Un viaggio nell’identità partendo dal titolo di un album dei Gang

Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere“. Questa affermazione, attribuita al Dalai Lama, accosta l’emblema delle radici come sinonimo di legame con le origini a quello delle ali, che evocano l’anelito verso l’altrove. Tale binomio ritorna poi in un proverbio, presumibilmente di origine araba, che recita: “Ci sono due cose durature che possiamo lasciare in eredità ai nostri figli: le radici e le ali”.

L’abbinamento di queste due immagini, relative a ciò che ci connette alla terra e a ciò che ci permette di elevarci verso il cielo, è stato poi ripreso, come è noto, nel titolo di un album dei Gang del 1991. Le radici e le ali è un disco di svolta per la formazione capitanata dai fratelli Severini poiché si tratta del loro primo lavoro in italiano, dopo i tre in inglese dei loro esordi, nonché del primo episodio di una trilogia che proseguirà con Storie d’Italia (1993) e Una volta per sempre (1995).  

Questo album contiene brani fondamentali nella discografia e nell’identità della band marchigiana : Socialdemocrazia, Bandito senza tempo, Chico Mendes, Ombre rosse, La lotta continua. Quando uscì, ascoltavo quei pezzi trasmessi alla radio, mentre le mie timide radici affondavano in una piccola zolla di terra e la mia pianticella cautamente si protendeva verso l’alto, cercando di allungare i propri rami verso altre piante simili, senza riuscire a raggiungerle.

Questo il commento di Marino Severini su Le radici e le ali: “Le radici sono la nostra appartenenza: i nostri legami e la nostra ideologia che sono però destinati a non avere sviluppo se non diamo loro un paio di ali che ci permettano di andare oltre, di capire che è necessaria un’elaborazione per stare al passo con i tempi. Non bisogna dimenticare ciò da cui abbiamo avuto origine, ma è necessario evolvere, plasmare secondo i nuovi bisogni ciò che abbiamo avuto in eredità”.

La nostra condizione originaria, la famiglia, i valori che ci sono stati trasmessi, le esperienze che ci hanno formato nell’infanzia e nell’adolescenza, i nostri primi incontri – gli amici, i parenti, gli insegnanti, ma anche le letture, gli ascolti – hanno lasciato su di noi tracce indelebili, che portiamo sulla pelle e che ci hanno permesso di sviluppare talenti e di compiere scelte, o che a volte abbiamo tentato di cancellare, per rinnovarci, staccarci, emanciparci, trovare autonomia e indipendenza.

Le nostre radici possono essere salde, ancorate nel nostro retroterra, oppure esili e inaridite. In un modo o nell’altro, germoglieremo e il nostro albero della vita si staglierà verso il cielo robusto e svettante, oppure più incerto, gracile, contorto. Sarà lo scorrere del tempo, la pioggia che generosamente lo innaffierà, il concime che lo nutrirà, sotto forma di contatti, esperienze, relazioni, a renderlo prospero e vitale, rendendo il nostro essere lussureggiante e rigoglioso. Al contrario, se la pianta non godrà di queste favorevoli condizioni e le radici non saranno abbastanza profonde la nostra esistenza sarà irrisolta e ci vorrà più tempo affinché essa possa svilupparsi in modo completo.

Non è necessario, tuttavia, restare sempre fermi come un albero in un giardino o in un bosco; per quanto piacevoli possano essere questi ambienti, molti di noi sentono il bisogno di allontanarsi da dove sono cresciuti e di spiccare il volo verso altri cieli, altre dimensioni. È insita in noi la tendenza a elevarci, a realizzare sogni e desideri, e per fare tutto questo sono necessarie le ali. Ali che ci permetteranno di raggiungere le vette dell’ambizione, di travalicare i limiti imposti dalla nostra realtà, di diventare chi davvero vogliamo essere, abbandonando la nostra iniziale condizione di creature terrene per diventare esseri dell’aria, vicini all’autentica essenza universale.

Se penso alla mia esperienza, mi sembra che le mie radici, rispetto a quelle di altre persone, siano deboli, incerte, sottili. Forse non hanno avuto a disposizione un terreno fertile, forse qualcosa, durante il loro ciclo vitale, non ha permesso loro di espandersi nelle direzioni volute. O il nutrimento ricevuto, per quanto apparentemente abbondante, non è stato adeguato a soddisfare le loro necessità. Ma la mia pianta è cresciuta ugualmente, protendendo i propri rami verso l’azzurro con determinazione e coraggio. I miei frutti maturi e succosi erano posti talmente in alto che sono stati colti tardivamente. Lo spazio del mio giardino, per quanto piacevole e curato, non era però sufficiente a soddisfare il mio bisogno di assoluto. Avevo bisogno di ali e, come Dedalo, ho cercato di confezionarne un paio che, per quanto imperfette, mi hanno consentito di elevarmi al di sopra della mia finitezza. Una volta libratami nel cielo, ho incontrato altri esseri, animati dalla mia stessa sete di infinito, che mi hanno accompagnato in volo per qualche tratto. E sto volando, tuttora, in una direzione ignota, a volte ostinata e contraria, a volte seguendo la corrente.

Senza dimenticare ciò da cui ho avuto origine, ho trasformato ogni evento, positivo e negativo, in una forza propulsiva che potesse condurmi verso la realizzazione della mia autenticità. Nel mio volo non sono mai sola: confido di poter essere sempre accompagnata da altre ali, che mi guidino, mi proteggano, mi indichino la direzione da seguire, mi accolgano e mi confortino nei momenti di stanchezza, mi sollevino se perderò la rotta.

Tornando al disco dei Gang, Marino ha commentato, a proposito della canzone Bandito senza tempo, che nell’esistenza di ciascuno ha luogo “un salto di maturità ogni volta che si arriva alla fine di un percorso, ogni volta che si chiude un cerchio e si deve ricominciare un altro giro. È come se una vita avesse a disposizione un numero indefinito di partenze da una stessa origine, che permette una visione più complessa delle stesse cose ogni volta che questa viene doppiata”. 

Prendo in prestito questa affermazione, che nell’intento del suo autore era riferita ad una disamina di natura anche (e soprattutto) politica, per pensare ai cerchi che per me si sono chiusi e ai nuovi giri che sono ricominciati, con una nuova consapevolezza e una nuova visuale. Le mie ali, in questo incessante ciclo, si sono irrobustite e mi sanno portare molto più in alto.

A distanza di oltre trent’anni, ascoltando Le radici e le ali avverto emozioni simili a quelle che provavo quando il disco uscì. La vita si dipana lungo sentieri accidentati, ma a volte ci conduce verso territori inesplorati nei quali, come per incanto, ritroviamo noi stessi rispecchiandoci negli altri. Nel mio percorso, nel mio volo cercherò di rendere vitale tutto ciò che ho accumulato negli anni, riportando tutto a casa come recitava, citando illustri precedenti, il titolo del mio primo articolo di questo blog. Seguendo quella che in quest’ultimo decennio è stata “la mia via”, a volte tortuosa, a volte impervia, a volte rischiosa, ma l’unica possibile perché mia.