Storia della formazione in cui Renato Franchi ha militato dal 1976 al 2000

Mi sono occupata più volte, sulle pagine di questo blog, di Renato Franchi e della sua attività sia discografica che dal vivo. Ripercorrendo, qualche mese fa, la sua lunga carriera in un’intervista, ci eravamo soffermati solo brevemente su un periodo, in realtà lungo e molto significativo, della sua “vita in musica”. Si tratta di quello relativo alla sua militanza in una formazione denominata prima “Canzonaccio” e poi “The Kanzonaccio Band”, attiva dalla fine degli anni Settanta fino al 2000, quando poi il cantautore legnanese ha intrapreso un nuovo percorso artistico fondando la sua Orchestrina del Suonatore Jones. Il viaggio musicale di questo ensemble, che si è svolto soprattutto on the road con migliaia di concerti in Italia e all’estero ma che ha anche dato origine a due album, sia pure a distanza di anni (“Canzonaccio”, 1985 e “Quando la guerra finirà”, 1994), costituisce un episodio molto significativo, anche se relativamente poco noto, del nostro cantautorato e della canzone d’impegno sociale italiana, che merita dunque di essere valorizzato e approfondito.

La band nel 1993

Raccontare la genesi e la storia di questa formazione è abbastanza complesso e richiederebbe molto tempo e spazio, molto di più di quanto sia possibile fare in un singolo articolo o intervista. Cercheremo di farlo insieme allo stesso Franchi, delineando una sintesi delle fasi più salienti, al fine di rendere comprensibili i vari passaggi che hanno determinato l’incontro e il successivo percorso dei diversi componenti, uniti dagli stessi ideali, sia a livello musicale che sociale. “L’ensemble aveva lo scopo di mettere la musica al servizio di una causa importante” spiega il cantautore “vale a dire intendeva utilizzare l’arte e la cultura per esprimere i valori universali della pace e della tutela dei diritti umani”.

Quale fu la “data di nascita” di questo progetto, e con quali finalità specifiche si formò il gruppo?

Siamo attorno al 1976 e, dopo le esperienze da noi compiute in band di vario genere, da chi suonava le hit del momento nei dancing e nelle balere a chi militava in formazioni rock, blues e reggae o anche progressive, ad un certo punto – in una dimensione di carattere politico-sociale che vedeva scontri nelle piazze, lotte dei lavoratori, stragi, attentati (siamo nel tristemente famoso periodo degli “anni di piombo”) e sull’onda di un crescere, nelle varie regioni e territori, di gruppi che si muovevano attorno all’idea della cosiddetta “canzone di impegno sociale” o “canzone politica”… ecco che nacque l’esigenza di costituire una formazione che, recuperando il patrimonio popolare della canzone resistente e di lotta, potesse proporre concerti che, almeno inizialmente, avessero questo tipo di repertorio. Fu così che nel 1977, partendo da canzoni tradizionali della Resistenza e di lotta, come quelle di Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea, Il Nuovo Canzoniere Italiano, ma anche da quelle di cantautori e band come De Gregori, Lolli, Bertoli, Stormy Six e altri ancora, i concerti si arricchirono di brani originali scritti nell’ambito del rock e della canzone d’autore, sempre con un’attenzione specifica ai temi dell’impegno sociale.

La band in Germania dell’Est, 1987

Come era composta la formazione all’inizio? E perché questo nome?

L’ensemble, all’inizio, assunse le caratteristiche tipiche del “canzoniere”. La formazione era molto ampia: io, Renato Franchi, alla voce e chitarra, Giorgio Restelli al basso, Gianni Colombo al pianoforte, Marco Moretti alla batteria, Mauro Cova alla tromba e percussioni, Antonio Guzzetti alle tastiere, Roberto Bossi al sassofono, Anna Andriulo e Marika Bossi ai cori. La denominazione “Canzonaccio” fu in realtà il risultato di un errore di stampa per il manifesto di un concerto: noi avevamo indicato la denominazione “Canzoniere Rosso” ma, a un certo punto, ci ritrovammo con questo scritta sulla locandina. Al momento restammo perplessi ma poi, con questo nome e con una line-up che si fece sempre più asciutta e più vicina al rock d’autore, si aprì per noi una lunghissima stagione, fatta di centinaia di concerti in feste popolari, nelle fabbriche occupate, nelle piazze per conto di associazioni culturali, per l’ANPI, l’ARCI, le organizzazioni sindacali, ma anche nei teatri e nei locali. Fu un periodo veramente straordinario, che ci arricchì sul piano umano e, naturalmente, anche a livello musicale.

In questa prima veste di “canzoniere popolare”, tra riproposizioni di brani d’autore, della tradizione e composizioni originali, la band trascorre diversi anni suonando dal vivo nei contesti più disparati, fino a raggiungere un punto di svolta: la realizzazione del primo album di inediti. Siamo nel 1985. E si tratta davvero di una svolta, in quanto il gruppo ha l’opportunità di farsi conoscere a livello internazionale. Così Franchi prosegue il suo racconto:

Nel 1985 raggiungemmo un importante traguardo, vale a dire la realizzazione del primo album in vinile, inciso per la Coco Dischi di Milano, intitolato appunto “Canzonaccio”. Questo progetto discografico fu la chiave d’accesso per una serie di concerti tenuti nella Germania dell’Est in rappresentanza dell’Italia. Per noi questa opportunità fu motivo di orgoglio, in quanto negli anni precedenti nella stessa rassegna avevano suonato gli Area, Gianna Nannini e Angelo Branduardi! La manifestazione era denominata Liedersommer e i concerti si svolsero a Berlino, a Dresda e a Lipsia, dal 15 al 18 agosto 1987, davanti a migliaia di persone. Fu per noi un momento straordinario: suonammo su grandi palchi, incontrammo importanti musicisti tedeschi ed inoltre avemmo la possibilità di conoscere le condizioni sociali di quella realtà, che viveva ancora con il tristemente famoso muro che divideva in due la capitale.

La band in Germania nell’agosto 1987

Immagino che questa esperienza ti abbia molto arricchito…

I concerti ci arricchirono molto sul piano umano e musicale e furono la conferma di essere sulla giusta strada per poter proseguire nel rafforzare la parte di repertorio originale con brani scritti da me e dal gruppo, anche se il panorama socio-culturale italiano stava spostandosi su direzioni non certamente positive – pensiamo alla crisi industriale, con la chiusura di molte grandi fabbriche. Per noi ci furono comunque ancora molte possibilità di concerti ed interventi di solidarietà e di sostegno per stabilimenti in crisi, ma anche in teatri e, ovviamente, nelle grandi feste popolari dell’Unità o organizzate dalle amministrazioni comunali.

Ci furono anche altre esperienze all’estero…

Dopo il successo del tour dell’Est, ritornammo qualche anno dopo a tenere un paio di concerti nella Germania Ovest. Fu un’esperienza incredibile, in un teatro immenso davanti ad un pubblico numerosissimo, con artisti internazionali provenienti da tutto il mondo, di cui venne fatta una ripresa TV.

L’album “Canzonaccio” ebbe riscontri molto positivi…

Sì, il musicologo Michele Straniero scrisse una recensione in proposito sul quotidiano “La Stampa”, valorizzando il nostro intento di scrivere brani che contenessero messaggi espliciti: “ecco un nuovo gruppo che non ha paura di fare del canto politico: in Italia, dopo Pierangelo Bertoli e il Nuovo Canzoniere Italiano, è stato deserto in questo settore… nei loro testi… c’è un po’ di tutto quel disperante panorama che affligge i giovani nell’ultimo ventennio del secolo… Questi ragazzi hanno le idee chiare: la loro musica è vibrante, moderna, calorosa. Vuoi vedere che riescono ad infrangere l’incantesimo dell’evasione, della stupidità e del silenzio?” Ricordiamo la line-up della band nel disco: Renato Franchi – voce e chitarra, Giorgio Restelli – basso, Guido del Pero – chitarra elettrica, Gianni Colombo – pianoforte, Graziano Rampazzo e Vittorio Caccia – batteria, Mauro Cova – tromba, Antonio Guzzetti – tastiere, Massimo Restelli – sassofono.

Filo conduttore dell’album è indubbiamente la volontà di mettere a nudo le contraddizioni della società italiana degli anni Ottanta che, dopo la cupa e lunga parentesi degli anni di piombo, voleva ammantarsi di un apparente ottimismo e benessere, tra uno sguardo all’“edonismo reaganiano” e il fenomeno nostrano della “Milano da bere”. A livello internazionale, invece, il distendersi delle tensioni della guerra fredda si accompagnava all’ascesa del neoliberismo economico, con conseguenze spesso disastrose sulle classi meno abbienti ed inevitabili ripercussioni anche nel nostro Paese. Così, ad esempio, la traccia di apertura Il mercante, un energico rock reso più accattivante dalla presenza dei fiati, denuncia la degenerazione e la mercificazione della cultura dell’epoca, in cui il diffondersi delle enciclopedie in vendita a rate diventa il simbolo apparente di un sapere accessibile a tutti, mentre corruzione, massoneria, disparità sociali dilagano ovunque. La caustica penna di Franchi mette chiaramente in evidenza da che parte stia l’ingiustizia anche nei I padroni del vapore, brano pop-rock in cui il testo impietoso accusa coloro che affollano “spiagge di paesi lontani” “mangiando aragoste, specialità francesi…caviale e frutti tropicali” attenti soltanto ai “propri dividendi industriali”: una critica esplicita, dunque, del capitalismo incurante del “Paese che muore anche il giorno di Natale”. Ritroviamo tematiche analoghe, tra ritmi in levare, ne I Vampiri, che redarguisce tutti i disonesti che tramite lo sfruttamento senza scrupoli perseguono i propri loschi fini; e poi, ancora, nel folk-blues de La lista della speranza, che narra di disoccupazione, disperazione, tossicodipendenza, delle difficoltà economiche che impediscono ai giovani di raggiungere la propria dimensione di indipendenza, mentre pellicole cinematografiche e videogames offrono solo rifugi momentanei e illusori.

Due brani, invece, sono liberamente tratti da poesie di W. Mandelli: Compagna è una canzone d’amore introdotta dal pianoforte in cui si coglie l’insofferenza verso la società che impone ruoli predefiniti, mentre le stringenti ristrettezze non tolgono alla coppia il desiderio di sognare e di vivere la propria autenticità. La Malapaga, invece, parte come una folk song, con chitarra acustica e armonica, ma poi si arricchisce di altri timbri (chitarra elettrica, sassofono, piano) evidenziando quella commistione di stili tipica del sound del gruppo, che passa in modo versatile dal rhythm & blues al rock e ad altre sonorità: sorprendente, in questo caso, è l’assolo di fiati “alla Blues Brothers” che conclude il pezzo.

Mezzanotte, forse l’episodio più efficace dell’album, si caratterizza per una bella intro di Hammond, un coinvolgente assolo di chitarra ed i fiati che rendono la narrazione più incalzante, e narra di inquietudine, di desiderio di trasgressione ma anche del bisogno di libertà e di equità, in uno scenario urbano descritto quasi cinematograficamente, tra la nebbia e le luci al neon di un film noir. Si conclude con Mai più, che parte anch’essa in levare e si evolve verso altri ritmi: l’anafora del titolo, che percorre tutto il brano, ribadisce l’intento di stigmatizzare tutto ciò che si vorrebbe cancellare dalla faccia del pianeta: indifferenza, stragi, disastri climatici, conflitti:

“Mai più massacri per il popolo di Palestina

Mai più calpestare la libertà

Mai più soffocare dell’uomo la dignità…

Mai più rubare il sole alla mattina

Mai più restare inerti a guardare la vetrina

Mai più pensare di essere noi distanti

Mai più monumenti alla guerra per piangerci davanti…”

Il timbro della voce di Franchi ricorda quello di Fossati e Bertoli e conferisce energia e vitalità a composizioni animate sia da una sincera volontà di denuncia, sia dal desiderio di esplorare e sperimentare differenti sonorità, tanto quelle contemporanee che quelle che, fin dalla fine degli anni Sessanta, avevano formato i componenti della band tra ascolti e esperienze in vari ambiti musicali. Un esordio interessante, che ricevette lusinghieri riscontri e che conteneva in sé elementi che avrebbero meritato di maturare in successivi lavori. Per svariate ragioni, però, il secondo, ed ultimo, episodio discografico della parabola del Canzonaccio, Quando la guerra finirà, si colloca soltanto nove anni più tardi. Approfondiremo questi ed altri aspetti nella seconda “puntata” di questa analisi.