Il leader dei Foo Fighters si racconta nell’autobiografia “The Storyteller”

Dave Grohl è uno dei musicisti del panorama contemporaneo che più stimo. I Nirvana sono sempre stati uno dei miei gruppi preferiti e ho avuto modo di assistere, nei primi anni Novanta, alla loro parabola, dalla loro ascesa alla scomparsa di Kurt Cobain. Quanto ai Foo Fighters, li ho scoperti in tempi relativamente recenti, rendendomi conto che in realtà molte delle loro canzoni facevano già parte del mio subconscio. Learn To Fly, These Days, This Is A Call mi mandano in orbita ogni volta che le ascolto e terrò le dita incrociate fino al 12 giugno prossimo, la data in cui la band dovrebbe esibirsi a Milano. Sicuramente uno dei motivi che ha accresciuto il mio interesse verso questo musicista sono state le sue numerose esibizioni di omaggio ai Beatles o insieme a Paul McCartney, suo grande amico. Ho poi apprezzato Grohl come regista in due documentari da lui diretti, Sound City (2013), dedicato ai mitici studi di registrazione di Los Angeles, e What Drives Us (2020), sulla vita on the road di vari protagonisti della scena musicale.

Il prossimo 14 gennaio Dave compirà 53 anni ed è anche questa vicinanza anagrafica a rendermelo caro: è inevitabile ascoltare musica di artisti del passato o di altre generazioni, ma è anche importante avere punti di riferimento tra quelli a noi contemporanei. Pertanto, la sua autobiografia The Storyteller, pubblicata lo scorso novembre, è stata per me – insieme a Get Back dei Beatles e a Paul McCartney- The Lyrics – uno dei libri più attesi e amati dell’anno appena trascorso. Scritto nel 2020, durante i mesi di lockdown, il volume raccoglie una serie di racconti inizialmente pubblicati sull’account Instagram del musicista. Esso ripercorre la carriera di Grohl dai primi approcci con la batteria, quando la madre lo portava con sé la domenica pomeriggio ad ascoltare musica in un club, all’esplodere della sua passione per il punk, alla sua militanza in diversi gruppi (i Dain Bramage e gli Scream prima, i Nirvana poi) fino ai Foo Fighters.

Fondamentali, nella narrazione, sono le figure femminili: la madre Virginia, che nonostante lo abbia cresciuto da sola è riuscita a trasmettergli valori fondamentali, senza mai ostacolarlo nelle sue scelte; la cugina Tracey, che a 13 anni lo introdusse alla musica punk, regalandogli dischi e portandolo ai primi concerti; e poi le tre figlie, Violet, Harper e Ophelia, per le quali Dave esprime a più riprese il proprio grandissimo attaccamento. Per contro, la moglie (la seconda, Jordyn) compare solo come figura di contorno; la prima non viene neppure menzionata, e non c’è traccia di fidanzate (a parte la prima ragazzina, Sandi) o groupies. Possibile? Gli unici divertimenti da rocker sono delle grandi bevute e fumate (di erba), ma non c’è traccia di sesso e droga (pesante)… Che Dave abbia volutamente glissato su certi aspetti può anche darsi, mentre su altri, decisamente, non si risparmia. Ribadisce più e più volte di essere sempre stato “diverso” dai coetanei fin da ragazzino, uno scavezzacollo, spericolato, sempre a rischio di farsi seriamente male, fino al punto di rompersi una gamba e di suonare lo stesso, come fece in Svezia nel 2015. Descrive, senza ritegno, tutti i disagi della vita a bordo di un furgone in tour e le settimane trascorse a vivere in una topaia mangiando schifezze, non potendosi permettere di acquistare cibi sani. Ma, soprattutto – ed è questa la maggiore attrattiva di questo libro – sa trasmettere in modo estremamente efficace la sua passione per la musica, un amore sviscerato che gli ha cambiato la vita e che si è concretizzato in una serie di “segni del destino” che lo hanno reso quello che è, una grandissima rockstar.

Uno degli episodi più significativi è quello del rito officiato davanti ad un altare con l’effigie di John Bonham, a 17 anni, in cui, ripetendo una sorta di mantra (Ciò che pensi, diventi – ciò che senti, attiri- ciò che immagini, crei) fece un patto con l’universo per ottenere il successo, lanciando un appello per incanalare il potere dell’universo affinché realizzasse il mio più grande desiderio, come lui stesso spiega. Tutta la narrazione è poi costellata da affermazioni che qualsiasi musicista o semplice appassionato potrebbe sentire come proprie: ad esempio, questa, sull’importanza di avere una colonna sonora della propria esistenza:

Da quando ero bambino, ho sempre misurato la vita in tappe musicali, anziché in mesi o anni. La mia mente si affida a canzoni, album e gruppi per ricordare un tempo e un luogo precisi… potrei dirvi il chi, il cosa, il dove e il quando di ogni circostanza della mia vita dalle prime note di una canzone che si è insinuata nella mia anima.

E questo è il suo commento sul bisogno di esprimersi tramite la creazione artistica: Quando il tuo cuore, la tua mente o la tua anima non riescono a controllare, o a respingere, il desiderio di creare un suono, un testo o un ritmo, e quando sei completamente in balia dell’impulso che ti spinge a esorcizzare i tuoi demoni interiori, allora la tua vita diventa una perpetua corsa verso la prossima canzone.

Gli incontri ed il tempo condiviso, sul palco o nel privato, con i propri idoli, da Iggy Pop a Tom Petty, dagli AC/DC a Paul McCartney, vengono riportati in una serie di gustosissimi aneddoti che delizieranno i lettori. Ma abbondano anche l’affetto e la nostalgia per le persone venute a mancare, dall’amico di gioventù Jimmy a, ovviamente, Kurt Cobain. Sembra, in realtà, che Grohl abbia voluto condensare la parabola dei Nirvana in poche pagine, dedicandole meno spazio rispetto a quello che occupano altre parti della propria biografia.

Una cosa è certa: da ogni evento apparentemente sfavorevole, da ciascuna rocambolesca avventura Dave ne esce sempre vincente. Con la testa sulle spalle, con un insegnamento di cui fare tesoro, con il senso della misura, anche quando si sofferma sulle proprie trasgressioni. Da bravo padre di famiglia quale è, verrebbe da dire. Del resto, il genio musicale non deve necessariamente accompagnarsi alla sregolatezza. La prova vivente, oltre che da Grohl, è rappresentata da un suo (e nostro) grandissimo idolo, Paul McCartney, che si appresta a festeggiare le 80 primavere. Non è un caso, dunque, che il leader dei Foo Fighters sia considerato “the nicest guy in rock”. E la sua autobiografia, appassionata, divertente, sfrenata come una corsa a perdifiato e stimolante come un assolo di batteria, è assolutamente da non perdere.

Per concludere, visto che siamo all’inizio di un nuovo anno, riporto come beneauguranti alcuni versi di Making A Fire. Se è vero che ho aspettato una vita per vivere, come dice Dave, ora è il momento di prendere fuoco, di alimentare la fiamma delle passioni, in primo luogo quella del rock.

But if this is our last time
Make up your mind
I’ve waited a lifetime to live
It’s time to ignite
I’m making a fire