Il musicista racconta la sua lunghissima carriera (Prima parte)
Gianfranco D’Adda è un carissimo amico, ma è soprattutto un personaggio che da cinquant’anni fa parte della scena musicale italiana, noto per essere stato, per molti anni, il batterista/percussionista di Franco Battiato.
Gianfranco è una figura poliedrica, che ha realizzato progetti artistici basati sulla commistione di differenti linguaggi espressivi, come la musica, la parola e la danza. È inoltre un collezionista di strumenti musicali (ha 12 batterie), di dischi (ha diverse migliaia di vinili, molti dei quali estremamente rari) e possiede centinaia di cimeli legati ad una delle sue grandi passioni, i Beatles.



Per tutti questi motivi è una persona che ha moltissime storie da raccontare. Ho avuto recentemente il privilegio di incontrarlo a casa sua, tra pareti cariche di quadri, poster e memorabilia che testimoniano il suo vissuto musicale e personale. Abbiamo avuto una interessantissima conversazione… che non sarà l’unica, perché è impossibile nell’arco di un pomeriggio parlare con lui di tutti gli innumerevoli argomenti che lo riguardano.

Ciao Gianfranco, sono davvero onorata di ospitarti nel mio blog e sono molto emozionata per il fatto di poter parlare con te in questo ambiente in cui ogni singolo oggetto avrebbe una storia da narrare… Partiamo da te, da come e quando è nata la tua passione per la musica… e ti ricordi qual è il primo disco che hai acquistato?
Il primo 45 giri che comprai fu Please Please Me dei Beatles, appena uscì, nel 1963. Avevo 13 anni. L’ascolto di quella canzone fu, come per tanti adolescenti di quell’epoca, una autentica folgorazione. Da lì nacque anche il mio desiderio di iniziare a suonare la batteria. Cominciai, come tanti miei coetanei, percuotendo i fustini dei detersivi con i quali avevo costruito dei tamburi “fai da te”. In seguito mi recai in un negozio di strumenti musicali, Rossato di Legnano, all’insaputa dei miei genitori, e ordinai una Ludwig color madreperla, uguale a quella di Ringo Starr. Quando la batteria arrivò a casa mia mio padre e mia madre si trovarono spiazzati e furono costretti ad pagarla! Nel 1964 iniziai a prendere lezioni da Bruno Federici, che militava in un complesso chiamato I Barbari. Ero però un po’ insofferente alla teoria e al solfeggio… tutto quello che volevo era suonare!


A questo punto la tua storia si interseca con quella di un tuo coetaneo, Renato Franchi…
Esatto… Renato lavorava come commesso da un fiorista. Ci incontrammo nella piazza del nostro paese, Rescaldina, e da lì nacque la nostra amicizia che dura da quasi sessant’anni. Mettemmo su un complesso chiamato New Vox. Suonavamo molti pezzi beat, tra cui With a Girl Like You e I Want You dei Troggs, Gimme Some Lovin’ degli Spencer Davis Group e successivamente, con una sezione di fiati, un repertorio Rhythm ‘n Blues (Otis Redding, Wilson Pickett, Sam & Dave, Aretha Franklin, Chicago, Blood Sweet &Tears). Eravamo molto seguiti… anche alle nostre prove c’era una grande folla di ragazzi che volevano ascoltarci. Suonammo anche al Teatro La Torre, una location dove per svariati decenni hanno provato per i loro tour personaggi di spicco, da De André a Vecchioni, Mango, Alice, Garbo, Giuni Russo, Alice, New Trolls, Finardi, Stormy Six , Elio e Le Storie Tese, fino allo stesso Battiato. Di grande rilievo, con un’altissima presenza di pubblico, fu il concerto tenuto dai New Vox all’oratorio di Rescaldina nel settembre del 1968, in occasione della festa delle contrade.
Arriviamo alla fine degli anni Sessanta e al tuo incontro con Franco Battiato.
Fu l’impresario Guidi, che faceva suonare i complessi come il nostro nelle balere, che mi cambiò la vita, perché fu lui a presentarmi a Battiato. Era il 1969 e io suonavo in un altro gruppo, i Cristalli Fragili (il nome derivava dal fatto che i miei genitori avevano un negozio di cristallerie) in cui c’era un altro musicista originario come me di Rescaldina, il bassista Gianni Mocchetti, mentre alla chitarra c’era Riccardo Rolli, che fu il primo chitarrista di Battiato, e poi Maurizio Valli alle tastiere. Franco venne ad ascoltare il nostro gruppo a Calolziocorte. In quel periodo lui frequentava Giorgio Gaber e Ombretta Colli e aveva già realizzato diversi 45 giri. In realtà io lo avevo già conosciuto perché avevo suonato in uno di essi, intitolato Vento Caldo, l’anno prima. Comunque io, Mocchetti e Rolli fummo reclutati per suonare nel suo primo album, “Fetus”.

Si tratta, come è noto, di un album ad alto contenuto di sperimentazione, e lo stesso vale per il tour di concerti che seguì: ho letto che l’idea che ne stava alla base, quella di contaminazione tra musica e arte, si ispirava anche al movimento di avanguardia “Fluxus”, di cui fece parte anche Yoko Ono… tu cosa ricordi di quella esperienza?
Ricordo, soprattutto, i concerti (il tour partì nel giugno 1972), gli happening a cui partecipavamo, con volumi altissimi… era tutto estremamente coinvolgente e faticoso… poi spesso distruggevamo gli strumenti sul palco! A volte venivano gettati dei tubi gonfiabili verso gli spettatori, altre volte Franco entrava in scena con una grossa croce che poi rompeva… la volontà era quella di provocare il pubblico, di suscitarne le reazioni. Lo stesso intento “provocatorio” era già evidente durante le registrazioni del disco, in cui spesso Battiato ci invitava ad inserire la nostra “idea musicale” ognuno con il proprio strumento: anche questo era per noi molto stimolante. Talvolta gli spettatori contestavano queste performances. Anche il tour di “Pollution”, l’anno successivo, ebbe caratteristiche simili. A lungo andare, però, non solo noi eravamo “stressati”, ma anche lo stesso Franco entrò in crisi e senti l’esigenza di una pausa di riflessione, per ricercare nuovi stimoli culturali e musicali.


Che cosa avvenne dopo?
Battiato sciolse il gruppo e decise di proseguire da solo (tra l’altro in quel periodo, nel giugno 1973, partecipò con il sottoscritto, Gianni Mocchetti e Mario “Ellepì” Dalla Stella al festival di Re Nudo all’Alpe del Viceré, n.d.r.), andò a New York, continuò a studiare filosofie orientali ed iniziò ad ascoltare autori di musica sperimentale come Philip Glass, Terry Riley, Bob Wilson e Karlheinz Stockhausen. Da questa sua ricerca spirituale nacque l’album “Sulle Corde di Aries”, in cui io suonai le percussioni, come tabla e kalimba. L’anno dopo fu la Volta di “Clic”, dove pure suonai le percussioni. Nel 1975, poi, Franco realizzò il disco “Mademoiselle Le Gladiator”, per il quale suonò l’organo a canne della cattedrale di Monreale. Fummo io e Juri Camiscasca a chiedere il permesso di suonare questo straordinario strumento al Monsignore, che dopo un iniziale rifiuto concesse a Battiato il permesso di utilizzarlo. Il tutto venne registrato con un registratore a bobine. A questo punto, però, io sentii il bisogno di realizzare qualcosa di autonomo e mi dedicai ad altre attività artistiche.
Ad esempio ti sei dedicato all’insegnamento e al teatro…
Dopo aver conseguito un diploma in Animazione musicale con il maestro Sergio Bianchi, iniziai ad insegnare musica presso una scuola di Vittuone, in cui utilizzavo un metodo innovativo basato sulla gestualità. Realizzai diversi progetti con vari enti locali, tra cui la messinscena di un’opera di Gianni Rodari, Pianeta Blu, una pantomima con la regia di Danilo Darodda, alla quale collaborò anche il tastierista Filippo Destrieri, che in seguito entrò nella band di Battiato. In seguito, in quel periodo partecipai come percussionista per una settimana ad uno special televisivo di riprese live per la televisione svizzera con la PFM. Con Adriano Spatola demmo poi vita a progetti di poesia sonora e visiva, partecipammo al Festival di Avignone, a laboratori presso l’Università di Urbino, alle attività del centro culturale Voltaire di Torino, al festival internazionale di Bologna dove era presente anche Demetrio Stratos.


A questo punto hai ripreso a lavorare con Battiato…
Nel 1977 Franco, dopo aver realizzato altri dischi, portò in scena prima al Teatro Out Off di Milano e poi a Roma uno spettacolo intitolato Baby Sitter, basata sulla cosiddetta “Crociata dei bambini”, in cui io recitavo insieme a un numeroso gruppo di attori. Si trattava di un’opera sperimentale, anch’essa incentrata, come le performances di Franco dei primi anni Settanta, sulla contaminazione di diversi linguaggi espressivi. In questo periodo Franco conobbe Giusto Pio, che inizialmente gli impartì lezioni di violino e poi divenne uno dei suoi più importanti collaboratori. Dopo diversi lavori e collaborazioni, tra le quali quella con Gaber, Battiato pubblicò “L’era del cinghiale bianco”. Siamo nel 1979. In questo album alla batteria c’era Tullio De Piscopo, ma nel live tour ero io a suonare. Nel 1980, poi, partecipai alle registrazioni di “Patriots” ed al successivo tour, alternandomi a batteria e percussioni con Donato Scolese; gli altri musicisti erano Filippo Destrieri alle tastiere, Tony Dresdi al basso e Giusto Pio al violino.


Il 1981 fu l’anno de “La voce del padrone”, a cui non hai partecipato. Come mai?
Ancora una volta sentivo il bisogno di realizzare progetti differenti ed iniziai pertanto a collaborare con la scuola di danza FujiYama di Gallarate, con la quale misi in scena il musical “Theatron”, con la ballerina Maggie Oscuro. Poi lavorai anche con l’emittente privata Antenna 3 e con il cabarettista Marino Guidi. Partecipai all’organizzazione dei festival musicali Yamaha e Scorribande in qualità di consulente artistico e ospite. Un mio altro collaboratore importante fu Graziano Pegoraro, che in seguito lanciò cantanti come Tracy Spencer e Taffy, scrivendo i loro brani di successo. Ma il teatro restava sempre una grande passione per me, pertanto partecipai ad un seminario di Jerzy Grotowski, esponente del cosiddetto “teatro povero”. Dovevamo restare chiusi per una settimana senza uscire… fu un’esperienza incredibile! E poi ho lavorato anche con Ranko Yokoyama, prima ballerina nella versione cinematografica del musical “Fame”. Il nostro video “Cabala” partecipò a vari eventi e al Festival del Cinema di Locarno.

Torni a collaborare con Battiato nel 1983 con “Orizzonti Perduti”…
… esatto, e ho suonato anche nell’album successivo, “Mondi lontanissimi” del 1985.


Ti proporrei, a questo punto, di fermarci qui e di continuare in un altro momento il racconto relativo alla tua ancora lunghissima carriera. Parliamo ora degli splendidi oggetti che ci circondano… come osservavo prima, ognuno di essi avrebbe una storia da narrare, ma concentriamoci soltanto sui cimeli beatlesiani. Quali sono quelli a cui sei più legato?
Senz’altro, direi, i poster contenuti nella rivista “Giovani”, che ho comprato personalmente negli anni ’60. Ho moltissimi altri manifesti e locandine di film, ma alcuni li ho acquistati in seguito, a fiere o da altri collezionisti. Ho un disco d’oro dell’album “Abbey Road” di cui esistono solo 25 esemplari, una targa originale di Abbey Road, un mattone del Cavern Club e innumerevoli altri oggetti… libri, picture discs, gadgets di tutti i tipi… e questa bellissima giacca di Imagine che sto indossando ora!


Ringrazio infinitamente Gianfranco D’Adda per la sua gentilezza e disponibilità. Tornerò presto a trovarlo per la seconda parte dell’intervista!









