L’ultimo libro di Enrico Impalà indaga la spiritualità del cantautore bolognese

Pochi giorni fa, il 4 marzo 2023, ricorreva l’ottantesimo anniversario della nascita di Lucio Dalla. Qualche giorno prima, per la precisione il 24 febbraio, è uscito Come è profondo il mare di Enrico Impalà (TS Edizioni, 320 pagine), un volume dedicato alla spiritualità del cantautore. Lo scrittore pavese ha ripercorso la parabola artistica ed umana del musicista attraverso le parole di quest’ultimo, tratte da diverse interviste collegate ad altrettanti nuclei tematici, e tramite le testimonianze di amici e collaboratori che con Lucio hanno condiviso un tratto del suo percorso professionale e personale.

La figura dell’artista bolognese viene “ricostruita” nel libro in una sorta di mosaico composto da innumerevoli tessere con molteplici sfaccettature, dalla prima infanzia ai suoi ultimi giorni, e da diversi punti di vista: quello di Lucio stesso, che amava raccontarsi e raccontare incontri ed episodi significativi della propria esperienza, e quelli di persone a lui care, colleghi e conoscenti. Filo conduttore della narrazione è il legame tra la grande umanità del cantautore, intesa come capacità di comprendere le altre persone, di scrutare nei loro cuori, di assorbire le loro storie e di trasformare tutto questo in canzoni, e la sua sincera fede cristiana. Dalla esprimeva il suo essere credente in gesti semplici e concreti, come la preghiera e la partecipazione alla Messa nella chiesa di San Domenico a Bologna, ma anche con la frequentazione di figure religiose come il biblista padre Bernardo Boschi, il filosofo padre Giuseppe Barzaghi e il teologo Vito Mancuso, che lo definì “uomo d’amore e di fede”.

L’elemento autenticamente umano e la tensione al divino erano, dunque, due tratti inscindibili nella persona di Lucio e la sua fede era profondamente personale ed originale. Così egli stesso si espresse a questo proposito in un’intervista: «La mia religiosità è assolutamente priva di metodologia. Non è imitativa, ma sperimentale. Non si riferisce, perciò, a nessun modello. Per esempio, il mio desiderio di comunicare con la gente, anche spiandola dall’esterno, è un tipico bisogno cristiano. Direi, quasi, un atto d’amore.» E ancora: «La grande forza della religione cristiana sta nella sua umanità. È la religione che più di tutte tiene conto, non tanto della necessità di sacrificarsi per gli altri, quanto della assoluta impossibilità di fare a meno degli altri. Questa impossibilità di fare a meno degli altri è cresciuta in me, sempre di più, facendo di me un uomo religioso, ma anche una persona che prende una grande forza e un grande coraggio dal fatto di sentirsi cristiano». La fede di Lucio fu alimentata dall’incontro, avvenuto in tenera età (a sette anni, poco dopo la scomparsa di suo padre) con la carismatica figura di padre Pio da Pietrelcina, al quale fu devoto per tutta la vita, ma anche dall’amicizia con diverse figure di religiosi, come quella di padre Enzo Fortunato, che così ha voluto descrivere il cantautore e la sua arte: «In Lucio l’elemento umano, quello religioso e quello sociale sono compresenti, sono fondamentali: elemento umano è quando celebra l’uomo nelle sue diverse espressioni; elemento religioso è quando lo celebra nei confronti della trascendenza; elemento sociale è quando una canzone ti invita a relazionarti con gli altri e a impegnarti».

Tra i musicisti che Impalà ha interpellato, Marco Ferradini, che conobbe Lucio nei mitici Stone Castle Studios di Carimate, mentre stavano registrando, rispettivamente, l’EP Schiavo senza catene e l’album “Lucio Dalla”: spinti da reciproca curiosità, ognuno dei due contribuì al lavoro dell’altro, Marco con i cori, Lucio con il suo sassofono. E poi Roberta Giallo, che il musicista sostenne con affettuosi consigli nella sua carriera e alla quale rimase legato da una profonda amicizia, e il tastierista Diego Michelon, collaboratore di Ron e dello stesso Dalla. Un ruolo particolare ebbe, a livello artistico ma anche personale, l’editore Arnoldo Mosca Mondadori, promotore di un progetto che vide il cantautore emiliano collaborare con la poetessa Alda Merini nella realizzazione di un’opera per orchestra dedicata a san Francesco, in cui fu coinvolto anche Marco Alemanno, compagno del musicista negli ultimi anni della sua vita. Mondadori, anch’egli uomo di fede, si sentiva molto vicino a Dalla sotto questo aspetto: «Lucio aveva un rapporto diretto con Gesù, oltre che con san Francesco, ad Assisi; oltre che con l’arcangelo Michele, a Monte Sant’Angelo, vicino a casa sua presso le Tremiti. Questa era la sua forza: il suo rapporto diretto con Dio. Mi colpivano la sua libertà e il suo umorismo nella vita». Arnoldo, inoltre, parlando con lo scrittore della scomparsa del cantautore, ne ha evidenziato la somiglianza con la morte di Cristo: «Quando morì emise un forte grido, un urlo. Era in un hotel in Svizzera, impegnato in una serie di concerti… Lucio è morto cantando. L’esplosione del suo cuore ricorda l’esplosione del Cuore di Cristo. Lucio era vicino al Cielo. Era… un uomo scelto. Un giullare di Dio. Un giullare della bellezza». Il produttore Bruno Mariani, invece, ha voluto mettere in evidenza anche alcuni aspetti “sgradevoli” di Lucio Dalla: lo ha qualificato come “uomo di potere”, a volte un po’ dispotico nel pretendere totale disponibilità dai propri collaboratori, ne ha evidenziato le contraddizioni, lo ha definito “al di sopra delle ideologie” (generalmente ritenuto uomo di sinistra, il cantautore frequentò occasionalmente anche esponenti di altri schieramenti).

Molti altri sono gli amici e i collaboratori che Enrico Impalà ha avuto modo di intervistare per dare vita a questo articolato e complesso “ritratto” dell’artista. Merita una citazione l’artigiano sorrentino Marcello Aversa, maestro nell’arte del presepe napoletano, che gli donò una Natività di grandi dimensioni per la sua casa bolognese. La residenza di via D’Azeglio 15, di 3000 metri quadri, era una sorta di museo, colmo di opere d’arte, la maggior parte delle quali di soggetto sacro. Ma, come è noto, Lucio era legato alla città di Sorrento da un rapporto privilegiato: non soltanto perché un soggiorno sulla costiera amalfitana ispirò la composizione di Caruso, uno dei suoi brani di maggior successo, ma perché qui egli trascorse un significativo periodo agli inizi della propria carriera: negli anni Sessanta egli era infatti uno dei più assidui frequentatori del locale “Fauno Notte Club”. Inoltre proprio a Sorrento Gino Paoli, nel 1963, vide in lui il primo cantante soul italiano e lo convinse a lasciare il gruppo in cui militava, i Flippers, per iniziare la carriera solista. L’amore tra Dalla e la cittadina è stato intenso e ricambiato, al punto che gli venne attribuita la cittadinanza onoraria. Sempre in terra campana è poi situato il borgo di San Martino Valle Caudina, dove Lucio era “di casa” non solo per i numerosi concerti che vi aveva tenuto, ma anche perché qui eseguì la stessa Caruso dal vivo, per la prima volta, il 17 agosto 1986.

I luoghi del cuore di Lucio erano però numerosi: non solo Bologna e Sorrento, ma anche la Puglia, la terra di Padre Pio, e le isole Tremiti in particolare, dove aveva una casa, un autentico “buen retiro”, e Treviso, dove aveva frequentato la scuola media al collegio vescovile Pio X dal 1954 al 57 poiché la madre, sarta teatrale, doveva seguire le compagnie in tournée. Ma anche la Sicilia, ed in particolare Milo, dove negli anni Novanta acquistò una villa vicino a quella di Franco Battiato, che però ebbe occasione di lamentarsi per la “vivacità” dei ricevimenti del suo vicino. Lucio, in ogni caso, intrattenne buoni rapporti con Franco e ne aveva grandissima stima. E la città natale di quest’ultimo ha voluto dimostrare il proprio affetto ad entrambi i musicisti: nel 2022, infatti, una statua che li ritrae entrambi è stata eretta proprio a Milo. Come spiega Impalà, «l’opera scultorea è stata posta in piazza Belvedere Giovanni D’Aragona: Dalla al pianoforte, rivolto verso il mare; Battiato in piedi, con tanto di codino, rivolto verso l’Etna; ma da ogni prospettiva li si osservi il loro sguardo si incrocia». In Sicilia Lucio produceva anche un vino, lo Stronzetto dell’Etna, in alcune migliaia di esemplari fuori commercio, che donava agli amici.

Il cantautore viene rievocato anche, e soprattutto, attraverso le sue composizioni più significative: non solo ogni capitolo ha come titolo il verso di una canzone e reca come epigrafe il testo di un brano, ma molto spazio viene dedicato alla storia di alcuni pezzi particolarmente significativi. Quello che rappresenta un punto di svolta nella carriera di Lucio è proprio Come è profondo il mare. Si tratta, infatti, della prima canzone per la quale egli scrisse il testo e che diede il titolo all’LP che lo configurò come cantautore a pieno titolo. Correva l’anno 1977 e il musicista aveva appena interrotto il sodalizio con il poeta Roberto Roversi, con il quale aveva realizzato i suoi precedenti tre album. Il disco fu concepito alle isole Tremiti, dopo un breve periodo di “ritiro” in cui egli volle prendere le distanze dai fermenti e dagli scontri sociali e politici che stavano infiammando l’Italia e la stessa Bologna. Lucio definì Come è profondo il mare “metafora dell’eterna lotta di classe” e, come narra una “leggenda”, fu ispirato a scriverla dopo aver contemplato il quadro di Arnold Böcklin La predica di sant’Antonio ai pesci. Queste le osservazioni di Impalà: «Come è profondo il mare è soprattutto un canto di resistenza, di solitudine intrisa di speranza a cui ancorarsi nel mare in tempesta, di fede incrollabile nella libertà dell’uomo pur nella disillusione delle passioni giovanili».

Un altro brano emblematico del canzoniere di Dalla è 4 marzo 1943, che egli presentò a Sanremo nel 1971. Scritto da Paola Pallottino, che firmò anche altri testi per lui, il pezzo, come è noto, si intitolava in origine Gesù Bambino e passò al vaglio della censura prima di essere presentato sul palco dell’Ariston. E poi L’anno che verrà, sincera espressione di fiducia nel futuro e di riscoperta dell’amore, dedicata all’amico Giuseppe Rossetti, pittore che durante la notte di Capodanno del 1979 si trovava in prigione perché presunto fiancheggiatore di Prima linea, poi risultato innocente; Stella di mare, che secondo lo scrittore è una dedica alla Madonna, che ha “Stella Maris” tra i suoi appellativi; Henna, che rievoca il dramma della guerra nei Balcani. Fondamentali furono, poi, i rapporti che Dalla ebbe con i colleghi cantautori. Uno di essi fu Luigi Tenco. Racconta Impalà: «Quel 27 gennaio 1967, alle 2:15, Dalla fu uno dei primi a entrare nella camera 219 dell’Hotel Savoy. Era sotto la doccia nella stanza accanto, la 217. Fu richiamato dal trambusto. La scena che si presentò era quella di un suicidio appena avvenuto. Ma lui non capì subito e pensò a un malore. Di quel dramma non volle più parlare». E aggiunge: «A quel festival (ironia della sorte) Lucio doveva presentare il brano Bisogna saper perdere». Tra i “grandi assenti” nel saggio, Ron e Francesco De Gregori, che hanno declinato l’invito dello scrittore a fornire un contributo a causa dei loro impegni professionali.

La copertina del libro rappresenta uno scatto di Renzo Chiesa che venne realizzato presso il castello di Carimate, dove il cantautore stava registrando l’album “Lucio Dalla” (il secondo della “trilogia” che venne registrata agli Stone Castle Studios) L’iconico ritratto, con occhialini e zucchetto, finì poi sulla copertina del disco successivo, “Dalla”. La photo session fu molto piacevole, come lo stesso fotografo ricorda; la foto viene in seguito riprodotta su vari gadget e manifesti e compare anche sulla maglietta di Eleonora Giorgi nel film Borotalco di Carlo Verdone, in cui la protagonista è un’accanita fan del cantautore. Ci fu poi una vertenza, non risolta, sull’utilizzo dell’immagine, dato che inizialmente non era stata preventivata una sua diffusione così “massiva”.

Resta da rispondere al quesito: perché Enrico Impalà, teologo e autore di numerosi saggi su figure come San Francesco e Carlo Maria Martini, e dopo il suo penultimo libro dedicato a Franco Battiato La stagione dell’amore – Viaggio nella spiritualità di un grande poeta ha deciso di accostarsi proprio a Lucio Dalla? La spiegazione sta nel suo incontro con Marcello Balestra, produttore, ed autore dello spettacolo Lucio c’è. «Marcello ha cambiato la mia vita, dicendomi una sera d’estate: Dovresti scrivere su Lucio. Lui è un profeta. È così: il cambiamento personale è come una cascata che si tuffa da vita a vita. Siamo tutti in contatto, tutti creativamente e gioiosamente uniti.» Se posso di permettermi di essere autoreferenziale, pensando ai miei incontri con questo scrittore in occasione delle presentazioni del suo volume su Battiato ho avuto anche io la sensazione di ricevere un flusso di energia positiva e di instaurare con lui un “collegamento creativo”. Ringrazio Enrico anche per aver citato nel volume su Dalla il mio articolo “La stagione dorata degli Stone Castle Studios”, in cui Marco Ferradini e Walter Calloni mi avevano raccontato alcuni aneddoti significativi con Lucio come protagonista, ripresi poi nel saggio stesso.

Lucio si è tuffato così senza riserve nelle profondità del mare da divenire lui stesso un archetipo di come si affronta la vita, tutta la vita. Credo che queste parole siano la degna conclusione del mio racconto su questo libro, della mia immersione tra le sue pagine e del mio viaggio nell’anima di un grande poeta.

Una delle foto di Renzo Chiesa scattate al Castello di Carimate

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(La foto di copertina di questo articolo è di Renzo Chiesa)