La parabola degli studi di registrazione brianzoli attraverso i ricordi di alcuni protagonisti

Moltissimi furono gli album di artisti italiani ed internazionali che, nell’arco di un decennio, videro la luce nei mitici Stone Castle Studios. Un giovane cantautore che, come il già citato Alberto Fortis (si veda la prima parte dell’articolo) ebbe occasione di registrare a Carimate il proprio album di esordio fu Marco Ferradini.

Questo il ricordo del musicista comasco: “Il mio produttore Sandro Colombini era amico del proprietario degli studi, Antonio Casetta, e fu così che mi ritrovai ad incidere i miei primi tre dischi – Quando Teresa verrà del 1978, l’EP Schiavo senza catene del 1980 e Una catastrofe bionda del 1983 – in un ambiente fuori dal comune, tra pareti che trasudavano storia e dove si poteva ‘respirare’ la buona musica di tutti gli artisti del momento, italiani e stranieri. Ricordo ancora il profumo di legno antico delle camere, i saloni, i camminamenti e le infinite partite a biliardino durante le soste per il pranzo con i tecnici Luca Rossi, Ezio De Rosa e Ruggero Penazzo. Registrare lì per me fu un grande privilegio e devo dire che la creatività ne beneficiava molto. Nell’immenso parco retrostante registrammo anche i video di alcuni brani che non posseggo e che purtroppo non ho mai visto. Un posto incantato, che meritava di essere acquistato dallo Stato per consacrarlo come fulcro della discografia italiana degli anni d’oro. Invece, dopo la chiusura, il castello ha subito diversi utilizzi non più inerenti alla musica, e questo è un vero peccato: forse, se si fosse trovato in un altro Paese, ora sarebbe diventato un vanto nazionale!”

Il nome di Ferradini si lega a quello di un altro illustre ospite degli studi: Lucio Dalla. La “prima volta” presso la struttura di Carimate per il cantautore bolognese fu nel 1977 per l’album Come è profondo il mare. Il secondo lavoro registrato in terra brianzola fu poi Lucio Dalla (1979), a cui collaborarono Francesco De Gregori, Ron e, ai cori, proprio Marco Ferradini. Dalla ricambiò poi il favore a quest’ultimo suonando il sax nella parte finale del brano Schiavo senza catene, che dava il nome al Q-disc in cui era contenuta anche la celeberrima Teorema. Lucio, infine, realizzò a Carimate un terzo disco, Dalla, nel 1980. Sulla copertina di quest’ultimo LP campeggiava uno scatto di Renzo Chiesa, poi divenuto una vera e propria icona: l’immagine di Lucio con l’inconfondibile “zucchetto” e gli occhialini rotondi divenne un vero e proprio “marchio di fabbrica” del cantautore. Il muro di mattoni che compare alle sue spalle è proprio quello del Castello di Carimate.

Al Castello vennero registrati anche Uffà! Uffà!, Sono solo canzonette e E’ arrivato un bastimento di Edoardo Bennato. La particolarità dei primi due è che uscirono a distanza di soltanto un mese l’uno dall’altro, rispettivamente il 1 marzo e il 1 aprile 1980. Il produttore, il già citato Sandro Colombini, e lo stesso Bennato li avevano forse inizialmente concepiti come unica entità, registrando i pezzi tutti insieme, come ha spiegato il chitarrista Lucio Bardi. “Il lavoro venne affrontato per intero, anche se con musicisti talvolta diversi, ma come si era probabilmente deciso in precedenza, vennero pubblicati due album distinti. Il primo conteneva una serie di brani un po’ folli e fece da apripista a Sono solo canzonette, un concept album sulla fiaba di Peter Pan: fu un autentico successo!”

Bardi, come tutti coloro che hanno lavorato a Carimate, non manca di sottolineare la magica atmosfera che vi si respirava. “Io ero davvero entusiasta (nel 1979, quando iniziammo a registrare, avevo 20 anni) e, anche se venivamo convocati solo per le registrazioni che ci riguardavano, io andavo lì, forse incoraggiato da Edoardo, il più spesso possibile. Il clima di lavoro era giocoso, entusiasmante: non sembrava vero di poter suonare in un autentico castello medievale con il ponte levatoio!” Il musicista rammenta diversi particolari relativi alla produzione degli album: “A quel tempo non era ancora consolidato l’uso del ‘click’ per le registrazioni e Ellade Bandini, il batterista, registrò con un microfono Shure, per alcuni brani, il tic-tac di un metronomo Taktell, appoggiato su un tavolino…incredibile! Un altro ricordo: la mia parte di chitarra acustica nel brano L’isola che non c’è fu realizzate solo come guida al castello insieme agli altri musicisti, come Paolo Donnarumma al contrabbasso e Claudio Bazzari alla chitarra elettrica. Io non ero ancora un professionista ed ero un po’ alle prime armi, o forse l’uso dei picks di metallo, ancora inusuali all’epoca, produceva un eccesso di suoni metallici, facendo impazzire Ezio De Rosa, il fonico del disco! Registrai quindi la chitarra definitiva più avanti a Milano, credo alla Fonit Cetra, con Edoardo e lo stesso De Rosa”.

La realizzazione dell’album seguente fu ancora più ambiziosa: “Il produttore di È arrivato un bastimento era l’americano Garland Jeffreys, che portò con sé il fonico degli studi Power Station di New York, che oggi si chiamano Avatar. Molti furono i musicisti coinvolti nel concept album di Bennato, questa volta ispirato alla fiaba del Pifferaio Magico. Prosegue Bardi: “Oltre al percussionista Tony Cercola, con il quale suonavo già da tempo con Edoardo, e ai musicisti con cui avremmo lavorato anni in tour – Luciano Ninzatti alle chitarre, Mauro Spina alla batteria, Ernesto Vitolo, piano e tastiere, Maurizio Preti, percussioni (i ‘Crisalide’) e Nando Caccaviello, primo violoncello nell’Orchestra Giovanile Europea diretta da Claudio Abbado, arrivò Graham Maby, il bassista del mitico Joe Jackson!” La particolarità della location rappresentava sempre un valore aggiunto: “Ricordo le registrazioni di Maby effettuate in un salone dall’altra parte del cortile, una grande sala con l’arredamento in stile e grandi vetrate che davano sull’esterno del castello. Nel cortile fu collocata la batteria di Spina e Graham, con un Fender Jazz bass, venne invitato a posizionarsi nel grande salone, nel quale fu aggiunto un grande ampli Ampeg. Andammo in regia ad ascoltare e il risultato era pazzesco: un suono enorme, bellissimo…”

Il tono di Bardi, nel prosieguo della narrazione, si fa sempre più affettuoso e nostalgico: “Ricordo bene Antonio Casetta, entusiasta della sua creazione e sempre molto gentile e ospitale… Ricordo anche la grande cucina, con un lungo tavolo di legno e marmo, dove spesso mangiavamo, con le pentole di rame sulle pareti; e poi un piccolo teatrino/auditorium, in un lato del castello, dove Jeffreys fece ascoltare a Bennato il brano Sarà falso, sarà vero suonato da noi, ma con lui alla voce. Ricordo anche l’incontro con Roberto Colombo, tastierista e produttore di musica elettronica, che aveva lavorato con Alberto Camerini, Matia Bazar e altri, ma che io conoscevo già, perché era un amico di liceo di Alberto e di mia sorella maggiore Donatella, allora nota cantautrice. Colombo venne chiamato da Edoardo per la realizzazione in chiave elettronica del brano Specchio delle mie brame. Tornai altre volte al Castello, ma per altri motivi, anche solo per andare a trovare i miei amici musicisti, come nel caso di Enzo Avitabile, (sassofonista dei sopracitati Uffà! Uffà! e Sono Solo Canzonette), durante la lavorazione del suo primo disco”.

Lucio Bardi con Edoardo Bennato e Tony Cercola nel 1979 (dal sito http://www.tvsvizzera.it)

Franco Battiato non registrò nessun album al Castello, tuttavia il suo nome è legato a quello di una produzione poco nota al grande pubblico, ma significativa per l’epoca a cui appartiene: si tratta di Take Me Back di Michael Cassady (1978), disco realizzato per gli Hare Khrisna. Come racconta Gianfranco D’Adda, batterista e percussionista che a lungo ha collaborato con l’artista siciliano, “il disco fu registrato negli Stati Uniti, ma ne esiste una versione italiana alla quale venne aggiunto il brano tradizionale Srita Kamala, il cui arrangiamento per piano e voce è di Franco Battiato e venne realizzato proprio a Carimate”. Il tramite tra Battiato e il gruppo religioso fu Claudio Rocchi, che per una decina d’anni aderì al movimento. Lo stesso Rocchi, nel 1980, incise agli Stone Castle con un ensemble di musicisti – comprendente Paolo Tofani degli Area – due dischi destinati agli Hare Krishna, vale a dire Dasanudasa e la corrispondente versione italiana Ras Mandal Reggae, in cui figurava come produttore e vocalist.

Il fotografo Guido Harari, che ho avuto modo di interpellare proprio durante una sua recente visita a casa di Gianfranco D’Adda, fu un assiduo frequentatore del Castello. “L’idea di costruire uno studio di registrazione all’interno di un antico maniero non era nuova per l’epoca: in Inghilterra, infatti, esistevano gli studi Manor della Virgin in un contesto di questo tipo. L’idea di passare del tempo in un luogo ricco di fascino e non in una ‘fredda’ sala di incisione come quelle di Milano e di Roma era sicuramente attraente”. Tra i musicisti che Harari ebbe modo di seguire ci fu la PFM durante la realizzazione di Passpartù, con il già citato Allan Goldberg come tecnico del suono. “La musica veniva letteralmente creata in studio e ‘vissuta’ in tutti gli attimi della giornata, anche dormendo sul posto. Qualcuno parlava persino della presenza di un fantasma…” Il fotografo fu presente anche durante la registrazione di Common Ground di Pino Daniele con Ritchie Havens e quella di 700 Giorni di Ivano Fossati. Harari scattò anche numerose fotografie presso gli Studios: “L’idea era quella di effettuare reportages durante la lavorazione degli album o di montare un piccolo set per realizzare ritratti dei musicisti durante le pause”. Il fotografo ricorda i momenti conviviali, ma anche quelli di creazione artistica: “Con tutti questi artisti – Pino Daniele, Fossati, la PFM – c’era un profondo rapporto di amicizia che si rafforzava anche negli episodi di pura creatività, di ideazione lenta e faticosa di un progetto musicale: i miei scatti coglievano anche i periodi di incertezza, di sospensione, i tempi distesi e dilatati, diurni e notturni, la rotazione dei musicisti, gli scambi”.

Per concludere questa carrellata di ricordi ecco il contributo di Red Canzian, che fu protagonista di tutta la parabola degli studi, dai primi anni fino al “canto del cigno”. “Arrivai al Castello di Carimate nel 1978” racconta “e fui il primo produttore a registrare in quegli studi: si trattava di una parte di chitarra che Dodi (Battaglia, ndr) era venuto a suonare in un brano di Gianni Togni, del quale stavo producendo il primo album. Subito dopo registrammo in quella sede, con i Pooh, l’album Boomerang, al qualeseguirono Viva eStop.  Nel 1983, insieme al mio amico ingegnere del suono, Renato Cantele, acquistai lo studio ‘rosso’ del Castello e per tre anni, fino a quando Antonio Casetta non decise di vendere l’edificio, il nostro studio divenne un importante riferimento per gli artisti italiani. Sempre con i Pooh registrammo anche Asia non Asia e Giorni Infiniti”. Ma il bassista ha anche dei vissuti personali, intrisi di nostalgia, legati a quell’epoca: “Ho trascorso un periodo bellissimo nel Castello di Carimate, dove avevo la mia stanza col soffitto a cassettoni e dove ho spesso dormito sonni tranquilli, nonostante gli strani rumori che di notte arrivavano dall’ala disabitata, la più antica. In paese si parlava spesso di fantasmi, ma di fantasmi buoni, per cui, dopo la paura iniziale, ci eravamo abituati a quei rumori notturni. Poi, come tutte le belle cose, il mio tempo a Carimate è terminato e con Renato Cantele abbiamo acquistato gli studi della CGD di Caterina Caselli. Ci siamo trasferiti a Milano, una città perfetta per il lavoro ma con meno poesia (e fantasmi) del ‘nostro’ incantato castello”.

Come è noto, per una ventina d’anni il maniero visconteo è stato riconvertito in struttura ricettiva di lusso, spesso utilizzata per ricevimenti e banchetti. Il suo prestigio, però, è progressivamente andato in calo, finché nel 2013 ha chiuso i battenti. Nel 2019, dopo una serie di aste, è stato venduto per 4 milioni e mezzo di euro a una società alberghiera comasca che gestisce altre realtà analoghe sul territorio nazionale. Ad oggi, però, il castello è ancora chiuso. Interpellato al proposito, il sindaco di Carimate Roberto Allevi ha spiegato che sono necessari lavori di rifacimento del tetto ed adeguamenti negli impianti, che devono rispondere alle norme dell’ATS, per tanto i tempi di riapertura potrebbero essere ancora lunghi.

Se tornerà ad essere un albergo a 5 stelle, il castello – quantomeno – tornerà a vivere e si auspica che questo tipo di destinazione ne preservi le caratteristiche architettoniche. La stagione dorata degli Stone Castle Studios, però, resterà un periodo irripetibile sia nella storia dell’edificio che in quella della discografia italiana e potrà rivivere solo attraverso le testimonianze di chi l’ha vissuta e nei solchi dei dischi, molti dei quali straordinari, che lì vennero registrati.

Ringrazio, per la preziosa collaborazione e per i contributi forniti: Lucio Bardi, Red Canzian, Gianfranco D’Adda, Marco Ferradini, Renato Franchi e Guido Harari. Un sentito ringraziamento ed un saluto anche al sindaco di Carimate, Roberto Allevi.