Inaugurata ieri a Londra la mostra interattiva di Yoko Ono “Mend Piece for London”

Mend carefully.
Think of mending the world
at the same time.

Riparare un oggetto rotto è un po’ come rimettere in sesto ciò che non va nel mondo intorno a noi: non è semplice, magari i margini della frattura non si rimargineranno completamente, ma il tentativo di restituire utilità e significato a ciò che si è infranto è uno sforzo che implica un’intenzione positiva, costruttiva, rigeneratrice nei confronti della realtà. Questo concetto sta alla base dell’ultima mostra di Yoko Ono, inaugurata ieri, 25 agosto 2021, alla Whitechapel Gallery di Londra, che si terrà fino al 2 gennaio 2022.

Mend Piece for London”, che potremmo tradurre come “opera di riparazione” e che in parte rimanda agli “instruction pieces” di cui si componeva la raccolta poetica “Grapefruit” del 1964, è l’emblematico titolo dell’evento.

Entrando nelle Gallerie 5 e 6, i visitatori sono invitati a sedersi a un tavolo su cui sono posizionati frammenti di tazze e piattini in ceramica e alcuni semplici materiali per ripararli: forbici, colla, spago e nastro adesivo. È possibile scegliere i pezzi preferiti, accostarli ed assemblarli a piacimento.  Terminata l’opera di riparazione, è poi possibile appoggiare gli oggetti realizzati sugli scaffali lungo le pareti, per esporli come fossero “nuovi” prodotti artistici. Tutte le ceramiche, i tavoli, gli scaffali e le pareti sono di colore bianco.

Ancora una volta, dunque, come avveniva nei già citati “instruction pieces”, spesso irrealizzabili, o nel celeberrimo “Cut Piece”, in cui il pubblico tagliava con le forbici gli abiti addosso alla stessa Ono, i partecipanti sono invitati a partecipare al processo di creazione artistica in modo attivo, per quanto insolito, partendo dalle potenzialità presupposte dall’artista nella situazione di partenza e portando a termine la realizzazione di un oggetto o evento in modo del tutto imprevedibile.

Ono presentò per la prima volta l’installazioneMending Piece I nel novembre 1966, alla sua mostra personale Unfinished Paintings and Objects presso la Indica Gallery di Londra, centro per l’arte controculturale gestito da John Dunbar, Barry Miles e Peter Asher (e “sponsorizzato” da Paul McCartney). Come è noto, in questa sede avvenne il primo incontro tra l’artista giapponese e John Lennon. L’idea di “non terminato” (unfinished) risiedeva nel fatto che quasi tutte le opere esposte erano state concepite per essere completate attraverso le azioni dei visitatori, che avrebbero dovuto seguire le apposite istruzioni. Lo stesso concetto di “unfinished” ritornerà poi nei tre album di musica e sonorità sperimentali realizzati dalla coppia John&Yoko negli anni successivi (Two Virgins, The Wedding Album, Life With The Lions), perché anche in questo caso l’ascolto attivo è parte integrante della realizzazione dell’evento sonoro.

Yoko realizzò anche una versione personalizzata di “Mend Piece” per John Lennon, inviandogli un sacchetto di plastica contenente una tazzina frantumata e un foglietto con le istruzioni per ricomporla: un invito rivolto al musicista a “ristrutturare” la propria vita, forse? Il dono venne poi riprodotto e il sacchetto, legato con un nastro rosso e accompagnato da un tubetto di colla, venne intitolato “Mend Piece for John” ed esposto in una mostra nel 1968. Non molto tempo dopo, il Beatle e l’artista divennero una coppia, dopo aver registrato “Two Virgins”nella notte del 19 maggio dello stesso anno.

Il primo “Mend Piece”, come il già citato “Cut Piece”, confermarono l’autorevolezza di Ono come figura importante nell’ambito dell’arte concettuale e del movimento “Fluxus”, di cui ella faceva parte. In questa installazione l’atto fisico di riparazione diventa metafora di un diverso tipo di ristrutturazione, che avviene prima nella mente e nell’agire del singolo, per poi venire esposta davanti alla collettività ed acquisire così la propria importanza. Riparare un oggetto è una forma di “guarigione”: l’atto di risanare suppellettili di uso comune, secondo la stessa Ono, ha infatti il potere di ridare la vita a qualcuno o qualcosa nell’universo, laddove ce ne sia bisogno. La mostra ha avuto, nei decenni, diverse edizioni: tra le ultime ricordiamo quella a New York nel 2015 e a Basilea nel 2018.

L’idea del riparare oggetti in ceramica o porcellana attinge alla tradizione giapponese del “kintsugi”, l’arte di riparare tazze, vasellame, piatti rotti usando lacca mescolata con metalli preziosi come oro e argento. La tecnica permette di considerare la rottura come parte importante della storia di un oggetto, piuttosto che cercare di mascherarla. Ogni ceramica riparata diviene così un pezzo unico, per via delle linee di giunzione dovute alla casualità con cui l’oggetto si è frantumato. Il messaggio veicolato da questa pratica è che da una imperfezione o da una ferita possa nascere una perfezione interiore o esteriore ancora maggiore: pertanto il kintsugi può essere considerato l’arte della resilienza.

In un momento storico come questo, il concetto che sia importante riparare, risanare o ristrutturare anziché distruggere o sprecare può avere molteplici significati simbolici. Per questo, dunque, una installazione come “Mend Piece” è ancora di grande attualità, a 55 anni dalla sua invenzione.

Per approfondire l’arte di Yoko Ono, consiglio la lettura dei seguenti articoli:

https://www.artovercovers.com/2020/05/19/john-lennon-e-yoko-ono-messi-a-nudo-la-controversa-cover-di-two-virgins/

https://www.artovercovers.com/2019/07/04/the-wedding-album-john-lennon-yoko-ono/

https://www.artovercovers.com/2021/01/08/camminando-sul-ghiaccio-il-dolore-e-la-speranza-in-season-of-glass-di-yoko-ono/