Una serata alla Triennale per ricordare l’artista ad un anno dalla sua scomparsa
Franco Battiato come protagonista della vita culturale milanese degli anni Settanta e Ottanta, artista d’avanguardia, intellettuale aperto e curioso e uomo dalla spiritualità profonda, raccontato da amici, colleghi e collaboratori: questo ritratto, in parte inedito, del musicista siciliano è stato delineato lunedì scorso, 16 maggio, presso il teatro della Triennale di Milano, con un evento intitolato Citizen Battiato – Gli anni milanesi. Si è trattato di un tributo al musicista in occasione della prima ricorrenza dalla sua scomparsa, volto ad indagare il rapporto che egli ebbe con il capoluogo lombardo, in cui visse per almeno 25 anni.

Si moltiplicano, in questi giorni, le iniziative dedicate alla memoria del cantautore. Ho già avuto modo di parlare del documentario “Il coraggio di essere Franco”, che andrà in onda oggi, mercoledì 18 maggio, su Rai 1 e che raccoglie le testimonianze di amici e collaboratori che con Battiato hanno condiviso un significativo tratto del loro percorso artistico e personale. Grazie all’amicizia con personaggi come Giorgio Gaber e Ombretta Colli, Battiato divenne un attivo protagonista della vita culturale meneghina, in particolare durante gli anni Settanta, quelli maggiormente dedicati alla sperimentazione, che portò alla realizzazione di album come Fetus, Pollution e Clic, ma anche durante gli anni Ottanta, periodo che vide esplodere il suo successo commerciale. A fine decennio, poi, l’artista ritornò nella sua Sicilia, terra – come lui stesso l’ha descritta – di zagare e di profumi di gelsomino, ma mantenne sempre stretti contatti con gli amici e i collaboratori milanesi.

La serata di lunedì, condotta dall’ art director e produttore Francesco Messina e dal discografico Stefano Senardi, è stata introdotta dal presidente della Triennale Stefano Boeri (famoso per aver realizzato il Bosco Verticale, progetto che è stato insignito nel 2015 del titolo di miglior grattacielo al mondo) e dall’assessore alla Cultura Stefano Sacchi. Dopo la proiezione di un video in cui la voce narrante dell’artista era accompagnata dagli scatti del fotografo Roberto Masotti, recentemente scomparso, sono saliti sul palco diversi ospiti che hanno vissuto insieme a Franco numerose esperienze di natura personale ed artistica. Il primo è stato Roberto Cacciapaglia, pianista e compositore, che conobbe Battiato nei primi anni Settanta, mentre era ancora studente al Conservatorio di Milano: i due condivisero quel periodo di grande fermento culturale in cui Franco mostrò grande entusiasmo per tutte le novità in campo artistico, come la poesia visiva, e si recarono insieme al concerto di Karlheinz Stockhausen. Cacciapaglia apportò un significativo contributo alla sperimentazione sonora condotta da Franco in quegli anni, per poi partecipare anche ai tour promozionali di Fetus e Pollution con Gianfranco D’Adda, quest’ultimo presente in sala tra il pubblico. Il pianista ha poi interpretato il suggestivo brano Oceano di silenzio.



Un altro pianista, il maestro Antonio Ballista, ha raccontato numerosi aneddoti legati alla figura di Franco, rievocando figure come Roberto Dionisi, con il quale il cantautore studiò per un breve periodo pianoforte e composizione, e il violinista Giusto Pio, con il quale intraprese un duraturo sodalizio artistico. Ha poi puntualizzato come l’interesse di Battiato per l’avanguardia fosse finalizzato alla comunicazione, poiché l’arte a suo avviso doveva essere rivolta ad un pubblico ampio e non un privilegio di pochi. Ballista ha evidenziato come Franco fosse persona dalla straordinaria sensibilità: lo ha infatti definito un “tuttologo della percezione” in grado di trasmettere la calma interiore a chi lo circondava e di cogliere sincronicità junghiane. Ma ha anche ricordato alcuni episodi più scherzosi e “leggeri” vissuti insieme all’artista. Molto significativa è stata quindi la presenza di Juri Camisasca, che ha cantato Le sacre sinfonie del tempo accompagnato al pianoforte da Carlo Guaitoli. Camisasca è stato legato a Battiato da una profonda e fraterna amicizia, caratterizzata da una forte empatia, per cinquant’anni, ed anche nel periodo di dodici anni che trascorse nella clausura di un convento benedettino mantenne intatto questo rapporto. La sua narrazione ha sottolineato la sincera spiritualità di Franco, la sua ricerca sonora, il suo interesse per la musica classica, la sua imperturbabilità di fronte al successo ed il suo distacco dalle cose del mondo in prossimità dell’imminenza della propria morte. Il giornalista Riccardo Bertoncelli ha invece raccontato come egli stesso, indubbiamente esterofilo dal punto di vista dei gusti musicali, si era reso conto del fatto che il musicista siciliano fosse un grande sperimentatore, in grado di provocare e al tempo stesso di attirare il pubblico (come nel dirompente tour di Pollution del 1973) mantenendo la propria indipendenza, senza ricercare consapevolmente il successo.
Molto atteso l’arrivo di Morgan, che ha esordito interpretando un brillante ed ironico colloquio immaginario con Battiato seguito da una sua personale interpretazione, con l’utilizzo di effetti sonori e l’accompagnamento al pianoforte di Carlo Guaitoli, di Il Re del Mondo e di un brano inedito, Il mito dell’amore. Il sound engineer Pino “Pinaxa” Pischetola ha invece ricordato il lavoro svolto da Franco in sala di incisione, come avvenne nella realizzazione dell’album Anthology e nella sua partecipazione, accreditato come coautore, nell’album e nel tour di Joe Patty’s experimental group, ma anche la sua grande umanità e generosità. Carlo Guaitoli ha quindi eseguito una splendida versione di Luna indiana, introducendo Alice che, a distanza di una ventina di giorni dallo straordinario spettacolo Alice canta Battiato al Teatro degli Arcimboldi, ha interpretato due brani eccezionali come Lode all’inviolato e La cura. Nel suo intervento, la cantautrice ha voluto ricordare la voce di Battiato, che aveva la peculiarità di arrivare direttamente all’anima dell’ascoltatore, trasmettendo esattamente i suoi sentimenti al pubblico.


Battiato è stato, per dirla con le parole di Antonio Ballista, un “nomade” e un “alieno”: alieno perché in grado di elevarsi al di sopra della finitezza del mondo e nomade per il suo interesse per svariate culture, ma anche per la sua capacità di stare bene ovunque, senza essere necessariamente legato ad un luogo fisico o a una condizione. Un artista straordinario, del quale, a distanza di un anno, sentiamo irrimediabilmente la mancanza. Tutti i discorsi a lui dedicati non avranno, purtroppo, il potere di risvegliarlo (come ebbe a dire Patti Smith a proposito di Robert Mapplethorpe), ma contribuiranno, insieme alle sue immortali composizioni, a renderlo sempre vicino a tutti coloro che lo hanno apprezzato e amato.
