:
“Come potevano costoro (i datori di lavoro, che avevano messo in piedi una vera e propria organizzazione criminale creando società fittizie per evadere il fisco, ndr.) permettersi di negare la paga stabilita agli operai per mesi e mesi? È semplice, con il ricatto, e spesso con la violenza. Davanti alle richieste di saldare il dovuto si iniziava col rimandare il versamento per temporanea mancanza di liquidità. Ma quando i richiedenti sollecitavano il dovuto residuo, perché si ritrovavano a non poter mantenere la famiglia e a pagare i debiti, spesso contratti con gli strozzini, ecco che si arrivava, da parte dei datori di lavoro, alla minaccia, che spesso consisteva nel denunciare i lavoratori in quanto privi di permesso di soggiorno.” Questi meccanismi, così puntualmente descritti da Fo, sono purtroppo molto frequenti nei confronti dei lavoratori irregolari e alcuni esempi riportati nel volumetto lo testimoniano.
La lunga conversazione tra Dario e Florina rievoca tutta la vicenda di Ion, la sua strenua lotta per la sopravvivenza conclusasi dopo un mese di degenza ospedaliera, il funerale ed il processo, conclusosi purtroppo con la riduzione della pena a carico di Iannece, come si è detto. Uno dei momenti più toccanti del racconto della ragazza è quella della sepoltura, dopo la quale lei stessa avrebbe voluto che sulla tomba del padre fosse stato piantato un albero, secondo un’antica usanza rumena che alludeva alla possibilità per il defunto di rivivere attraverso le fronde e i frutti della pianta. Un altro episodio drammatico è quello in cui Florina parla dei disturbi di tipo neurologico di cui aveva sofferto per qualche tempo dopo la morte del genitore e del suo viaggio a Genova allo scopo di vedere il luogo dove Ion aveva trascorso le sue ultime ore.

La triste parabola del lavoratore rumeno, oltre attirare l’attenzione di un artista come Fo, da sempre attento alle problematiche sociali e a questioni di natura politica controverse o irrisolte, ha ispirato diversi gruppi e cantautori che gli hanno dedicato delle canzoni. Il primo, in ordine cronologico, è stato il legnanese Renato Franchi, particolarmente vicino all’accaduto in quanto impegnato attivamente in ambito sindacale, ed in particolare nel settore della sicurezza. Anche lui era presente, insieme a Dario Fo, alla ITR nel 2001, invitato da Domenico Tozzi del consiglio di fabbrica dell’azienda, ed ebbe modo di incontrare Nicoleta.



Renato Franchi con Dario Fo
Dalla sua penna, e dalla sua chitarra, è uscita Canzone per Ion, una dolce, nostalgica ballata che riesce a tratteggiare sia i sogni e le speranze del lavoratore in cerca di una vita migliore che l’assurda violenza del suo assassinio. La figura dell’uomo è narrata con delicatezza, la sua condizione di emigrante ha toni quasi da fiaba e persino la sua drammatica fine è rievocata con i toni della poesia, mentre la spietatezza della sua situazione e di molti altri immigrati è descritta senza mezzi termini:
Partito da lontano per partire davvero
Sei sceso con la pioggia e il tuo sguardo di cielo
Giorni di frontiera dove i sogni vanno piano
I treni sono viaggio e i rumori sono tuono…
Poi vennero i padroni del fumo e della tempesta
Fabbricanti di nuvole nere e onde di fuoco per la festa
Con le loro offerte speciali e una paga da soldato
Con la tua bocca da cucire ed un lavoro disperato…
Avevi mani di zucchero per disegnare arcobaleni
Ora hai braccia di fango per costruire grattacieli
Dove il sole è stanco e non riscalda il cuore
La gente vive in fretta nel paese del dolore…
Poi fu la notte delle stelle che cantavano alla luna
Quando l’assassino bruciò i tuoi occhi di sfortuna
O forse fu la luna che piangeva con le stelle
Mentre morivano i tuoi anni e bruciava la tua pelle…
Il brano, accreditato a “Renato Franchi e Dita Fragili Band”, è stato inserito in un EP con altre tre tracce, prodotto dalla CGIL di Varese e pubblicato nell’ottobre 2000. L’iniziativa discografica, realizzata con la consulenza musicale di Massimo Vecchi, bassista dei Nomadi, riscosse un notevole successo. Il CD e la canzone ebbero un impatto notevole a livello nazionale, che produsse una importante e significativa dimostrazione di sostegno e solidarietà verso la famiglia Cazacu. Si arrivò, infatti, a superare la richiesta di oltre 7000 copie del disco a titolo di sottoscrizione in sostegno della complessa e difficile battaglia legale. Importante poi, in ragione delle azioni legali e delle iniziative sindacali intraprese, fu il riconoscimento per la tragedia di Ion, pur non essendo avvenuta in un luogo di lavoro, di infortunio mortale da parte dell’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro).



Canzone per Ion – racconta Renato – è una instant song scritta di getto sull’onda della sensibilità emotiva legata al dovere di raccontare per non dimenticare. Il brano fu portato nelle settimane e mesi successivi nelle scuole e in eventi specifici sul tema dell’immigrazione, degli infortuni e delle malattie professionali. Il cantautore e Nicoleta incontrarono tanti studenti e persone ed ogni volta il racconto della vicenda e l’ascolto della canzone suscitavano forti emozioni. In seguito la traccia, con un nuovo arrangiamento, che vide la partecipazione di Marino e Sandro Severini dei Gang, fu inserita nell’album “Sogni e Tradìmenti” di Renato Franchi & Orchestrina del Suonatore Jones ed è tuttora una parte importante dei concerti live di Franchi e della sua band.
Anche il collettivo musicale militante toscano Contratto Sociale GNU Folk ha scritto un brano intitolato Ion Cazacu, pubblicato nel 2006. Si tratta di un trascinante pezzo in stile combat folk dalle sonorità irish. Il testo ha un punto di vista collettivo, quello dei tanti immigrati, che come Ion, hanno lasciato la loro terra per andare incontro a situazioni drammatiche, simili a quelle degli “schiavi sottoposti a tortura”. L’invito è a non discriminare i migranti, perché farlo equivarrebbe ad uccidere Ion ancora una volta:
Notti e giorni come neve
Anni e mesi passati ad aspettare
Come vento siam partiti
Con la speranza di tornare
Ci aspettava un mare di pianto
Ed un sogno infranto
Un cantiere di illusioni
Che presto crollerà
Ed il vento che viene dal Nord
Ci ha portato sciagura
Ci hanno presi come schiavi
Sottoposti a tortura
Muore il giorno e non sappiamo
Se domani resteremo
Ogni volta che disprezzi
Muore ancora Ion Cazacu
La particolarità del brano è la presenza delle voci di Picchio della Banda Bassotti di Nicoleta Cazacu e delle figlie Alina e Florina, che invitano a non dimenticare l’accaduto anziché tragedie simili non si ripetano. La canzone è successivamente stata inserita nell’album “R-Evoluzione” del 2013.
Alla memoria dell’ingegnere rumeno, infine, il gruppo Teatro degli Orrori ha poi dedicato Ion, uno dei brani del loro terzo album, Il mondo nuovo, uscito il 31 gennaio 2012. Così recita il testo:
Morire non è nuovo
Ma adesso vivere è così difficile
La tua pelle non c’è più, non c’è più
Ion… Ion…
Ciascuno è solo
Ciascuno con un peso nello stomaco
Io con un groppo in gola
Durante un live, il frontman della band, Pierpaolo Capovilla, aveva commentato al riguardo: “Non si tratta solo di un fatto di cronaca nera, questo episodio è paradigmatico di cosa siamo diventati noi in Italia oggi; che cosa ha fatto questo assassino? Ve lo dico io: ha anteposto i propri miserabili egoismi quotidiani ai valori della vita, al valore in assoluto della vita di un uomo. Come si fanno ad anteporre cinque, diecimila euro alla vita di un uomo?”
Quella espressa dalla canzone, a differenza di quanto accade nella ballata firmata da Renato Franchi, è autentica rabbia, tradotta in musica con sonorità acustiche che danno voce al dolore della violenza, al lento bruciare di un corpo davanti allo sguardo indifferente del carnefice, evocato per sineddoche dall’immagine della pelle. La stessa pelle che, devastata dalle ustioni letali, ha portato alla morte la vittima dopo una lunga agonia.
Non è possibile, probabilmente, descrivere il dolore provato dai congiunti di Ion; la stessa Nicoleta affermò che l’insensato gesto dell’assassino distrusse non solo la sua famiglia, ma anche quella dell’uccisore stesso. E resta grande amarezza al pensiero che non sia stata fatta completa giustizia. Rimangono, tuttavia, i tentativi di preservare il ricordo di questa terribile vicenda, affinché fatti come questo non si ripetano. Anche la musica, rappresentata dai vari artisti che hanno voluto rendere omaggio alla figura di Ion, ha dato il proprio contributo. Le canzoni non possono, da sole, cambiare il mondo, ma possono favorire il diffondersi dei valori di solidarietà e di giustizia, raccontando storie che preservino la memoria del passato e che infondano fiducia in un futuro in cui lavoro e dignità possano divenire un binomio indissolubile.
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