Immersa nel verde, la cascina fu un luogo di ritrovo per gli artisti dell’etichetta “Numero Uno”

Tra gli anni Settanta e Ottanta, la Brianza fu un territorio in cui nacquero alcuni tra i più grandi capolavori della musica italiana grazie a due studi di registrazione che si differenziavano da quelli di Milano e di Roma in quanto situati in location esclusive e suggestive: Il Mulino di Anzano del Parco e gli Stone Castle Studios di Carimate.
Entrambi gli studi, che si trovavano a breve distanza l’uno all’altro, in provincia di Como, erano nati per iniziativa di due imprenditori ambiziosi, lungimiranti e, a loro modo, visionari, nonché responsabili della realizzazione di alcuni dei più grandi successi discografici dell’epoca.

La Cascina Mulino oggi – foto dal sito casa.it

Il Mulino venne allestito nel 1974 all’interno di una grande cascina immersa nel verde da Giulio “Mogol” Rapetti, che aveva fondato nel 1969 l’etichetta Numero Uno insieme al padre Mariano e ad Alessandro Colombini, e che era coautore dei brani di Lucio Battisti, con cui collaborava dalla metà degli anni Sessanta. Il Castello di Carimate divenne invece, qualche anno dopo, un luogo dall’aura mitica, ove strumentazioni tecniche avveniristiche venivano utilizzate tra mura ricche di storia e in cui furono prodotti innumerevoli album per iniziativa di Antonio Casetta, già manager della Produttori Associati, che nella cittadina brianzola volle dar vita, oltre che agli studi, ad un vero e proprio quartiere residenziale.
Ad Anzano erano spesso ospiti gli artisti della Numero Uno, come Alberto Radius, prima con la Formula 3 e poi con Il Volo, Bruno Lauzi, Oscar Prudente ed altri, e videro la luce album di artisti come Lucio Battisti, Antonello Venditti, Toni Esposito, Ivan Graziani. A Carimate invece transitarono, tra gli altri, Lucio Dalla, Fabrizio De André, i Pooh, Alberto Fortis, Edoardo Bennato, Paolo Conte.
Oggi il ricordo di questi studi, chiusi da decenni, sopravvive nella memoria dei protagonisti di quella straordinaria stagione e, naturalmente, nelle tracce degli album che vennero lì registrati. Mentre il maniero carimatese, trasformato in hotel/ristorante negli anni Novanta, è stato di recente acquistato da una società immobiliare che intende ristrutturarlo per poi adibirlo nuovamente a struttura ricettiva, il complesso di Anzano del Parco è attualmente in vendita ad una cifra che supera il milione di euro.

I curiosi che, percorrendo in auto la strada che conduce dal lago di Alserio al centro di Anzano, desiderassero fermarsi per andare alla ricerca dell’ex studio di registrazione, possono parcheggiare in via Piave ed entrare a piedi in via Lazzaretto, una strada a fondo cieco che si inoltra nel verde, seguendo le indicazioni che indicano il sentiero per Arzenta – Lago – Bindella. Dopo pochi minuti di cammino, una cancellata verde dove compare il civico n. 1 ed un citofono ci fanno comprendere che siamo arrivati a destinazione. Da qui, però, non si intravede quasi nulla.

È solo visitando i siti delle agenzie immobiliari che è possibile avere un’idea della proprietà: in rete, infatti, sono disponibili sia un video che mostra interno ed esterno del casale, con l’enorme area verde che lo circonda, che numerose fotografie. L’ex “Mulino” viene presentato come una dimora su due livelli per complessivi 600 mq abitativi e un parco di 50000 mq comprensivo “di strutture di servizio, in passato usate per ricoverare auto e cavalli” (fonte: https://tettamantire.it/immobile/anzano-del-parco-proprieta-in-vendita/).
Il parco, quasi tutto pianeggiante, contempla anche una piccola collina ed è attraversato da un ruscello, utilizzato in passato per alimentare le pale del vecchio mulino. La cascina, “che necessita di alcuni interventi”, dispone di “ampi locali di rappresentanza al piano terra con caratteristico porticato che si ripresenta anche al primo piano” (cit.) ed include 10 camere e 5 bagni.

Ammirando la magnificenza del caseggiato e delle sue pertinenze è inevitabile ripensare all’epoca in cui il luogo era animato da musicisti, artisti, addetti ai lavori e dai loro familiari ed amici. Quella degli studi di Anzano fu, in realtà, una stagione brevissima, che durò solo pochi anni, ma grazie alle testimonianze di alcuni protagonisti di quei momenti è possibile rivivere o quanto meno immaginare che cosa accedeva tra quelle pareti e nelle verdi distese che le circondavano. La figura che, più di ogni altra, viene associata al “Mulino” è quella di Lucio Battisti insieme, naturalmente, a quella del fondatore dell’impresa, Giulio “Mogol” Rapetti.

foto dal sito casa.it

Con la Brianza Mogol aveva una certa familiarità: nel 1943-’45 la famiglia Rapetti era infatti sfollata a Carugo, cittadina a circa 8 km da Anzano che ha conferito a Giulio, nel 2016, la cittadinanza onoraria.
Nel 1971 Rapetti, dopo la separazione dalla moglie, aveva deciso di acquistare un casolare immerso nel verde, a metà strada tra Como e Lecco: la “Cascina Mulino” di Anzano del Parco, appunto. L’immobile necessitava di essere ristrutturato e pertanto egli persuase molti dei propri amici e collaboratori – tra i quali Mario Lavezzi, Oscar Prudente e il trio della Formula 3 – a rimetterlo a nuovo e a costruire la cinta esterna di pali e filo spinato. Così racconta in proposito Gianfranco Salvatore nel volume L’arcobaleno. Storia vera di Lucio Battisti vissuta da Mogol e dagli altri che c’erano (ed. Giunti, 2000):
Molte energie furono dedicate a rimettere a posto quel luogo, che Giulio voleva far diventare un ritrovo di artisti, dove si potesse vivere insieme, con la cucina abitabile in comune, grandi ambienti divisi da separé per dormirci in tanti, una stanza molto luminosa dove chi voleva poteva dipingere, il salone per comporre musica.
Una volta terminati i lavori, la magnifica e accogliente casa di campagna si riempì di persone, tra le quali molti musicisti. Salvatore, raccogliendo la testimonianza di Mogol, così prosegue il suo racconto:
Alberto Radius ne divenne il cuoco: gli toccava prendere la macchina e andare a fare la spesa in paese, poi tornava e sfornava maccheroni per tutti. Anche Lucio ci andava, fino a tre o quattro volte la settimana. C’era un laghetto dove si pescavano le trote, un orticello dove si coltivavano insalata e pomodori. Si stava insieme nel tempo libero ma ci si poteva anche ritirare a scrivere, sfruttando le ispirazioni del luogoGiulio si divertiva ad andare in paese e fare grandi rifornimenti di cibo, bevande, detersivi.
Mogol era l’anima del Mulino, che nei suoi intenti doveva configurarsi soprattutto come luogo di lavoro, oltre che di relax:
Presto il Mulino divenne un’estensione della Numero Uno: vi si tenevano riunioni di lavoro tutte le settimane. Tutto l’ufficio doveva trasferirsi lì, con grande perdita di tempo e qualche volta anche scarsa convinzione, perché Giulio lo imponeva. Ma in fondo tutti sapevano che lavorare così era più bello, e che come al solito nella follia di Giulio c’era del metodo.

Battisti fotografato da Cesare Monti nel 1973 (foto dal sito wallofsoundgallery.com)

Rapetti, pur trascorrendo molto tempo ad Anzano, aveva fissato la propria dimora a Molteno, in località Dosso di Coroldo, ad una decina di chilometri di distanza dal Mulino. Nel 1973 Battisti, poco dopo la nascita del figlio Luca, spinto da un crescente bisogno di riservatezza si trasferì anch’egli a Molteno con la famiglia, nelle vicinanze della villa di Mogol, e lì visse fino alla propria prematura scomparsa, avvenuta nel 1998.
Uno dei frequentatori più assidui della cascina fu Cesare “Caesar” Monti, fotografo ed art director che progettò diverse copertine per i dischi di Lucio, alcune delle quali basate su scatti realizzati in loco. Memorabili, inoltre, sono alcuni suoi ritratti di in bianco e nero del cantautore, sempre risalenti a quel periodo. È proprio Monti a fornirci nel suo blog (https://cesaremonti.blogspot.com/2012/04/lucio-battisti-anima-latina.html) un vivace quadro della residenza brianzola, nella quale lo stile di vita era improntato alla condivisione:
Il Mulino era una specie di comune, una trovata di Giulio, convinto di essere il primo a sperimentare questo modo di vivere: egli pretendeva da tutti solidarietà e condivisione e a volte mi sono chiesto se vivesse in un altro tempo; era il suo un autentico ritardo storico, scopriva le cose quando erano già state vissute, superate e dimenticate, ma in fondo era sempre stato sincero, entusiasticamente sincero….
La sera ci si attardava a parlare di molte cose, dalle più demenziali alle più serie: era interessante perché si confrontavano mondi diversi, sogni diversi, prospettive diverse. Per quanto fosse un’esperienza storicamente superata, riusciva ad avere in sé un germe di vivacità creativa.

Battisti fotografato da Cesare Monti nel 1973 (foto dal sito wallofsoundgallery.com)

Le testimonianze di molti protagonisti di quell’epoca ribadiscono come la convivialità fosse parte integrante delle esperienze di lavoro. Nel libro di Francesco Marchetti Lucio Battisti. Due ragazzi attraversano l’estate (Sperling & Kupfer, 2008) Fulvio Zafret, produttore, discografico ed ingegnere del suono nonché compositore e musicista, ricorda con affetto «la meravigliosa cucina gestita dai genitori (in realtà dai suoceri, ndr.) di Gianni Dall’Aglio… I due gestori, genovesi DOC, cucinavano in modo esemplare, e il momento dei pasti era delizioso».
C’erano anche animali: Dall’Aglio, nella sua autobiografia Batti un colpo. Due metri quadrati di paradiso (Gabrielli Editori, 2014), riferisce la presenza nel giardino di «galline, cani e gatti» che rendevano l’ambiente «ancora più naturale e stimolante», mentre Zafret rammenta che «ogni mattina una gallina veniva a deporre un uovo dietro la porta della regia che comunicava direttamente con lo spiazzo davanti allo studio: era diventato un rito, verificare tutte le mattine se c’era l’uovo» (da Marchetti, cit.).
L’atmosfera che si respirava era dunque bucolica, e a questo proposito il produttore cita un episodio in cui i Pooh, che si trovavano al Mulino per fare delle prove, «montarono gli strumenti in un enorme terrazzo coperto, realizzato tutto in legno, dal quale si godeva un bellissimo panorama sul bosco antistante lo studio e in fondo il lago». Anche Monti prediligeva il medesimo spazio: «Amavo lavorare stando su un enorme terrazzo coperto, ricavato dal vecchio pagliaio: era in legno pregiato che profumava di cedro; da lì vedevo la vallata spingersi tra il bosco ed il lago».

foto dal sito casa.it

Il “patron” della Numero Uno amava definire il Mulino la sua “grande casa”: “La grande casa” era anche il titolo del quarto album della Formula 3 (1973), sulla cui copertina faceva bella mostra di sé un’immagine della cascina di Anzano, a colori all’interno del gatefold, in bianco e nero sulla front cover.
Ci si chiede se il testo della canzone, firmato da Rapetti, possa in qualche modo alludere alla “comune” brianzola:
La strada ancora è fango
Il volante stringo
La casa grande è finita ormai
… no, no, no, adesso non sei più solo…
Quanti letti già pronti per dormire
Non per sognare quel che non si può avere
Letti fatti per amare e riposare
Per potersi la mattina svegliare
Veramente, veramente svegliare
Per alzarsi, per poi camminare…

I rapporti all’interno della comunità di Anzano, non erano, tuttavia, sempre idilliaci. In un’intervista rilasciata a Riccardo Bertoncelli e Franz di Cioccio per il volume Sulle corde di Lucio (Giunti, 2008), “Caesar” ebbe modo di esprimersi in modo poco favorevole riguardo a quella che lui definiva, con una certa insofferenza, «la Comune dei ricchi» , ove Mogol avrebbe voluto che lui si trasferisse a vivere, nonché nei confronti di Rapetti stesso, la cui presenza a volte si faceva “ingombrante”. A causa di queste divergenze il fotografo, che nel frattempo aveva iniziato una proficua collaborazione con la Cramps di Gianni Sassi, si allontanò momentaneamente dall’entourage di Battisti.
Monti aveva realizzato per Lucio gli artwork degli album “Umanamente uomo: il sogno” e “Il mio canto libero” (entrambi del 1972) e dei 45 giri La canzone del sole e Il mio canto libero ma, a causa delle continue interferenze di Mogol, nel 1973 diede forfait. La cover di “Il nostro caro angelo” fu pertanto affidata allo studio G7 di Cantù e gli art director furono Paolo Minoli e Claudio Caimi, entrambi docenti della locale Scuola d’Arte. “Caesar” tornò a lavorare al Mulino nel 1974, progettando la copertina di “Anima latina“; due anni dopo vide la luce “La batteria, il contrabbasso eccetera“, l’unico LP di Battisti ad essere registrato interamente negli studi di Anzano.

La foto di copertina è tratta dal sito casa.it

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