L’autore romano rievoca la parabola dei Fab Four in un volume edito da Diarkos

In questo inizio di novembre, caratterizzato dal clamore per l’uscita di Now and Then, “l’ultima canzone dei Beatles”, ho terminato la lettura del corposo volume di Paolo Borgognone , “Beatles – Il mito dei Fab Four”, uscito di recente (a fine agosto) nella collana “Ritmi” della casa editrice Diarkos.
Posto che sui Quattro esistono già migliaia di pubblicazioni, il quesito è inevitabile: ha senso scrivere ancora libri su di loro? La risposta offerta dallo scrittore, ovviamente, è affermativa e si basa su due argomentazioni. La prima che è che John, Paul, George & Ringo sono la musica: come Presley e Dylan essi, a detta dell’autore, “rappresentano un archetipo, un pilastro sul quale si regge tutto ciò che è venuto dopo, ogni ramificazione del fenomeno culturale, politico e di intrattenimento che ruota attorno alle sette note”.

Pertanto, nonostante i fiumi di inchiostro già spesi e gli innumerevoli libri già pubblicati, a quanto pare c’è ancora molto da dire e lo dimostra il fatto che, proprio in questi giorni, i Fab Four siano al centro dell’attenzione dei media e oggetto di accese discussioni sui social per via della release del singolo (operazione criticata da molti) e del videoclip di Now and Then (che invece pare abbia messo d’accordo quasi tutti). Forse anche perché, come Borgognone osserva nell’introduzione del volume, la loro parabola artistica, più di quella di ogni altra band, rappresenta l’evoluzione della vita umana, in cui l’Amore, in tutte le sue sfaccettature, è la forza che muove ogni azione… All You Need Is Love lo hanno detto loro, dopotutto.
Ampliando l’assunto dello scrittore, la storia dei Beatles potrebbe essere vista come metafora della vita umana, sia pure condensata in una quindicina d’anni, quelli dell’effettivo sodalizio del gruppo. Essi hanno mosso i “primi passi” con l’incontro tra Lennon e McCartney nel 1957 per poi giungere ai primi singoli e al full-length di esordio, in cui le canzoni d’amore si rivolgevano per lo più all’immaginario dei teenager.

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Album dopo album, l’acquisizione della maggiore consapevolezza che conduce all’età adulta è rappresentata dal passaggio dall’era della Beatlemania alla decisione di non esibirsi più dal vivo e dal volgersi della loro ispirazione verso temi anche al di fuori della sfera sentimentale con un album come “Revolver”. L’afflato psichedelico che abbraccia il cosmo emerge in brani quali All You Need Is Love e Across The Universe, mentre le esperienze indiane si riflettono, in parte nel “White Album”, dove prevale la tendenza ad essere meno uniti di prima nella composizione dei brani. I dissapori all’interno della band, come sovente accade quando un rapporto affettivo entra in crisi, vengono testimoniati dalla lunga e difficile genesi di “Abbey Road”. E la conclusione dell’esperienza come quartetto è simboleggiata un brano emblematico, quasi un epitaffio alla loro carriera: The End. Che non è, esattamente, l’ultima canzone del gruppo, come ben sappiamo, ma dona all’umanità un messaggio lapidario, un lascito definitivo: alla fine, l’amore che ricevi è uguale all’amore che dai. Che questo sia un omaggio alla Legge dell’Attrazione o una considerazione maturata dal solo McCartney, poco importa: in the end the love you take is equal to the love you make è un’affermazione che racchiude – forse – tutto il senso dell’esistenza.

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Il secondo elemento che, secondo Bergognone, depone a favore della necessità di indagare nuovamente il percorso musicale e personale dei quattro ragazzi di Liverpool è l’idea che conoscere la loro storia significa ripassare alcuni momenti chiave della storia del Novecento. E sicuramente uno degli aspetti maggiormente apprezzabili nel saggio è quello dell’accurata ricostruzione storica, che aiuta a comprendere il contesto sociale in cui si realizzò l’ascesa al successo della formazione. Per entrambe le ragioni, dunque, il libro non si rivolge ai “superesperti”, ma a chi si vuole accostare, anche da neofita, al fenomeno Beatles: alle giovani generazioni, dunque, ma anche a chi li conosce superficialmente e vuole approfondirne la biografia e le complesse vicende che fanno da sfondo alla loro discografia.

Il primo capitolo, Liverpool, ha inizio rievocando i bombardamenti che, a partire dal 1940 (anno in cui vennero alla luce John Lennon e Ringo Starr) avevano infierito sulla città portuale, causando migliaia di vittime. Conoscere la storia della città è importante, a detta dell’autore, anche per spiegare il fenomeno dell’esplosione della scena musicale immediatamente precedente alla nascita della band, il cosiddetto “Mersey Beat”. Liverpool, da sempre un centro estremamente attivo, vanta origini antiche e per più di due secoli (Settecento e Ottocento) fu particolarmente prospera ed animata. Il periodo del dopoguerra, invece, fu uno dei più difficili della storia britannica, ma al tempo stesso fu quello in cui la classe operaia acquisì maggiore rilievo mentre le esigenze dei teenagers si facevano più esplicite, nel tentativo di conquistarsi uno spazio di autonomia nella nascente società dei consumi. Ed è in questo contesto che i componenti della band si formarono. Agli anni dell’adolescenza dei Quattro (più due, perché c’è spazio anche per Stuart Sutcliffe e Pete Best) sono dedicati altrettanti sotto-capitoli, che oltre a fornire informazioni sulle rispettive famiglie di origine, citano anche i primi amori musicali dei musicisti in erba, che spaziavano dal folk al country e al blues. La narrazione è ricchissima di particolari che solitamente non compaiono in altre biografie “generaliste” e questo costituisce senz’altro un valore aggiunto al saggio. Dai Quarrymen all’avventura amburghese e dalle prime tournée alle esibizioni al Cavern, si prosegue con un ritmo serrato, ma anche in modo ampio e disteso, in oltre 500 pagine.

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Il racconto si articola, successivamente, in una serie di capitoli, uno per ogni anno della “discografia ufficiale” della band, quindi dal 1962 – in cui uscì il loro primo 45 giri, Love Me Do, il 5 ottobre – al 1970, quando Paul McCartney, il 10 aprile, dalle pagine di un quotidiano annunciò la sua decisione di lasciare il gruppo, decretandone lo scioglimento. Al ’64, un anno fondamentale perché fu quello dell’affermazione del quartetto negli USA dopo l’esibizione all’Ed Sullivan Show, che successivamente li lanciò nell’Olimpo del successo planetario, sono dedicati ben due capitoli, seguiti da un approfondimento sulla loro venuta in Italia l’anno successivo. Questa parte evidenzia come la società italiana, che si rifletteva nella scena musicale locale, fosse impreparata ad accogliere un fenomeno dirompente come quello rappresentato dalla formazione: prova ne sia che nessuno dei concerti tenutisi a Milano, Genova e Roma fece il tutto esaurito e che la stampa nostrana si lasciò andare a considerazioni poco lusinghiere nei confronti dei “quattro zazzeruti”.

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Nei capitoli seguenti viene analizzata la discografia post-66 in modo dettagliato, entrando anche nel merito della composizione dei singoli brani. Dopo la separazione nel’70 e le vertenze legali che ne seguirono, lo scrittore fa cenno alle carriere soliste dei quattro e ai diversi tentativi, mai andati in porto, di reunion – anche se numerose furono le collaborazioni tra i musicisti nell’ambito dei propri album, come ad esempio in “Ringo” di Starr (1973) – e alle opere “postume”, come la pubblicazione, nel 1995-96, dei singoli Free as a Bird e Real Love contestualmente all’uscita della monumentale “Beatles Anthology”. Non viene fatto cenno alla possibile uscita di Now and Then, dato che all’epoca della stesura del saggio le indiscrezioni su questa operazione di “revival” non erano ancora trapelate. Tuttavia, per tutti coloro che in questi giorni si sono incuriositi in seguito al battage mediatico legato alla release del brano, il saggio dell’autore romano potrebbe rappresentare un buon punto di partenza per addentrarsi nel loro vasto universo.

In conclusione, Borgognone riporta una frase pronunciata nel film “Yesterday” di Danny Boyle: “Un mondo senza i Beatles sarebbe infinitamente peggiore”. Non possiamo che essere d’accordo con lui. E vale la pena di citare anche un’affermazione di George Harrison presente nell’Anthology: «I Beatles non potranno mai dividersi davvero perché, come abbiamo detto al momento della separazione, non c’è proprio nessuna differenza. La musica c’è, i film sono ancora lì. Qualsiasi cosa abbiamo fatto c’è ancora e ci sarà sempre».
E dunque, se oggi un software ci ha permesso di vedere, in un unico filmato, i Beatles di oggi – Paul e Ringo ormai ottantenni – accanto ai se stessi del passato e a John e George, possiamo essere grati alla tecnologia, ma non solo. La cosa certa è che continueremo ad ascoltare le loro canzoni: da vinili d’epoca o sulle piattaforme digitali, poco importa. Perché le emozioni suscitate dai Beatles sono infinite, come infinita è la grandezza della loro musica, oltre i confini del tempo.

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