Digging Up The Scars di Neilson Hubbard: una riflessione sullo scorrere del tempo

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Scoprire le proprie cicatrici, metterle a nudo non significa necessariamente evocare trascorsi negativi, ma piuttosto indagare nella propria interiorità, porsi delle domande sul senso dell’esistenza e sforzarsi di trovare delle risposte. Digging Up The Scars, l’ultimo album del songwriter statunitense Neilson Hubbard, è un disco intimo, poetico, basato su riflessioni introspettive. In esso non c’è traccia delle inquietudini o del senso di smarrimento che pervade i lavori di altri cantautori usciti quest’anno, in cui i riferimenti alla pandemia sono talora espliciti, a volte invece più sottili, ma comunque presenti. Il lavoro del musicista di Nashville è invece pervaso da una grande serenità. Come lo stesso Hubbard ha raccontato in una recente intervista, in effetti il disco era terminato prima del periodo di emergenza, pertanto in esso c’è ampio spazio per la memoria, la fiducia, la speranza.

Lo strumento prevalente è la chitarra acustica, ma un grande contribuito alla creazione di atmosfere sognanti e meditative è dato dalla presenza della pedal steel di Joe Solorzano. Gli altri musicisti sono il chitarrista Will Kimborough, Danny Mitchell alle tastiere e ai fiati, Michael Rinne al basso e Flint McCullum alla batteria. È presente anche una sezione di archi oltre ad Audrey Spillman, moglie di Hubbard, alla voce. Ben Glover, storico collaboratore di Hubbard, ha contribuito alla realizzazione del lavoro comparendo come co-produttore del disco e co-autore di alcuni brani.

L’album si apre con Our DNA, canzone dedicata dal cantautore al figlio e alla fiducia nella vita, nella quale si continua a credere per quanto velocemente essa trascorra. Altra canzone sullo scorrere del tempo è Where You Been? , scritta insieme a Glover e impreziosita dagli arrangiamenti di archi di Mitchell. Digging Up The Scars, la title track, indaga quanto sia importante la ricerca della verità dentro e fuori di noi stessi:

The history is written across our hearts

With a promise for a reckoning

To come together here in the dark

Love Will Drown You In The Wake si caratterizza per le sonorità della pedal steel e racconta del calore che una relazione amorosa può fornire, ma anche della consapevolezza del fatto che si invecchia ogni giorno. Segue la contemplativa End Of The Road, in cui prevale il timbro del pianoforte, meditazione sull’invecchiamento e la mortalità, in cui la fine della strada potrebbe simboleggiare il concludersi di un percorso di vita. Il conforto del potersi rifugiare tra le braccia della persona amata ritorna in Fall Into My Arms, mentre in Nobody Was Home ritroviamo la tematica dello scorrere del tempo e del mutare delle circostanze attraverso le fasi della vita.

Particolarmente suggestive sono le immagini del booklet, realizzate dallo stesso Hubbard, grande appassionato di fotografia. Scatti in bianco e nero o virati in seppia, che raffigurano elementi naturali e paesaggistici o che ritraggono il musicista e sua moglie, sono il corrispettivo visivo del contenuto di un album a tratti malinconico, ma basato sull’accettazione dei limiti dell’esistenza umana:

Don’t wish for tomorrow now, until tomorrow comes
Don’t lose this moment here before the moment’s gone

Questi versi, tratti da Before The Moment’s Gone, un brano acustico in cui il pianoforte e gli archi amplificano la componente emotiva, riassumono forse la filosofia dell’intero album, vale a dire l’importanza di vivere il presente, di apprezzare ogni singolo momento e di accettare le cicatrici lasciate dal passato per guardare al futuro con fiducia.

Come accade di consueto negli album pubblicati da Appaloosa Records, i testi delle canzoni sono tradotti nel booklet per poter essere letti e apprezzati anche dai lettori e ascoltatori non anglofoni.